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Silenziosi, come alberi che crescono

Storia di una manifestazione di bambini a Kanawat, Uganda

Angela Baldo

Questa è una storia africana. Non una di quelle storie che, come gli alberi che cadono, fanno rumore. Questa storia è come quegli alberi che crescono, silenziosi, che nessuno nota finché, dopo tanto tempo, non diventano una foresta. In ognuno di quegli alberi c’è una piccola rivoluzione.

Questa storia inizia una mattina di fine settembre, presso la scuola di Suor Gloria, direttrice della Mary Mother of God Primary School di Kanawat, un piccolo centro del distretto di Karamoja, in Uganda. In quanto volontaria di ASSFRON, stavo visitando le scuole del Karamoja per coinvolgerle nel progetto di forestazione e di gemellaggi tra scuole ugandesi e trentine promosso dall’associazione.

Ero stata a visitare quindi anche la scuola di Suor Gloria, la quale mi aveva detto che avrebbe organizzato una manifestazione di protesta con i suoi bambini. Il problema era che gli abitanti del villaggio scaricavano un sacco di rifiuti nonché di escrementi (propri e dei loro animali) sulla stradina di entrata alla scuola. Una grave scorrettezza dal punto di vista ambientale, ma soprattutto sotto il profilo igienico-sanitario, perché i bambini, scalzi, e gli insegnanti, dovevano attraversare ogni giorno quel viale. Suor Gloria, una generalessa colombiana piena di energia, non poteva che indignarsi di fronte a questa situazione e aveva quindi deciso di organizzare una manifestazione di protesta con i suoi bambini.

Un paio di mattine dopo, il giorno previsto per la manifestazione, mi recai di nuovo alla scuola e trovai la direttrice nel cortile, tra i suoi bambini, intenta a dare ordini sull’organizzazione, distribuire scope, rastrelli e guanti che avrebbero usato per pulire, mentre gli insegnanti finivano di preparare i cartelloni che poi i bambini avrebbero usato durante la dimostrazione. Dopo aver cantato l’inno nazionale, Suor Gloria spese qualche minuto per incoraggiare i ragazzi, gridando frasi come: “Protestiamo come bambini dell’Uganda!... Un ambiente pulito è il presupposto dell’educazione!”. I bambini di fronte a lei alzavano al cielo scope e rastrelli e mani infilate in guanti rossi di plastica. Fu meraviglioso sentire quelle parole; a quei bambini era stato dato un significato, uno scopo non banale alle loro azioni. Certo, erano guidati dagli insegnanti, ma erano attivi protagonisti di una cosa che li riguardava e che sentivano tale. Erano loro in prima persona a protestare, a reclamare un ambiente pulito e sano!

Immediatamente i bambini vennero divisi in gruppi e disposti uno dopo l’altro: ogni gruppo avrebbe seguito il precedente, plotoni di bambini convintamente e gioiosamente manifestanti, che marciavano nel villaggio, cantando canzoni e slogan, brandendo i loro pacifici ma significativi strumenti di protesta. Ed erano tanti: milleduecento. La marcia fu memorabile: un’ordinata moltitudine, gruppi di piccoli festosi e cantanti a protestare contro i loro genitori, i loro parenti, per il rispetto dell’ambiente. Alcuni gruppi cantavano canzoni locali, altri gridavano slogan, altri saltavano al ritmo del battimani: tutti uniti per lo stesso scopo.

Dopo aver attraversato il villaggio, i gruppi, ancora attivissimi in canti e danze, si riavvicinarono alla strada e quindi all’entrata del vialetto che conduce alla scuola. Guidati da Suor Gloria, chi con scope e rastrelli, chi con le mani, cominciarono a radunare la spazzatura a mucchietti. I mucchi di spazzatura vennero dati alle fiamme, come si usa (purtroppo) da quelle parti, e in poco tempo il vialetto prese un aspetto diverso. Il lavoro continuava, sotto l’occhio vigile di Suor Gloria, e i bambini non davano segno di stancarsi o voler lasciar perdere. Eravamo tutti avvolti in una nube di fumo e polvere, ma i canti e il lavoro non cessarono.

