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QT n. 1, gennaio 2012 L’intervento

Art. 18: totem sì o no?

“Non ci sono totem”. Non è la sconsolata constatazione di circostanza alla fine di un film western, ma la risposta del ministro del Welfare Elsa Fornero alle punzecchiature sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In un’ampia intervista al Corriere della Sera firmata da Enrico Marro, il ministro ha sintetizzato il suo pensiero in merito: “Sono abbastanza anziana per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: ‘Non voglio vincere contro mia figlia’. Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte”.

Poco prima, la Fornero aveva introdotto il tema di un contratto unico “vero, non precario”, che “includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto”. Da ciò la domanda, un po’ provocatoria, di Marro sull’articolo 18; da ciò, di conseguenza, una risposta (infelice) che ha turbato non pochi animi.

Il ministro Fornero, capita la gaffe, ha successivamente rettificato, dal salotto posticcio di “Porta a Porta”, dicendosi pronta a sostenere che l’articolo nemmeno lo conosce. “Prima emergenza è l’occupazione. C’è tanto da fare nel mercato del lavoro, l’articolo 18 arriva per ultimo”. Che Bruno Vespa sia capace di istillare uno spirito più conciliante rispetto al collega Marro? Ne dubitiamo, ma non si può mai dire.

Per entrare nel merito del discorso, però, bisogna chiarire che l’articolo 18 non è né un totem, né l’ultima delle questioni. E che il ministro, questo, lo sa bene.

Lo Statuto dei lavoratori rappresenta una conquista sindacale, politica e di civiltà sulla quale non si può pensare di tornare indietro. Hanno ragione, perciò, il sindacato e quella parte di Pd che difendono l’incolumità dell’articolo 18.

È altrettanto vero però che, ad oggi, esso tutela una parte limitata di lavoratori: quelli che sono assunti a tempo indeterminato in aziende con più di 15 dipendenti. Può bastare? Certamente no.

Oltretutto, lo Statuto del ’70 è già stato abbondantemente aggirato e, a volte, beffeggiato dai datori di lavoro. Complici le infinite forme di contratto precario oggi esistenti, il padrone (il termine riacquista vigore nell’Italia dei Marchionne) ha sfruttato vari stratagemmi per sottrarsi alla legge. Come mantenere l’azienda al di sotto dei 15 addetti; oppure assumere con tutte le forme di contratto di cui sopra, evitando come la peste il tempo indeterminato.

Perché una regola funzioni, infatti, non basta che esista. Le regole vanno opportunamente create, ma devono poi essere inserite in un contesto applicativo ed essere legate ad un contesto sociale. E, soprattutto, devono essere fatte rispettare.

Questo ragionamento vale anche per il reintegro in azienda previsto dall’articolo 18. Secondo la norma, il lavoratore licenziato “senza giusta causa o giustificato motivo” deve essere reintegrato nel posto di lavoro; in alternativa, egli può scegliere di ricevere una indennità pari a quindici mensilità. Ebbene, quanti sono i lavoratori che scelgono l’una o l’altra possibilità? Chi, onestamente, tornerebbe a lavorare in una realtà ostile, nella quale i colleghi possono diventare maldisposti ed il padrone dimostrarsi rancoroso e vendicativo? I numeri dicono che i lavoratori reintegrati sono, all’anno, poche decine; a volte l’accordo economico lontano dai tribunali è preferito sia dal titolare che dal lavoratore.

Lo stesso reperimento da parte dei legali delle informazioni circa il numero di dipendenti di un’azienda in un particolare anno è complesso. Le visure della Camera di commercio forniscono (solo a fini statistici) il numero di dipendenti delle aziende, ma si riferiscono all’ultimo aggiornamento disponibile: per quanto riguarda gli anni precedenti, la richiesta deve essere inoltrata all’INPS (si può intuire con quale semplicità).

Paradossalmente, poi, la legge tutela il singolo lavoratore, ma non quei dipendenti che vengono messi massivamente in cassa integrazione per poi essere lasciati a casa. Come sta succedendo a Genova, dove centinaia di operai di Finmeccanica rischiano seriamente di rimanere per strada mentre dirigenti criminali (Guarguaglini) se ne vanno di soppiatto ricevendo buonuscite milionarie.

