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QT n. 9, settembre 2013 Seconda cover

Opinioni di un elettore

Franco Panizza

Quando a febbraio è stato gentilmente suggerito agli elettori del centrosinistra di votare come candidato al Senato nel collegio di Trento Panizza Franco da Campodenno, sapevamo già come sarebbe andata a finire. Il piccolo segretario del PATT, d’altronde, aveva guadagnato sul campo la fiducia della coalizione, essendo l’unico assessore in carica ad essersi addormentato a quasi tutti i concerti della banda cittadina e potendo schierare a difesa dei confini provinciali la potenza di fuoco degli schioppi austroungarici degli amici Schützen.

La candidatura del Panizza era nata, come del resto quelle di Vittorio Fravezzi e Giorgio Tonini, nella sciagurata scia di un perverso compromesso storico tra il PD, il PATT e l’UPT. “Uno vale uno” - strepitava un salivante Beppe Grillo, e i dirigenti del PD devono aver capito che toccava un seggio a ciascuno, anche a fronte di diversi bacini elettorali.

“E poi un ex calciatore ha sempre appeal sugli elettori”, si saranno detti nel segreto delle loro camerette, dandosi di gomito e ammiccando come al Bagaglino. Franco Panizza però non era l’ex centrocampista del Mantova, ma il segretario del PATT, cioè del partito che alle elezioni politiche del 2001, sotto la colta guida di Giacomo Bezzi, era alleato con la Casa delle Libertà. Vabbè, anche i compagni possono sbagliare. Non serve scandalizzarsi: manco avessero fatto un governo con Berlusconi... Piuttosto, il colpo grosso, già nel mirino del maggior partito trentino, era la presidenza della Provincia (peraltro sempre mancata a causa di una sacrosanta e più che giustificata subalternità al Principe Dellai); l’accordo sui senatori a febbraio sarebbe ben valso l’agognata carica a ottobre.

Ma un Panizza è per sempre. E al momento di riscuotere il credito, il PD si è sentito dire che no, le politiche sono le politiche e le amministrative sono le amministrative. Nessun imbarazzo. Se c’è una cosa che i miti dirigenti piddini sanno fare è incassare; e dunque si sono prestati a partecipare ubbidientemente al gioco delle primarie di coalizione. Non solo. Per cavalleria hanno deciso di farlo partendo con una penalizzazione, ossia silurando un candidato troppo popolare (Donata Borgonovo Re) e proponendo Alessandro Olivi, grande appassionato di funivie, firmatario di fantasiosi piani regolatori ed esecutore testamentario dell’altopiano di Folgaria.

Dato che Panizza era già sistemato, il PATT ha presentato alle primarie Ugo Rossi, e Rossi ha vinto. E il PD ha esultato per la grande correttezza di svolgimento delle primarie. Se il PATT avesse presentato Caterina Dominici, forse avrebbe vinto lo stesso, e il PD avrebbe esultato in nome delle quote rosa. Insomma, abbiamo fatto finta che non fosse così, ma sapevamo già come sarebbe andata a finire. D’altra parte i dirigenti del PD hanno cercato ancora una volta di avere uno sguardo distaccato sui fatti; talmente distaccato dalla realtà da avere ormai perso definitivamente il contatto con essa.

Ora il Partito Democratico si prepara ad incassare, di nuovo. “Incassare”: i benevoli dirigenti del partito, travestiti da punching ball, pensano tra un cazzotto e l’altro che si tratti ancora di una somma di denaro. Il partito andrà in frantumi? Chi lo sa. Se accadesse, forse si potrebbe ancora nutrire la speranza che ciascuna delle sue anime (mai amalgamatesi) riacquistasse e rivendicasse la sua identità. Per quanto debole, per quanto meschina. Facesse o dicesse qualcosa, la famosa “qualsiasi cosa”. Dati i presupposti, è meglio non pensarci. Godiamoci Rossi, facendo finta che sia Paolo.