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“Vi presento Toni Erdmann” di Maren Ade

Sangue e retorica

“Vi presento Toni Erdmann”

Ehi, un film tedesco. Una rarità direi. E come mai un paese così ricco e potente produce così pochi film importati? Magari sono molti di più e pure interessanti, solo che da noi non vengono distribuiti, per lasciare spazio a una valanga di mediocrità costose e baraccone inflitteci dagli Usa. Poi ci sono le mode geo/cinematografiche. In questo periodo vanno forte, e spesso meritatamente, i film provenienti dall’est Europa: Romania principalmente, ma anche Polonia, Croazia, Slovenia, Ucraina. E il resto del mondo? Insomma, come va il mercato, cosa lo determina, cosa lo muove?

A parte i colossi americani, le mode internazionali, le realtà produttive di vari paesi e qualche rivelazione nei festival, io credo, più di tutto, che l’offerta di buoni film sia soggetta agli inevitabili calcoli di mercato dei distributori. Soprattutto i medi e piccoli, i quali i film vorrebbero pure farli vedere, ma poi non vengono noleggiati dai gestori delle sale. Insomma una catena alla fine della quale ci sono gli utenti, il mercato. Ma chi lo fa il mercato chi compra o chi vende?

Vabbè, lasciamo perdere, intanto abbiamo questo Toni Erdmann (che non si sa perché in Italia è diventato “Vi presento Toni Erdmann”).

Il sessantacinquenne Winfried Conradi, appesantito, ma comunque burlone e legato a ideali umanistici, insegnante di musica in pensione, è convinto che la figlia Ines, apprezzata dirigente a Bucarest di una ditta tedesca, non sia felice. Decide così di fare irruzione nell’ordinata quanto nevrotica vita della figlia. Dopo un primo avvicinamento fallito, cambia nome e, travestito goffamente da consulente di un boss tedesco, torna e frequenta, impresentabile, party ufficiali e privati, fa battute improbabili e trova svariati modi per provocare e mettere in imbarazzo la figlia. Inaspettatamente, dopo l’iniziale sorpresa e perplessità, Ines accetta la sfida e tra situazioni bislacche, grottesche ed affettuose ci saranno avvicinamenti e distanze per finire a restare quelli che si è, pur con una maggiore consapevolezza. Perché in fondo Ines è così, non riesce ad essere diversa e non riesce ad essere felice. Ma le va anche bene. È allo sguardo del padre, e magari pure nostro, che non va bene. Per questo ci schieriamo con Winfried nel tentativo di farla ridere, cantare, amare in qualche maniera. Riuscendoci pure, ma dura poco.

Insomma, il rapporto padre-figlia, il gap generazionale, ma non un film ricattatorio dei buoni sentimenti. Non commuove e non fa arrabbiare, è tutto più contenuto quanto per certi versi assurdo, basti pensare alla scena del party senza vestiti. Ma è certo un film che attraverso questo rapporto privato mostra anche la perdita di umanità della nostra società. Meglio, di alcuni esseri del mondo occidentale che per fare le porcherie che fanno devono essere disumani. Magari ancor più i quadri intermedi piuttosto che i grandi capi, insomma quelli che poi sfangano le responsabilità che gli vengono scaricate. Così il film è anche uno sguardo sulla globalizzazione. Un viaggio nella Romania che mostra come più i paesi sono in ritardo rispetto allo sviluppo delle società occidentali e più sono forti i contrasti tra ricchezza e povertà al loro interno. Più è affannata la corsa verso il consumismo e più è spietato il capitalismo, mostrandone anche inconsueti risvolti interni.

Soprattutto una commedia di attori. Tante volte capita di vedere un bravo attore/attrice che interpreta a meraviglia una bella parte. Ma è bravo l’interprete o è la parte che esalta le sue capacità? Ebbene, qui l’attore Peter Simonischek carica di certo il personaggio. Spesso funziona bene (tutta la parte in costume super peloso) altre meno. Nel caso di Sandra Hüller, Ines, abbiamo una figura femminile interessantissima, nuova, diversa, interpretata magistralmente in un equilibrio di distacco e coinvolgimento sorprendente (prendete la scena della canzone eseguita in coppia).

Lungo, a tratti lento e incoerente, il film si prende il tempo che serve e bisogna lasciarsi andare senza farsi troppe domande. D’altra parte lo stesso Toni nel finale ci dice: “Spendiamo il tempo a fare liste di cose da fare… ci agitiamo e intanto il tempo scorre. Perdiamo tante cose per strada, ma ce ne accorgiamo solo dopo… perché in quel momento della vita non possiamo capirlo”. Mica si possono dire in fretta cose del genere.

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