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Camini accesi

Flavia Decarli, Casacultura

Di vivere da sola non ne potevo più, stavo languendo. Mi era passata la voglia di reagire e combattere, stentavo a trovare l’energia per ricominciare il giorno dopo. La solitudine diventa una pessima compagnia quando non è più una scelta ma la conseguenza dei figli che lasciano il nido vuoto. E al prossimo filiale commento lapidario sulla mia solitudine post fine di un matrimonio “Te la sei cercata...” avevo deciso di rispondere sparando. Sicuramente non sono fatta per vivere da sola, non sono asociale. Ho bisogno dei miei spazi, dei miei silenzi, ma ho molta più urgenza del calore di una famiglia. Ero stanca di affrontare ogni giorno la solitudine, le domeniche poi erano un piccolo dramma che superavo con una forza sproporzionata, da conservare per altri tipi di urgenza. Con un aiuto domestico ho organizzato la spesa e la preparazione del cibo e le pulizie di casa, ma nessun parente o amico per farmi compagnia. Tutti attenti a non farsi coinvolgere: gli amici pensando fosse compito della famiglia e viceversa. Non cercavo un aiuto domestico ma compagnia, volevo che le richieste non fossero confuse. No, la badante no, era il mantra che mi ripetevo.

Piuttosto, si rafforzava sempre di più l’idea di ospitare una studentessa o una lavoratrice, complice l’esperienza più che positiva, raccontata in diretta da Miriam, milanese, ospitata da Oriana, trentina. Dovevo solo decidermi a provare. Nei vari colloqui con la psicologa responsabile del progetto “Casa Solidale”, poteva sembrare che le mie perplessità fossero espressioni della tipica diffidenza trentina. Dell’ipocrita “Vieni a trovarmi, passa a salutarmi...”, ma se ti presenti passando per caso, trovi il ghiaccio ad accoglierti. Mi fanno vergognare i miei vicini di casa e il poter dimostrare che la penso diversamente mi stimola molto. In effetti la mia unica reale difficoltà era lo spazio limitato, un solo bagno e una seconda stanza piccola: bisognava quindi adattarsi.

In un Trentino dai camini spenti, in una Trento città di orsi, dove il 40% di persone vive sola, un progetto di coabitazione temporanea tra adulti sembra davvero strano. “Casa solidale”, promosso dall’Associazione A.M.A. (Auto Mutuo Aiuto) di Trento, in collaborazione con il Servizio Attività Sociali e il Servizio Casa e Residenze protette del Comune, sta riscontrando un crescente successo. Unico in Italia, è attivo dal 2009, e vincitore di premi sul volontariato e i media lo stanno scoprendo. Il progetto propone la possibilità di ospitare nella propria casa una persona (lavoratori, studenti, chi in cerca di lavoro) per un determinato periodo. È importante però che la persona ospitata dia anche una risposta a un bisogno di chi la ospita (di relazione, di collaborazione o altro ancora). È un progetto su misura, accompagnato da un operatore che sostiene e cerca di mediare eventuali difficoltà. Ognuno di noi ha bisogno di solitudine, la meritiamo, così come meritiamo il benessere di vivere con l’altro senza paure. Il problema di uno (solitudine) può essere la soluzione (bisogno di casa) per l’altro. Si scopre così che gli stili di vita, anche se diversi, possono essere compatibili. Dai bisogni talvolta nasce un’amicizia che arricchisce la vita di entrambi.

Scherzando definiamo il nostro rapporto “amore a prima vista”, perché da subito Maria Teresa (Mate), la studentessa venezuelana che ospito, mi ha fatto un’ottima impressione. Sicuramente era arrivato il momento giusto per riaccendere il caminetto della mia casa disabitata da anni. Né con i brevi soggiorni di mia figlia, che abita e lavora a Roma, potevo farmi una scorta psicologica del bisogno di famiglia. Con Mate è come riavere una figlia in casa, aspettarla tornare da scuola con lo zaino strapieno, la tipica espressione “muerta” ma un sorriso solare. Mi piace la sua allegria, la sua risata - argentina no perché è venezuelana - che risuona in queste stanze incredule. Mi piace il suo parlare spagnolo di mattino quando è ancora addormentata, il suo entusiasmo latino, l’accettare quello che viene senza far drammi, il farli per i suoi capelli troppo ricci. C’è da dire che oltre a soffrire di eufobia (paura di ricevere buone notizie), mi hanno sempre raccomandato di non fidarmi degli estranei, quindi mi sto guastando questa bella esperienza con la paura di risvegliarmi.