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QT n. 10, ottobre 2011 L’editoriale

Indignados & Co.

Chissà se finiranno mai di sorprenderci. Non abbiamo il tempo di metabolizzare l’ultimo coup de théâtre di qualche politico che già dobbiamo spostare un po’ più in là il limite dell’incredibile perché qualcuno l’ha fatta ancora peggiore. Dal 2008, alba dell’ultimo governo di centro-destra, è stata tutta un’escalation: il letto di Putin, la nipote di Mubarak, il crocifisso tra le zinne della consigliera regionale, la casa di Scajola, le ricettazioni del ministro più veloce della Repubblica (17 giorni in carica), le presunte collusioni mafiose di ministri e sottosegretari, e ultimamente i due magnaccia elevati a consiglieri di stato. Non solo lubriche vicende quindi, ma scandali che sono, prima di tutto, politici. E che tuttavia sono riusciti a far passare in secondo piano il totale fallimento di questo governo su ogni fronte. Aspettando di aver indicatori per misurare cultura e sviluppo, la nostra economia è, ad oggi, la più stagnante al mondo: nel 2010 in quanto a crescita del PIL solo Haiti e Zimbabwe hanno fatto peggio.

Questo governo non ci piaceva già dall’inizio, però noi, giovani illusi ed inesperti, mai ci saremmo aspettati questi abissi. Ecco quel che ci sorprende davvero, dopo tutto: non tanto gli scandali in sé, quanto il fatto che manchi una reazione collettiva forte, indignata, convinta. Solo all’estero sembrano rendersi conto, senza mezze misure, che c’e un “uomo che ha fottuto un Paese intero” (quei comunisti dell’Economist). In Italia si continua ingoiando tutto, chi giustificando, chi minimizzando, chi dicendo: passerà!

I più anziani raccontano che l’Italia ha già sperimentato la vergogna e che però, proprio quando tocca il fondo, sempre trova la forza di risalire con un’estrema reazione d’orgoglio. La resistenza al nazifascismo, l’unità dopo gli anni di piombo, perfino le monetine ai politici della prima repubblica: l’Italia umiliata si è sempre ripresa - in extremis - la sua dignità, ribellandosi al suo recente passato. Analogamente confidiamo da tempo in una spinta liberatoria, una svolta rispetto a questa disgustosa atmosfera da basso impero. Ci eravamo illusi con l’Onda studentesca prima e con l’entusiasmo che ha seguito le elezioni amministrative e i referendum poi: ma sempre si sono dimostrati sussulti passeggeri.

Le uniche reazioni forti di fronte a questa degenerazione sono quelle degli indignados, nella società, e del partito di Di Pietro, tra i politici. Iniziamo da quest’ultimo: nessuno può negare che quella dell’IdV sia vera opposizione a Berlusconi, più convinta della mollezza del PD, più convincente delle vaghezze di Vendola, e più incisiva dello smarrimento dei sindacati. Bene, dunque, per la capacità di questo partito e il modo in cui ha sopperito alle esitazioni altrui. Tuttavia, nonostante i suoi meriti, Di Pietro incarna pur sempre la figura del demagogo populista, almeno tanto quanto la destra che lui stesso condanna; e alcune sue uscite - invocazioni striscianti a una guerra civile, sparate nel mucchio senza troppo criterio - sono pericolosi segnali di un atteggiamento poco responsabile.

Poi ci sono gli indignados, che nascono intellettualmente in Francia alla fine del 2010, con il caso editoriale di “Indignez vous!”, libro dell’ex partigiano novantatreenne Stéphane Hessel. Il termine è stato in seguito adottato alla lettera dai giovani spagnoli scesi in piazza e rapidamente imitati in Israele e in altre aree del mondo, fino a Wall Street negli ultimi giorni. In Italia, gli indignados hanno raccolto molti sostenitori nei movimenti come i grillini e il Popolo Viola, che già da tempo si scandalizzavano per la situazione al governo.

Accolti con sollievo da chi, come noi, era nauseato della situazione attuale, speravamo che potessero far confluire in un progetto di cambiamento collettivo le tante indignazioni individuali. Invece, per lo meno in Italia, il movimento è collassato su una sterile condanna dello status quo, limitandosi a vaghe invettive, discorsi che si riducono a slogan sconclusionati. Gli appartenenti a questo movimento hanno in comune solo l’antipatia per il capitalismo e le banche, ma si guardano bene dal chiamarsi comunisti; e l’odio per i politici, senza però dirsi anarchici. Ma chi sono, in fondo, i politici? E le banche? Dovremmo forse abolirli tutti? E per sostituirli come, poi?

 Sia Di Pietro che gli indignados, in ultima analisi, rappresentano un populismo vuoto di contenuti e di proposte ed è sconfortante che siano queste le uniche reazioni forti alla situazione nauseante in cui versa il nostro Paese. Certo, gli indignados non sono il male dell’Italia, ma pensare che dalla società non riesca a nascere niente di più produttivo, ci lascia sgomenti.

Ma forse siamo solo impazienti. Speriamo davvero che funzioni anche stavolta: toccato il fondo, poi si risorge.

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