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QT n. 2, febbraio 2014 Monitor: Cinema

Nebraska

Un gran bel film

Sono andato a vedere questo film con un’amica e quando siamo usciti le ho chiesto se era venuta al cinema in macchina. Mi ha guardato con un’espressione interrogativa come se avessi detto una scemenza e mi ha risposto che era venuta dal corso di inglese, che è in una scuola in città, e che me lo aveva scritto in un sms che veniva a piedi, ecc. Io ho ribadito che era solo una domanda così, di curiosità, che ero più contento di fare due passi insieme. Ma lei mi ha dato come al solito del poco attento. Avevo ragione io: lei era sulla difensiva e non voleva darmela vinta, così siamo andati avanti a discutere da corso Buonarroti fino a via Perini.

“Nebraska”

La mattina dopo ho pensato che “Nebraska”, di Alexander Payne, è proprio un film sul dargliela vinta a qualcuno. E sul fatto che dargliela vinta a qualcuno che magari ha torto, non vuol sempre dire perdere, ma può essere un’occasione per vedere le cose da un altro punto di vista. Ed ecco, il film è proprio questa cosa qua.

Woody Grant è un vecchio mezzo rimbambito convinto di aver vinto un milione di dollari alla lotteria. Ostinato a ritirare la vincita in un ufficio del Nebraska, si avvia a piedi dalle strade del Montana. Fermato dalla polizia, viene recuperato dal figlio David, che dopo aver cercato senza successo di dissuaderlo, decide di accompagnarlo. Contro il parere della madre e del fratello Ross, David intraprende il viaggio col padre. Nel percorso, interrotto da soste e intermezzi nella cittadina natale di Woody, David scoprirà i piccoli sogni del padre, le speranze svanite, gli amori mai dimenticati, i nemici mai battuti, che adesso chiedono il conto.

Vederla da un altro punto di vista, dicevo. Non siamo ad esempio nella sfavillante Los Angeles a New York o nella colorata California, dove sempre si fanno i film Usa. Siamo nel Montana, nel Nebraska, dove anche se la pellicola è in bianco e nero non cambia molto. Non è una storia di adolescenti o giovani carini e incasinati, di belle famiglie con cani o di ragazzini svegli anche se un po’ nei guai. No, è una storia di vecchi qualsiasi senza particolari problemi. Una storia piccola, “Una storia semplice” aveva titolato anni fa David Lynch un suo film, per alcuni versi simile. Una storia americana dove scopriamo altra gente e un’altra America. Così il dargliela vinta si rivelerà un’occasione nuova per il figlio di scoprire un altro padre, di vivere con lui alcuni momenti puri e semplici, di trovare nuova energia e nuova identità come figlio e come persona.

Delle volte non si ha voglia di descrivere e analizzare un film che hai visto e ti è piaciuto. Semplicemente ti va di gustarti le immagini e le sensazioni che ti ha lasciato.

A me succede con questo “Nebraska”, per cui non starò qui a raccontarvi tutto per bene, ma metto giù una cosa che mi è rimasta. Una scena. Nel soggiorno di una qualsiasi casa del Midwest ci sono una decina di maschi che guardano una partita di football americano. La cinepresa è fissa sugli spettatori dalla prospettiva dello schermo televisivo. Sono tutti parenti e la maggior parte avanti con l’età. Ogni tanto il padrone di casa fa qualche semplice domanda, cercando di coinvolgere uno dei presenti che risponde nella maniera più neutra possibile, restando con sguardo incollato allo schermo. Ecco, non credo di aver mai visto qualcosa di più realistico sugli Stati Uniti. Maschi adulti, non particolarmente avvenenti, che bevono birra, guardano sport alla tv e si sforzano in una comunicazione educata di cui non gliene frega niente. Il tutto ritratto senza moralismo, solo quello che è. Guardando quelle persone, quei volti con la calma di una ripresa fissa, ascoltando le loro banali parole, viene fuori un misto di affetto, commiserazione, paura di diventare così - se non di esserlo già -, senso di vuoto, malinconia e ironia, spietatezza e amore.

Un film pieno di umanità, dei lati umani delle persone qualsiasi, senza essere mai patetico.

Ecco, questo è un gran bel film. E alla mia amica, che aveva torto marcio, io dovevo concederglielo e lasciarla in pace, anche se dietro non c’era niente da capire o scoprire. O forse sì.

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