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Il Mali e la Francia

... e la non politica estera dell’Unione Europea

Mali

Si è assistito negli ultimi due anni ad uno straordinario attivismo francese nel Nord-Africa, che ha avuto notoriamente i suoi momenti culminanti nell’intervento dell’aviazione d’Oltralpe in Libia - che bloccò l’avanzata delle truppe di Gheddafi sulla ribelle Bengasi e segnò il punto di svolta della guerra - e il più recente deciso intervento in Mali. Non che la Francia fosse nuova a questo genere di interventi nell’area, da sola o in compagnia di potenze alleate. Ma è indubbio che i due interventi menzionati hanno dato un segnale all’Europa e al mondo di un nuovo protagonismo, che si inserisce peraltro logicamente e consequenzialmente nel quadro della (non) politica estera europea degli ultimi anni.

Si è detto che la Francia ha voluto, con l’intervento in Mali, salvaguardare i propri interessi nel vicino Niger, suo prezioso fornitore di uranio, che correva il rischio di essere a sua volta vittima di invasioni di marca jihadista.

François Hollande

Si è detto, con l’intervento in Libia, che la Francia ha voluto conquistare un posto al tavolo della spartizione delle ricchezze petrolifere del paese, da cui era in sostanza emarginata soprattutto a causa del quasi monopolio dell’ENI.

Tutto vero, ma questo non giustifica due imprese militari (e di quale portata!) nel giro di soli due anni. È noto - ultimo importante tassello di questo interventismo francese - che già l’ultimo Sarkozy aveva annunciato interventi “coperti” nella vacillante Siria, che si sono poi concretizzati in aiuti in armi, denaro, istruttori e forse anche in azioni segrete sul campo. Una politica che non risulta sia stata con chiarezza smentita dal suo successore Hollande. Insomma, tutto il Mediterraneo arabofono e persino l’Africa sub-sahariana hanno visto un ritorno massiccio delle truppe francesi, che sono state manovrate dall’Eliseo con abilità, tempestività e una attenta regia propagandistica.

In Libia come in Mali i francesi sono stati salutati come campioni della libertà e restauratori della democrazia: niente di nuovo, anzi, si direbbe, un revival sfolgorante del tempo glorioso in cui le armate di Napoleone esportavano in mezza Europa i principi della rivoluzione francese. L’ex-potenza coloniale in Nord-Africa si è trasformata in poco tempo in un baluardo delle libertà dei popoli...

Le cause

Questo straordinario successo, che si è già favorevolmente ripercosso sulle esportazioni francesi nell’area accrescendo anche il potenziale geopolitico del paese transalpino, ha avuto diverse cause concomitanti. Innanzitutto la difficoltà degli altri due grandi paesi dell’Europa meridionale, Spagna e Italia, a perseguire con mezzi e continuità i propri interessi nel Nord-Africa, in un periodo di gravissima crisi finanziaria interna che li ha costretti in pratica a trascurare la politica estera. Siamo lontani dai tempi di Andreotti e di Craxi, e persino da quelli di D’Alema, la cui politica di appoggio discreto e interessato ai dittatori nordafricani non aveva conosciuto soluzione di continuità, venendo peraltro continuata e rafforzata dal governo Berlusconi fino alla fine di Gheddafi. La Primavera Araba ha scombinato il quadro, e la Francia, prima a capirlo, si è inserita con prontezza di riflessi nello scacchiere, anche profittando della fragilità geopolitica e economica dei concorrenti.

Ma soprattutto la Francia si è inserita in un grande vuoto, quello della politica estera della Unione Europea, incapace a tutt’oggi di esprimere linee e visioni condivise. È insomma, questo interventismo francese in Africa, un segno bifronte: al successo della Francia fa da contraltare la conclamata impotenza geopolitica della UE. Si tratta di un altro segnale di sgretolamento dell’edificio europeo dopo quello, forse più macroscopico, della crisi infinita dell’euro?

Come sa ogni storico e ogni politologo, niente definisce meglio uno stato che il possesso di una moneta comune e di una politica estera comune. Gli USA hanno precisamente entrambe le cose: il dollaro e una politica estera condivisa da tutti gli stati dell’Unione.

La recente guerra “privata” dei francesi in Mali ha messo sotto gli occhi di tutti, a cinquant’anni dai Trattati di Roma, non tanto l’assenza di una politica estera europea, quanto - cosa assai più grave - la fine di ogni speranza o volontà comune al riguardo. I paesi europei vanno sempre più, e sempre più convinti, in ordine sparso: la Germania punta a Est e, dando per scontato che la crisi dell’Europa occidentale è per certi versi irreversibile, sta sviluppando commerci e affari con la Russia, l’Asia Centrale e la Cina; la Francia ha puntato a sud, sulle ex colonie proprie e altrui (il caso Libia docet); l’Inghilterra di Cameron, sdegnosa dell’euro, ora potrebbe con un referendum anche uscire dall’UE e riprendere il largo, rafforzando i legami tradizionali con i paesi anglofoni e le sue ex colonie...

E l’Italia? Ma l’Italia ha ancora una politica estera?

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