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Pareggio di bilancio: e la Costituzione?

Luciano Bocchi

Questa mattina ho partecipato ad un emozionante dibattito sulla nostra Costituzione, organizzato dall’associazione “Ora e Veglia”, cui ha portato una toccante testimonianza di vita personale e di racconto repubblicano Rosa Russo Jervolino. Per qualche minuto ho vissuto un piacevole senso di democrazia, ho riassaporato il gusto di vivere in una repubblica con tanti difetti, ma con la forza di essere nata dalle viscere e dalle intelligenze di tante donne e tanti uomini così diversi politicamente tra loro da trovare alti compromessi per lasciarsi definitivamente alle spalle vent’anni di dittatura fascista e una monarchia correa dei delitti del nazi-fascismo.

Poi, tornato a casa, ho trovato il tempo di leggere la modifica costituzionale approvata dal Parlamento pochissimi giorni fa, nel consenso generale o - forse meglio - nel silenzio di tutti. La modifica che introduce il cosiddetto “pareggio di bilancio” nell’articolo 118 della Costituzione. Un’approvazione a larghissima maggioranza (pari a quella che sostiene il governo che ancora molti si ostinano a chiamare “tecnico”). L’ho letta e mi sono chiesto come possa una Costituzione inserire al proprio interno una norma che autorizza a sospendere le tutele che dovrebbe garantire e gli stessi diritti che proclama fondamentali. Eppure è quanto è successo: nella sua versione letterale, gli effetti di questa scelta saranno catastrofici: il diritto alla salute, all’istruzione e alla mobilità, le garanzie di sicurezza verranno subordinate alla suprema virtù del pareggio di bilancio. Non è difficile prevedere che le medesime conseguenze, insieme disastrose e grottesche, che i Comuni stanno sperimentando nel nostro Paese in seguito al patto di stabilità, diverranno normalità per qualsiasi livello di amministrazione pubblica. In altre parole, i diritti costituzionali dei cittadini e dei lavoratori saranno subordinati al vincolo che rende imperativo e prioritario il pareggio di bilancio.

Mi si dirà che l’applicazione dell’equilibrio di bilancio sarà temperata dal rispetto degli altri principi costituzionali che non sono stati soppressi. Me lo auguro di cuore. Resta però il fatto che senza quasi dibattito e senza che nemmeno questa novella costituzionale possa essere sottoposta ad un referendum popolare (vista l’approvazione con più di due terzi di Camera e Senato), si è recato un grave vulnus al principio di uguaglianza sostanziale dell’articolo 3 della Costituzione.

La modifica costituzionale riporta indietro l’orologio del tempo, fingendo che tutti si sia uguali e che le differenze sociali non esistano. Ad una concezione in cui si vieta in assoluto allo Stato (meglio alla Repubblica) di intervenire mediante la spesa pubblica allorché ciò sia considerato necessario per superare disuguaglianze sociali ed economiche. È la definitiva consacrazione dell’assoluta supremazia delle leggi economiche del mercato nei confronti di qualsiasi altro pensiero di sviluppo sociale e politico del nostro Paese.

François Hollande, candidato della sinistra (quella moderata) alla presidenza francese, ha già detto chiaramente che, se vincerà le elezioni, in Francia non si accetterà il ricatto della Banca centrale europea e non sarà costituzionalmente sancito il pareggio di bilancio.

A quando le elezioni in Italia che consentano a noi cittadini di poter spezzare questo triste “vogliamoci tutti bene” che sotto il ricatto della crisi economica sta unendo destra e sinistra a sostegno di un governo tecnocratico e di un Parlamento senza più ruolo che si presta persino (non so quanto consapevolmente) a minare anche i fondamenti costituzionali della nostra Repubblica?

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