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QT n. 3, marzo 2014 Monitor: Danza

Esecuzioni

Testamento a passo doppio

Esecuzioni

Il senso ineluttabile della fine (di un’epoca, di una storia, di una lunga ed intensa carriera) aleggia fin dal principio sul palcoscenico, vuoto e algido, ma riempito dall’ingombrante presenza scenica dei due interpreti, che, oltre a danzare, semplicemente “sono” se stessi: Michele Abbondanza e Antonella Bertoni. Non più un tutt’uno, come la coppia inseparabile degli inizi, ma due entità nettamente distinte nello spazio e nell’azione, i cui corpi un po’ invecchiati si presentano come dei veri e propri condensati di esistenza.

Anche il movimento è condensato, spezzettato, ma denso di significati e potenzialità, che trovano una forma compiuta solo nel finale della pièce, nella serie di “pietà” in cui finalmente i corpi dei due danzatori si uniscono, più per tacita mutua assistenza di fronte alla condanna capitale che per reale condivisione. Ma per quanto i due interpreti si auto-costringano alla solitudine scenica (inizialmente si muovono a turno, indifferenti l’uno all’altro, ai due estremi opposti del palcoscenico), il loro linguaggio ormai è comune e inscindibile, anche se arricchito di esperienze e ricerche personali che li hanno condotti su strade parallele ma guidate da un destino comune. A partire da un inizio esplosivo: difficile infatti non pensare al recente riallestimento di “Terramara”, spettacolo d’esordio della coppia, presentato al Sociale qualche mese fa nell’ambito del progetto RIC.CI (Reconstruction Italian Contemporary Choreograpy Anni ‘80-’90), per un rapido confronto con “Esecuzioni. Duo d’assoli”. Lì tutto era gioia e colore - soprattutto quello, indimenticabile, delle arance -, qui invece cibo e felicità sono altrove: le risate e il chiacchiericcio dei commensali provengono da una stanza limitrofa, vicina ma allo stesso tempo distante anni luce dall’universo di solitudine dei due protagonisti. Allontanatisi dalla festa per qualche futile motivo (la ricerca di un angolino appartato da parte della Bertoni sembrerebbe alludere a pure esigenze corporali), lontano dalla folla i singoli si trovano improvvisamente smarriti, intrappolati nei loro elegantissimi costumi, che insieme al grande lampadario di cristallo aggiungono una nota di decadenza all’intera scena.

In questa sorta di anticamera si consuma il singolare dramma dei danzatori, costretti ad un inconsueto passo double che li espone “a un’analisi asettica, quasi autolesionistica e spietata” - per riprendere le parole di Abbondanza - della loro cifra stilistica. L’atmosfera in effetti strizza un po’ l’occhio a una seduta di coppia: i discorsi/movimenti si alternano solo in apparenza indifferenti l’uno all’altro e, in una sorta di botta e risposta a distanza, lasciano trasparire tic, arrabbiature, difetti, incomprensioni, sacrifici. Poco a poco però le distanze diminuiscono, i percorsi iniziano ad intrecciarsi, prima casualmente, poi volontariamente, e le “esecuzioni d’assoli” diventano un duo, non più appassionato come quelli degli inizi, ma comunque sempre più intenso e coinvolgente. Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, pur se “condannati” a ballare insieme, consegnano al pubblico un’ulteriore prova della loro maestria tecnica e interpretativa, “come un’ultima scena prima che il sipario separi”, come una sorta di testamento stilistico.

Ma la fine è certamente temporanea, una pausa prima che”l’inesorabile danza” della compagnia prosegua per rispondere a un nuovo, spiazzante interrogativo: “L’ altro è un fine o un mezzo?”.

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