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QT n. 9, settembre 2011 Monitor: Musica

Quartetto Aviv

Un concerto per le orecchie e per gli occhi

Non poteva che essere un “gran concerto” quello che ha chiuso a fine agosto la XXIV edizione del Festival Mozart di Rovereto. Perché “il concerto” era il tema, il filo rosso che legava quest’anno tutti gli appuntamenti della manifestazione. Perché i brani in programma si possono leggere come possibilissime variazioni di interpretazione del termine “concerto”: come consertum, l’intreccio delle parti equilibrato e elegante del Quartetto op. 74 di Beethoven; come concertum, il Quartetto op. 138 di Sostakovic, dove le linee melodiche si muovono parallele, stridenti e quasi prevaricatorie l’una con le altre; come genere, la trascrizione tardoromantica per quartetto d’archi del Concerto op. 11 per pianoforte e orchestra di Chopin. Ma “gran concerto” è stato soprattutto perché sul palco, per l’ultima serata, abbiamo avuto la possibilità di sentire (e vedere) il Quartetto Aviv, formazione d’archi israeliana tra le più apprezzate del panorama musicale. Alla memoria attenta degli habitué della Filarmonica di Rovereto non sarà sfuggito il cambio di organico. Tre anni fa avevamo avuto modo di sentire, nella stessa sala, un Quartetto Aviv quasi tutto al femminile; oggi rimangono i due violinisti storici, Sergey Ostrovsky e Eugenia Epshtein, mentre alla viola e al violoncello sono subentrati Nathan Braude e Aleksandr Khramouchin. Cifra stilistica costante della formazione, al di là delle parziali sostituzioni dei membri, resta la maestria degli esecutori che risalta non solo all’orecchio, ma anche all’occhio (che certo, deve essere un po’ attento): vi è una comunanza di intenti udibile nel perfetto controllo delle dinamiche, nel gusto squisito per una variegata tavolozza di colori sonori, nelle precisione tecnica di insieme mai affannosa, anche nei momenti più virtuosisitici. L’udibile si traduce però anche nel visibile dei pregnanti cenni e sguardi tra i membri del quartetto, nella loro mimica e prossemica intensa e vigorosa, dove ogni suono, ogni articolazione, ogni silenzio trova ideale corrispondenza nei gesti e nelle espressioni dei musicisti.

Particolarmente ci è piaciuto Sostakovic, una “danza macabra” in un unico tempo ininterrotto, dove la viola (in effetti forse non troppo convinta e convincente) primeggia dolente tra ideali balletti grotteschi di scheletri, mentre restiamo con il fiato sospeso ad aspettare l’ultima impercettibile vibrazione di quel suono acuto finale all’unisono. Il secondo tempo è dedicato a Chopin, con Fabio Bidini al pianoforte: e il quartetto Aviv diventa al tempo stesso un’orchestra dal suono pieno e importante e un accompagnamento impeccabile e discreto al solista, dalla tecnica eccellente e suono nitido, per quanto forse un po’ aggressivo nel I tempo; assieme restituiscono al pubblico la gradevole rielaborazione di una grande pagina della letteratura pianistica.

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