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La guerra dei nomi

Toponomastica: con l’approssimarsi delle elezioni, ecco l’ennesima puntata della rincorsa a destra della SVP

Ci sono le elezioni provinciali in ottobre e rispunta la toponomastica. Eppure c’è un cambio epocale: dopo un quarto di secolo, cambia il presidente della giunta, e poi c’è lo scandalo SEL e l’inquietudine della crisi economica, che comincia a sentirsi nelle aree urbane.

Nell’ultima seduta del consiglio provinciale della legislatura, la Svp ha votato a favore e quindi approvato una mozione del consigliere Sven Knoll di Südtiroler Freiheit (partito di destra etnica, fondato da Eva Klotz), in cui si toglie l’obbligo del bilinguismo ai rifugi alpini. Per la cronaca, quelli a rischio sono almeno venticinque: in parte espropriati nel periodo fascista, erano affidati al CAI o all’esercito. Nel corso di un secolo erano divenuti famose mete di alpinisti e arrampicatori di tutto il mondo. Ora si vuole che il passaggio alla proprietà provinciale venga accompagnato dalla cancellazione dei nomi italiani o anche stranieri. La presidenza Durnwalder si chiude così com’era incominciata: da un lato pacche sulle spalle agli italiani, dall’altro un atteggiamento padronale che ignora decisioni prese insieme, e la rincorsa della destra etnica sui temi nazionalisti, che a sua volta ridà fiato alla destra italiana.

Il bilinguismo costituisce il principio fondamentale della soluzione del conflitto sudtirolese. Comunicare è la condizione necessaria per lavorare e divertirsi insieme, e lo prevede lo Statuto d’Autonomia, la cui vicenda storica e riconoscimento internazionale sono noti. Il bilinguismo in Sudtirolo, però, è un doppio “ossimoro politico”: da un lato si tratta di uno strumento che molti ancora non possiedono, anche perché la politica ha cercato in ogni modo di renderne difficile l’apprendimento nella scuola pubblica, dall’altro una ricorrente accusa a chi non sa parlare la seconda lingua; il bilinguismo è la condizione del diritto all’uso della propria lingua, ma la maggioranza dominante persegue l’obiettivo più o meno esplicito di cancellare dallo spazio pubblico la lingua degli altri.

La situazione miserabile della rappresentanza politica degli italiani locale e nazionale è un’altra componente del pasticcio.

Gli accordi farlocchi degli ultimi due anni, con i vari mestieranti che occupano il ministero delle Regioni (abbagliati dal fascino ruspante di Durnwalder?) hanno permesso alla Südtiroler Volkspartei di continuare la pessima pratica degli accordi segreti, destinati spesso a fallire, ma sempre a dare l’impressione che la popolazione locale non conti nulla.

Il ministro Fitto, dopo un accordo segreto con Durnwalder, ha riparato con la commissione paritetica, la quale ha fatto un ottimo lavoro, composta com’era di gente perbene, onesta e di grande professionalità. A conferma che qui in Sudtirolo si possono trovare soluzioni condivise, se non ci si mette di mezzo la politica. Ma la politica si è messa in mezzo, eccome.

È arrivato Delrio, del Pd, anche lui con un accordo segreto, con il quale ha ritenuto suo diritto “regalare” all’ospite 1500 nomi, sottraendoli al bilinguismo previsto dello Statuto, senza chiedere né informare né i suoi del partito - così dicono almeno - né tantomeno la cittadinanza. Pare che la relazione della commissione paritetica fosse scomparsa dal suo ministero e che, quando l’ha vista, in ritardo, gentilmente speditagli da Bolzano, abbia ridotto il regalo tossico ad alcune centinaia di nomi. Il prossimo 8 ottobre il governo dovrà decidere se chiedere alla Corte Costituzionale di rimandare l’udienza sulla legge sulla toponomastica votata solo dalla Svp, una legge chiaramente anticostituzionale, ma che si vorrebbe tenere lì, in attesa di una soluzione concordata.

Concordata fra chi? Un partito e i suoi alleati di governo (bipartisan, come si usa dire, o di larghe intese, come era chiamato l’obiettivo del tentato golpe dei franchisti del 23 febbraio 1981 in Spagna).

I rifugi: una questione privata?

Niente di nuovo, direte voi. La questione della toponomastica è sempre un tema efficace per ricompattare la Svp, che ogni cinque anni ha puntualmente usato la questione etnica per riconquistare i voti alla sua destra. Certo, dalla chiusura della vertenza davanti all’Onu (1992), molti, la sottoscritta compresa, si fanno ogni volta sorprendere. Nel 1993, dopo quattro anni in cui Durnwalder, nuovo presidente seguito a Magnago, aveva dato segnali di distensione, ha poi in prima persona boicottato il primo vero tentativo di trovare una soluzione condivisa, gettando sul tavolo l’inaccettabile proposta dell’esclusione della toponomastica comunale dal principio statutario del bilinguismo.