Questo è davvero il meglio che ci si può aspettare? La risposta, ferma, dev’essere “no”. Bisogna andare oltre l’articolo 18: non per superarlo o renderlo obsoleto, ma per estendere i diritti e allargare le tutele dei lavoratori. Adeguandole al sistema attuale e rendendole, così, più efficaci.

In altre parole: se al padrone, allo stato attuale delle cose, conviene comportarsi in un modo che, pur mantenendosi all’interno della legge, diventa di fatto eversivo, servono altre soluzioni. Il dramma reale è che oggi, in Italia, ci sono quasi quattro milioni di lavoratori precari ai quali lo Statuto dei lavoratori non si applica. Per licenziarli, è sufficiente non rinnovare loro il contratto.

Quali prestazioni può garantire un lavoratore sul quale grava l’ansiosa prospettiva di un mancato rinnovo? Come può essere messo in pratica, così, il lifelong learning del quale qualcuno, a suo tempo, si è riempito la bocca? Quale crescita ne può derivare?

Ci avevano raccontato che i contratti atipici avrebbero risolto il problema dell’immissione nel mondo del lavoro; che, a fronte di minori tutele, le retribuzioni sarebbero state più alte. Frottole con le quali si è provato a giustificare e spingere avanti un sistema iniquo e insostenibile. Che oggi non può più stare in piedi. Per fortuna, viene da dire. Perché ora si apre la possibilità, finalmente, di rimetterlo in discussione.

Il “contratto unico”

A questo proposito il “contratto unico” di cui parla il ministro Fornero potrebbe, se opportunamente definito e tenuto sotto controllo, rappresentare un’occasione di svolta su cui sarebbe delittuoso non confrontarsi.

La proposta non va accolta in modo acritico. Ma è un segnale incoraggiante che si incominci a parlare di estensione dei diritti: di assunzione a tempo indeterminato da subito; di stipendio dignitoso, adeguato ai contratti nazionali e con soglia minima; di diritto a ferie e permessi retribuiti, a periodi di malattia, al congedo per maternità, a orari e ruoli definiti, al trattamento di fine rapporto; di contributi pagati dal datore di lavoro.

Certo, un simile sistema deve mettere in conto, tra le possibilità, anche il licenziamento. Che però è previsto pure adesso: manifesto (l’articolo 18 non a caso parla di “giusta causa”) o mascherato (il mancato rinnovo del contratto precario). In compenso, però, un nuovo contratto definito con serietà potrebbe prevedere, in caso di licenziamento, anzitutto una buonuscita, e poi un sussidio (anche a decrescere) per tre anni, inserito in un sistema di welfare nazionale, e ancora un servizio di formazione continua e di ricollocamento a carico dell’azienda licenziante.

Le cose buone, però, non vengono da sole. E forse un governo di stampo conservatore, per quanto tecnico, non è in grado di portare a termine in autonomia una riforma convincente. Per tale ragione c’è bisogno dell’intervento di molti, a partire dal sindacato, che deve garantire un controllo vigile, onesto e inflessibile.

Non si può dire, oggi, se Elsa Fornero sia il ministro giusto, né se l’attuale governo liberal-capitalista sia quello buono: ma il dibattito rappresenta un’occasione da non perdere per ridare dignità al lavoro.

La lotta è appena cominciata. Ed è di classe.

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Articoli attinenti

Nello stesso numero:
Equità o macelleria?
In altri numeri:
Il lavoro, l’articolo 18, il Trentino
Roma: le emozioni, le ragioni
Il ritorno dell’articolo 18

Commenti (7)

Rob

persecuzione delle finalità del contratto stesso e delle sue relative conseguenze

che significa persecuzione delle finalista' del contratto stesso? non significa proprio nulla ...l'art.18 riguarda il 3%delle aziende in italia. L'imprenditorialita' non centra nulla . infatti riguarda solo le piu' grandi anziendi.
non si puo' perseguire una finalita' , lei alza un polverone con paroloni per confondere i lettori senza esprimere concetti chiari .
Cosa c'entra la riforma del lavoro con quella giudiziaria? nulla . Lei delira
il governo non sta' attuando alcuna riforma giudiziria (Semmai lievi aggiustamenti)

La riforma va fatta: questo è l'unico concetto chiaro che ha espresso nel suo contorto e assurdo scritto .

