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QT n. 10, ottobre 2011 Monitor: Danza

Oriente Occidente 2011 seconda parte

Rivoluzioni d’Oriente

“Women of Kassem Amin”

Seguendo l’intento dichiarato di voler indagare gli intrecci e le molteplici rotte che ancora oggi attraversano l’area mediterranea, nella seconda parte della rassegna lo sguardo di Oriente Occidente si è posato sull’altra sponda del mare nostrum, proponendo un affascinante viaggio dalle coste del Marocco a quelle della Turchia, passando per Algeria, Egitto e Israele. Molti gli spettacoli interessanti e “diversi”, sia rispetto alle aspettative che alle consuetudini della danza contemporanea occidentale. Non che le compagnie del mondo arabo e mediorientale siano esenti da contaminazioni e influssi provenienti dall’Occidente, ma riescono a farle proprie e reinterpretarle con una varietà di esiti assolutamente originali e genuini, senza mai perdere la propria specificità.

Data tale premessa, uno degli spettacoli più affascinanti proposti nell’ambito del Festival è stato Women of Kassem Amin, della compagnia di danza moderna egiziana diretta da Walid Aouni. Molto suggestivo l’allestimento, costellato di trovate sceniche semplici ma alquanto efficaci, come i lunghi veli neri che all’apertura del sipario imprigionavano le teste dei danzatori scendendo direttamente dal soffitto; di schiacciante attualità l’argomento: l’emancipazione femminile nella società araba sulla scorta delle teorie di Kassem Amin, filosofo egiziano che già sul finire dell’Ottocento teorizzò la liberazione delle donne arabe dal velo. E proprio l’uso simbolico dei veli ha fatto da trait d’union all’intera rappresentazione, sottolineandone i momenti di evoluzione attraverso improvvisi cambi di colore, dall’angosciante nero delle sequenze iniziali ai costumi sgargianti indossati dai danzatori nel finale, passando per il bianco liberatorio delle vesti femminili e delle pagine dei libri di Amin. Anche tecnicamente la nutrita compagnia egiziana si è mantenuta all’altezza della situazione, esibendo una vivacità e una naturalezza molto applaudite dal fortunato pubblico del Teatro Sociale, a dir il vero un po’ scarno, forse a causa di uno spettacolo concomitante a Rovereto.

Meno riuscito invece il secondo spettacolo firmato da Aouni, Le port de l’Orient, orientaleggiante fino all’eccesso in un tripudio di costumi e suggestioni da Mille e una notte.

Tra gli altri appuntamenti particolarmente attesi e apprezzati dal pubblico del Festival, Deca Dance, dell’ensemble israeliano Batsheva, guidato dal celebre coreografo Ohad Naharin, che in questo lavoro ha rivisitato alcuni tra i pezzi maggiormente rappresentativi della sua carriera ormai più che ventennale. C’è sempre qualcosa di vicino ma, allo stesso tempo, di molto lontano dalla nostra cultura nelle creazioni di danza israeliane, che spesso traggono la loro forza magnetica dalla nitidezza e dalla ripetizione ossessiva dei movimenti. Tutto ciò alternato ad improvvisi sprazzi di comicità e al desiderio di coinvolgere il pubblico, invitandolo letteralmente a salire sul palco e sovvertendo così il tradizionale rapporto danzatore-spettatore.

“Deca Dance”

Compie un’operazione simile anche il coreografo franco-algerino Abou Lagraa che, nell’ambito del progetto triennale “Pont Culturel Méditerrranéen”, ha messo in scena due pezzi per una compagnia di ballerini hip hop, mescolando danza di strada e contemporanea in uno spettacolo di grande potenza espressiva. Altrettanto coinvolgenti le due esibizioni del turco Ziya Azazi, interprete contemporaneo della tradizione Sufi dei cosiddetti “dervisci rotanti”, che con le sue interminabili rotazioni concentriche ha ipnotizzato il pubblico dell’Auditorium Melotti e della piazza del Mart.

Menzione speciale infine per la compagnia tutta roveretana di Francesca Manfrini, vincitrice dell’ultima edizione del concorso coreografico Danz’è, conquistatasi a pieno titolo il diritto di salire sul palco di Oriente Occidente con uno spettacolo essenziale e poetico, Under the Tree’s Voices, ispirato alle risonanze degli abeti della foresta di Paneveggio.

Anche quest’anno l’offerta del Festival è stata arricchita da numerose iniziative collaterali: particolarmente azzeccate - e frequentate anche da un pubblico di non addetti ai lavori - le conferenze dedicate alla primavera araba. Peccato però, accanto alle voci di analisti politici, sociologi, scrittori e giornalisti, non aver potuto ascoltare anche quelle dei coreografi, anch’essi testimoni, oltre che in alcuni casi protagonisti, delle rivoluzioni di piazza che hanno sconvolto la sponda sud del Mediterraneo.