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“In nome di nessuno”

Uno stimolo alla discussione

Martedì 24 novembre al Teatro Sanbapolis è andato in scena “In nome di nessuno - giocando a carte con la storia”. Un doppio debutto: per la nuova produzione di EstroTeatro e per la rassegna “Off/Sanbapolis Residenze Diffuse”. Dall’idea del regista Mirko Corradini e dalla penna di Alberto Frapporti nasce uno spettacolo che parla di politica in modo colloquiale e leggero, con l’intento di avvicinare a queste tematiche anche lo spettatore più apatico. Una provocazione che non vuole dare risposte, ma stimolare domande e interesse.

Già all’ingresso del teatro si entra in una prospettiva anticonvenzionale: il pubblico viene fatto accomodare ai quattro lati della scena, a ridosso di essa. Questa è composta da una struttura cubica dai lati in ferro, le cui quattro pareti sono ricoperte da cavi di nylon. Fiori e led rossi fanno risaltare il perimetro della base. All’interno del cubo, come in un mondo parallelo, siedono - uno per estremità - quattro personaggi. Personalità che con la loro azione hanno lasciato un segno nella Storia, ciascuno rappresentante di un preciso orientamento politico: Margaret Thatcher, Salvador Allende, Lee Harvey Oswald e Gesù. Una luce verde illumina il tavolino centrale quindi inizia un ritmato confronto-scontro in cui i protagonisti raccontano le loro storie, si accusano e si difendono, lasciano trasparire convinzioni e contraddizioni. In un’ora e dieci minuti si toccano molti eventi storico-politici del ‘900: la guerra delle Falkland, l’omicidio di Kennedy, la rivoluzione socialista in Cile. Si affrontano temi come la democrazia, la libertà, la violenza. Tutti i personaggi mostrano punti forti e punti deboli, rispondono a tono o vacillano. Allende è il rivoluzionario che lotta per il progresso del popolo, ma anche quello che sostenne le teorie eugenetiche. La Thatcher è una lady di ferro intransigente, ma pure lei ha qualche segnale di cedimento. Allende e Thatcher sono più riconoscibili e immediati perché storicamente più definiti, in quanto personalità pubbliche con un mandato a cui rispondere. Più difficile e stimolante il lavoro su Oswald e Gesù, che un incarico politico tout court non lo hanno avuto. Sul primo si sa poco, sul secondo si è detto di tutto. Di Oswald emerge un’immagine diversa da quella, consegnata alla Storia, di uno squilibrato, antisociale e assassino. Si è cercato di ascoltare le sue ragioni e riscattarlo almeno parzialmente, facendone risaltare anche l’intelligenza, la posatezza e la precisione. Il Gesù tratteggiato in questo spettacolo è un Gesù apocrifo, concreto, laico, soprattutto un uomo, come evidenzia ad esempio il pregnante racconto dell’amore con Maria Maddalena. Di lui viene amplificata la componente dubbiosa, fragile, umana. E a lui è affidato il messaggio finale: agire non in nome delle ideologie, ma per una personale convinzione.

Le interpretazioni di Alessio Dalla Costa, Beatrice Uber, Andrea Deanesi e Giuseppe Amato rendono con efficacia i tratti scelti per i loro personaggi. Il gioco di luci va registrato, ma funziona. A uno sguardo superficiale potrebbe sembrare di assistere ad un unico spettacolo, invece la posizione dello spettatore ne modifica il punto di vista; quasi a voler suggerire che in politica ogni punto di vista è parziale.

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