Oggi qualcuno dice che il voto sui rifugi monolingui sia “la vendetta di Durnwalder per non essere riuscito a far ottenere all’Alpenverein il rifugio Bolzano”, di proprietà del Club Alpino italiano. Ma non convince che si tratti solo del proverbiale spirito vendicativo dell’uomo. La giustificazione ufficiale, di fronte al vespaio sollevato, è che si tratta di “privati che possono chiamare il proprio rifugio come vogliono”. Scemenze: più del novanta per cento dei rifugi sono di proprietà della Provincia e gli altri sono dati in concessione. Sono realtà che svolgono un servizio pubblico per chi va in montagna. L’ultima che lo può negare è la proprio la Provincia di Bolzano, che è sempre riuscita a convincere, di fronte alle procedure di infrazione della UE contro l’Italia, che gli impianti sciistici sono opere di carattere sociale, per collegare località isolate (e come tali finanziabili e finanziate dall’ente pubblico).

Il milionario rifacimento della segnaletica di montagna da parte dell’Alpenverein negli ultimi anni ha fatto piazza pulita non solo dei toponimi, piccoli e grandi, in italiano, ma anche delle indicazioni generiche di sentiero, incrocio, rifugio. Un esempio clamoroso delle centinaia e centinaia ne è il sentiero europeo dell’altopiano di S. Genesio, indicato solo con “Europäischer Fernwanderweg”: che cosa c’entra con i toponimi cancellati dal fascismo?

In una situazione normale si cercherebbe di attuare il risultato del lavoro della commissione, approvato da tutti i suoi componenti, cancellando i nomi in disuso e ripristinando il bilinguismo negli altri casi e si potrebbe proporre che si cerchino anche nomi nuovi, scelti di comune accordo.

Ricordo come nella campagna elettorale che portò Alexander Langer (e Karl Partsch) nel parlamento europeo, un gruppo di suoi sostenitori erano saliti sulla Vetta d’Italia, portando una targa con il nuovo nome di Cima d’Europa/Europagipfel. C’era una tempesta di neve, ma fu un bel giorno.

Che dire, noi che abbiamo creduto e sostenuto negli anni difficili della storia dell’autonomia la scommessa dello Statuto come garante dei diritti e della partecipazione di tutti i gruppi linguistici? Credo sia un fatto che gli abitanti del Sudtirolo sono stanchi di conflitti nazionalisti. E ci si domanda: la tentazione e il tentativo di escludere le ragioni di una parte di popolazione dalle decisioni della politica vale solo per le questioni nazionaliste o anche per quelle legate alla crisi che comincia a colpire i più deboli nel campo del welfare e dell’occupazione? Se anche per distrazione la crisi va a carico solo di alcuni, le cose non vanno bene per la convivenza in Sudtirolo.

“Cima d’Europa/Europaspitze”: nel segno di Langer

4 giugno 1989: Alexander Langer e Alessandra Zendron verso La Vetta d’Italia

Come racconta Alessandra Zendron, il 4 giugno 1989 Alexander Langer e alcuni suoi sostenitori nella campagna elettorale per le europee (fra cui la stessa Alessandra, che vediamo con lui in quell’occasione) salirono sulla Vetta d’Italia portando una targa con il nuovo nome di Cima d’Europa/Europagipfel.

Lo scorso anno, il 1° luglio, un gruppo di alpinisti di Mountain Wilderness ha ripetuto quel gesto, portando in cima una pergamena che chiedeva alle istituzioni il cambio del nome alla montagna in Europaspitze. Per cancellare un simbolo del fascismo e della imposizione, per trasformare un confine, le Alpi in un ponte di dialogo e offrire rispetto alle popolazioni locali.

L’associazione era forte di un messaggio del presidente della Repubblica, che sosteneva l’iniziativa e intendeva riaprire il dibattito avviato da Alexander Langer nel 1989.

Due mesi fa, subito dopo la provocazione dell’accordo fra SVP e il ministro Delrio sulla toponomastica, Mountain Wilderness ha chiesto alla dirigenza della SVP e allo stesso ministro maggiore riflessione, rilanciando l’urgenza della modifica del nome della Vetta d’Italia in Europaspitze.

Non sono pervenute risposte, nemmeno da parte dei parlamentari altoatesini del centro-sinistra. E tutto il carteggio è rimasto inaccessibile ai cittadini e alla stampa. Segnali preoccupanti, che offendono quanti, sia appartenenti al gruppo linguistico italiano che tedesco, vogliono superare divisioni e cercano confronto. (l.c.)

1° luglio 2012: gli alpinisti di Mountain Wilderness ripetono l’exploit