^Far parte dell'UE, ormai è una realtà certa, non possiamo pensare di "far i conti senza l'oste", cioè senza considerare che facciamo parte di una più grande comunità, (di cui godiamo alcuni privilegi e ci prendiamo anche i problemi), sia che siamo daccordo o no! ^
Questa frase non ha alcun senso , le leggi e regolamenti sul lavoro e sullo stato sociale
differisco da stato a stato anche negli stati dell'eurozona .

^Le riforme attuali, del governo tecnico, mirano, da una parte, a pagare gli interessi sul debito pubblico, i crediti d'imposta alle imprese tramite la donazione di BTP e obbligazioni, a risparmiare con la manovra dei tagli e ricorsi^ puro delirio
se non sa di cosa sta' parlando potrebbe informarsi un pochino prima , le riforme non servano a pagare nessun'interesse , lo stato
non dona btp tanto meno obbligazioni (Se sa la differenza ) la manavro dei tagli e ricorsi? ma di cosa sta' parlando? ma soprattutto cosa sta' dicendo?

^più potere contrattuale e quindi più potere decisionale all'Italia, ^ cosa sarebbe il potere decisione dell'italia? e il potere contrattuale?

Le banche non immettono liquidita' nel mercato , semmai le banche creano il credito
la liquidita' la creano solo la banche centrali
(lei è molto confusa oltre che scorretta)
non mi sembra che monti abbia preso una sola
iniziativa verso le banche private! ma solo verso i lavoratori

d^are maggiori possibilità di investire, significa anche, dare la possibiltà di pagare gli interessi sul debito pubblico e se c'avanza accrescere la ricchezza nazionale. ^

Questo non solo è falso ma è ridicolo perchè appunto gli investimenti esteri indeboliscono notevolmene il saldo finanziario finale degli stati (gli investimenti esteri di fatti sono crediti dall'estero quindi debiti per lo stato)

Fallucca se non sa di cosa sta' parlando non scriva , rimango della mia idea che lei sia
un troll un disturbatore che sta' purtroppo inperversando in questo sito

Fallucca Concetta

Rob,
non so cosa significa troll, se puoi descrivermelo!
Penso si aver analizzato la situazione politica e aver commentato con il mio punto di vista, ciò che ritengo sia giusto.
Spero per te, che riesci ad accettare che qualcuno possa pensarla diversamente e senza offendere, commentare il tuo punto di vista!

Rob

Concetta , lei (che si definisce educatore)
è un troll...(ovvero ha scritto un elenco di stupidaggini)

Fallucca Concetta

BALLANDO CON L'EUROPA!