Poco dopo si presentarono un paio di persone che, preso il megafono, iniziarono a parlare ai ragazzi e al villaggio. Costoro non erano state invitati, non c’era niente di ufficiale in quella manifestazione, non erano state avvisate le autorità locali. Arrivarono e basta; milleduecento bambini in marcia avevano fatto rumore a sufficienza. Uno di questi era l’LC1, ossia il Local Chief di primo livello (la carica amministrativa locale più bassa), il quale ringraziò i bambini e, rivolgendosi alla comunità, li difese sostenendo che avevano diritto a una scuola pulita e sana e che era una vergogna che fossero loro a dover pulire i rifiuti prodotti dalla comunità. Sullo stesso tono tenne un breve discorso anche il capo della polizia locale. In ultimo prese il megafono uno dei bambini di Suor Gloria, uno dei più grandi, che aveva guidato il corteo; senza alcun timore a parlare in pubblico, fin troppo sicuro per i suoi 12 o 13 anni, sottolineava il fatto che da quel momento la scuola, i bambini, avevano fatto un agreement, un accordo, con le autorità locali e che se qualcuno avesse sporcato di nuovo la scuola sarebbe incorso in sanzioni.

Ho cercato di immortalare nella mia mente ognuna delle scene a cui ho assistito e in ognuna di esse ho visto qualcosa.

Questa scuola è un esempio per molte altre, ugandesi e non; anche per le scuole italiane, io credo. Ho visto una dirigente motivata, convinta, e innamorata del lavoro che fa. Innamorata di ognuno dei suoi bambini e dei suoi insegnanti. Innamorata della scuola, che mantiene con le sue stesse mani, come fosse un piccolo gioiello: le aiuole davanti agli edifici, i fiori, la piccola foresta, le reti da pallavolo; tutto è curato e amato come in nessun’altra scuola dei dintorni, e tutto quello che è fatto, è fatto semplicemente per sua volontà, non per dovere. Questa donna è innamorata dei suoi bambini: non solo li educa e li nutre, ma crea momenti educativi diversi, perché crede che il ruolo della scuola non si limiti a impartire nozioni e che il mondo fuori dalle classi sia altrettanto educativo quanto studiare sui libri.

Questi bambini, anzi questa scuola, sono un esempio. Un esempio di impegno: se credo in qualcosa lo faccio, a prescindere dai risultati che otterrò e a prescindere dall’avere o meno supporter o oppositori. Un esempio di forza, di potere: ognuno di noi ha la possibilità di agire per modificare delle situazioni che non gli piacciono; ognuno di noi, singolarmente, ha il potere, seppur piccolo, di contribuire a costruire dei cambiamenti. E insieme, ognuno singolarmente insieme agli altri, siamo più forti e potenti, possiamo riuscire a produrre modificazioni importanti.

Questi bambini sono stati un esempio anche per la loro comunità, dal livello locale a quello nazionale. Hanno dimostrato che c’è un modo speciale per fare le cose, un modo guidato dal senso, dalla motivazione e dall’impegno. Per questo hanno ottenuto dei risultati: educativi, verso se stessi e gli altri, nonché concreti, ottenendo l’attenzione e l’impegno delle autorità e della comunità. Il giorno della manifestazione i bambini di Suor Gloria non sono andati a scuola per mangiare, come spesso succede qui. La scuola è nata per dare nutrimento intellettivo ai bambini, ma da queste parti, dove il cibo spesso scarseggia, la scuola diventa spesso anche un mezzo di sostentamento fisico. Quella mattina, i bambini della Mary Mother of God Primary School di Kanawat, sono andati a scuola per nutrirsi di ben altro; per impegnare le loro voci, le loro facce, i loro corpi in un’azione collettiva piena di senso e, credo, pienamente educativa. Sono stati loro gli insegnanti, oggi, per loro stessi e per tutti gli adulti.

Nessuno ha notato quanto successo quel giorno a Kanawat; non c’è stato nessun articolo su alcun giornale, nessun servizio durante alcun telegiornale. Questi bambini non hanno fatto rumore, come gli alberi che cadono. Questi bambini sono come gli alberi che crescono, silenziosi e discreti; nessuno li nota finché, tra qualche anno, saranno diventati alberi grandi e forti, quel tipo di alberi che potranno essere una ricchezza per la loro gente.