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Immigrazione: che fare?

Il problema dei migranti si è fatto urgente. Ma quando si cercano soluzioni in emergenza, è probabile che le strade intraprese non siano efficaci e quando gli stati non sanno mettere in atto politiche socio/assistenziali organiche, i cittadini spesso interpretano come “pretesa” la richiesta di diritti e si scatenano contro chi osa avanzarla.

Il primo passo per capire è quello di distinguere tra migrante economico e profugo/rifugiato politico. Il migrante economico sceglie di spostarsi in un paese dove cerca lavoro, prende casa, manda a scuola i figli, cerca di integrarsi nel tessuto sociale del paese o almeno del gruppo dei suoi concittadini.

I dati ISTAT evidenziano la singolare situazione italiana dove, in mancanza di serie politiche di incentivazione dell’immigrazione di livello medio-alto, si crea una mappa migratoria sbilanciata, che vede in entrata immigrati di bassa scolarizzazione, occupati in lavori poco qualificati e in uscita ragazzi con alti livelli di scolarizzazione. In questo modo si impoverisce il mercato del lavoro e si appesantisce il welfare.

Il rifugiato politico, invece, è costretto a lasciare il proprio paese e spesso lo deve fare in modo rocambolesco. Gode della protezione internazionale, ma l’Italia sembra dimenticarsene, al punto che la legge europea ha molte volte sanzionato il nostro paese. Senza una legge che chiarisca diritti e doveri, il rifugiato non può diventare attore sociale; non può lasciare l’Italia né può integrarsi.

Egli ha lasciato un paese dove spesso era collocato nella fascia medio-alta. Vorrebbe essere inserito in una procedura di integrazione già sperimentata: apprendimento della lingua, esperienze di lavoro adeguate alla formazione, concessione della doppia cittadinanza. Ma si ritrova collocato al livello più basso, non trova un lavoro rispondente alle sue aspettative e, senza lavoro, senza casa e senza passaporto, diventa un invisibile.

La sacralità del diritto d’asilo è un cardine della nostra civiltà, sancito già dalla convenzione di Ginevra, firmata da 147 stati nel 1951 e dall’art.10 della Costi tuzione, che purtroppo in 65 anni non ha trovato traduzione normativa, proprio perché manca una strategia chiara circa le politiche migratorie.

Poichè i profughi sono e saranno in aumento, a causa delle infinite guerre e delle crisi politiche, si porrà sempre più il problema di conciliare sicurezza delle frontiere e sicurezza delle persone. Quella di questi anni è stata una realtà di respingimenti e reclusioni nei CIE, misure inutili e costose. Ne è un esempio l’originale contratto d’appalto del CIE Trapani Milo, che gode della clausola del pagamento minimo, in base alla quale la prefettura paga per il 50% della capienza totale di 102 persone, anche quando queste persone non ci sono.

Altrettanto costosa (9,5 milioni al mese) l’operazione Mare Nostrum, che ha salvato 170 mila persone, e che, dal 1° novembre 2014, è stata sostituita da Triton, che costa un terzo ma è inefficiente per numero di uomini e mezzi e persegue l’obiettivo di salvaguardare le frontiere, lasciando come puro effetto collaterale il salvataggio delle persone.

Sicurezza e accoglienza potrebbero diventare complementari, anziché antitetiche, attraverso una gestione ordinata degli arrivi, con l’istituzione di corridoi umanitari, percorsi di ingresso dei richiedenti asilo in sicurezza e legalità, che consentirebbero risparmio di soldi e di vite, controllo e sicurezza per chi parte, contrasto al traffico di esseri umani.

E la modifica del regolamento di Dublino III lanciata da Nicoletti, parlamentare europeo del PD, proponendo uno status comune di rifugiato europeo e un sistema europeo di accoglienza in solidarietà tra i paesi membri che superi il paese di prima accoglienza, e distribuisca per quote su indici demografici ed economici, consentirebbe il controllo del fenomeno della clandestinità.

Il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve, insieme al ministro degli Interni tedesco, ha più volte ribadito che il sistema di condivisione europea si potrebbe accettare solo se l’Italia rafforzasse i controlli e se tutti gli sbarcati venissero qui rinchiusi e identificati, prima di decidere la loro destinazione.

Sul versante interno Maroni e Grillo chiedono di sospendere Schengen. Questo significherebbe che la sola Italia dovrebbe affrontare il peso delle decine di migliaia di disperati che arriveranno, per poi rinchiuderli a tempo indeterminato in centri specifici.

Sinistra Ecologia e Libertà si oppone all’idea che chi scappa dalla guerra e dalle persecuzioni debba per questo essere punito, rinchiuso e ancora una volta perseguitato.

Renata Attolini, co-portavoce di SEL del Trentino.

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