La riformulazione o l'ampliamento dell'art.18 sul piano giuridico, tale da poter dare un più ampio significato di "giusta causa",con la relativa possibilità di soluzioni precise, è nesso con gli investimenti nazionali o esteri, perchè nel momento in cui, un imprenditore decide di investire i propri soldi in un affare, non solo tiene conto se questo è remunerativo o il bilancio è attivo, ma anche e soprattutto dei vincoli, delle prassi e delle norme che si attuano nella formulazione, nell'attuazione e persecuzione delle finalità del contratto stesso e delle sue relative conseguenze.
Ciò, non vuol dire che bisogna andare unicamente a favorire gli interessi degli investitori, (prima di tutto la tutela dei diritti del lavoratore), ma neanche di scoraggiarli o fermarli con una miriade di prassi e norme ingombranti.
L'art.18, si va ad inquadrare in una riforma più grande, che è quella del lavoro, concatenata alla ulteriore riforma giudiziaria, che può, così, garantire una maggiore tutela delle parti, senza che il giudice possa rimandare all'infinito una vertenza e prendere una decisione chiara e netta, che la legge meglio formulata gli consentirebbe!
Risparmio di tempo, denaro e soprattutto maggiore garanzia da parte della legge!
La riforma va fatta, tenendo conto dei diritti del lavoratore e del lavoro stesso, che dev'essere efficiente e produttivo.
Per quanto riguarda, il servizio di formazione continua e di ricollocamento si è pensato, nel piano Fornero, di farlo a carico delle Regioni.
Far parte dell'UE, ormai è una realtà certa, non possiamo pensare di "far i conti senza l'oste", cioè senza considerare che facciamo parte di una più grande comunità, (di cui godiamo alcuni privilegi e ci prendiamo anche i problemi), sia che siamo daccordo o no!
Le riforme attuali, del governo tecnico, mirano, da una parte, a pagare gli interessi sul debito pubblico, i crediti d'imposta alle imprese tramite la donazione di BTP e obbligazioni, a risparmiare con la manovra dei tagli e ricorsi ( è incredibile, l'efficienza con cui 26 leghisti hanno chiesto il rircorso per l'adeguamento del loro stipendio, visto che non ancora è stato istituito, e se lo è, con quali soldi? Mi pare, di ricordare, che il fondo ricorsi, sia la somma dei tagli del 10% sugli aumenti che dovevano avere nelle prossime mensilità, i deputati!
Non sono daccordo, il fondo deve avere altre finalità, come ad es. il rafforzamento dei FAS. Noi, cittadini, se dobbiamo fare dei ricorsi, dobbiamo pagare di tasca nostra!), dall'altra parte, fase 2, ad accrescere il benessere nazionale che determina maggiori opportunità di lavoro, più occupazione= più potere contrattuale e quindi più potere decisionale all'Italia, sgravi ed agevolazioni fiscali, investimenti nazionali ed internazionali, di cui,soprattutto nel medio-lungo periodo, vedremo i risultati.
Ecco perchè, la prima preoccupazione di Monti, sono le banche che detengono le fila del mercato monetario internazionale e sono loro, con le loro manovre finanziarie a determinare una crisi, come quella attuale e ad immettere liquidità nel mercato, dando la possibilità di fronteggiare il momento e riprendere la crescita economica,(sempre che qualcuno non si metta i soldi in tasca o venga canalizzato solo e sempre per determinati settori!).
Dare maggiori possibilità di investire, significa anche, dare la possibiltà di pagare gli interessi sul debito pubblico e se c'avanza accrescere la ricchezza nazionale.
Ogni settore e parte sociale è chiamata, in questo momento, a contribuire con le proprie proposte e idee, tenendo conto di una visione comunitaria,per rendere più attiva e competitiva la nostra Italia!

Rob

grazie a te Luca ,

oggi ci spiegano perchè è cosi' importante ...
ce lo chiedono 'i mercati'(!) poi le spread scendera'...(interessante questo spread va' su e giu' nei monenti importanti...)

Da "LA REPUBBLICA" di martedì 7 febbraio 2012

Cosa c`è dietro l`accelerazione dell`esecutivo sulla riforma delle nonne sui licenziamenti "L`articolo 18 vale 200 punti di spread il governo cerca la sponda europea ROBERTO MANIA ROMA - Spread e articolo 18.

L`uno dipende dall`altro. Per far scendere il primo, bisogna intervenire sul secondo. Solo apparentemente non c`è connessione tra l`andamento dei titoli pubblici italiani e la norma dello Statuto dei lavoratori che tutela con il reintegro nel posto di lavoro il licenziamento senza giusta causa.

http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=77952168

Luca F.

Anch'io me lo sono domandato: perché questo attacco frontale e continuo? E cosa c'entra l'articolo 18 con gli investimenti esteri?
Grazie del contributo, Rob. Vale la pena di approfondire.

Rob

ma se l'articolo 18 è usato solo in pochissimi casi , se - è chiaro - l'abolizione dell'articolo 18 non fara' ripartire l'economia e non migliorera' la competitivita'

perchè la politica si ostina ad attaccare questo articolo a tutela dei lavoratori?

altra domanda : perchè monti si preccupa tanto degli invenstimenti esteri che sarebbero ostacolati dalla presenza dell'art.18? Monti è il presidente del consiglio della repubblica italiana o un consulente di private banking?o tutte

e dei le cose ?

Qui degli spunti per approfondire :

http://goofynomics.blogspot.com/2012/01/la-crisi-la-svendita-e-mi-cuggino.html

http://goofynomics.blogspot.com/2012/02/quod-erat-demonstrandum-4.html
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