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QT n. 5, maggio 2017 Trentagiorni

Come limitare l’eccessiva diffusione dei boschi?

Non c’è alcun dubbio, il bosco avanza: in Trentino copre 220 nuovi ettari di superficie libera ogni anno. Nella nostra situazione, con il 60% della superficie coperta da boschi, per molti versi non è un bene: generalmente, non sempre, si perde biodiversità, si modifica il paesaggio rendendolo monotono.

Da oltre un decennio la Provincia di Trento, attraverso lo strumento del PSR (Piano di Sviluppo Rurale) invita agricoltori e proprietari boschivi ad intervenire con delle bonifiche, con cambi di coltura ben sostenuti da finanziamenti europei: si arriva a misure (tipologie di interventi) che vengono risarcite al 100%.

Il Consorzio dei Comuni Trentini e le ASUC (Amministrazioni separate dei beni di uso civico) hanno pensato di costruire una alleanza con l’Associazione dei cacciatori trentini (una associazione privata) volta a consentire il migliore utilizzo delle risorse rese disponibili dal PSR, intervenendo nella conservazione degli habitat della lepre bruna e dei galliformi. Il protocollo prevede che qualora le associazioni propongano interventi di miglioria su questi temi Comuni e ASUC favoriscano i progetti pagando, con soldi pubblici, tutte le spese tecniche, le progettazioni e direzioni lavori, perfino l’IVA.

Se i progetti venissero condivisi con altre sensibilità territoriali, ad esempio con la diffusa cultura ambientalista, non si ravviserebbe in questo protocollo niente di male. Il fatto è che tutto è stato costruito in modo per nulla trasparente. Troppi soggetti esterni al mondo venatorio nemmeno sono stati sentiti. Se oggi l’abbandono della montagna porta alla riduzione di habitat preziosi per fauna selvatica pregiata, nonostante i contributi europei e provinciali siano disponibili da anni, significa che non si sono approfondite bene le cause che portano alla diffusione del bosco.

Probabilmente la Provincia e il mondo agricolo da tempo stanno sbagliando strategie di intervento, probabilmente c’è bisogno di altre attenzioni verso l’ambiente naturale. Non sempre facendo terra bruciata di arbusteti d’alta quota, ginepri, rododendri, ontano verde, pino mugo si fa il bene di questa fauna. Se veramente si ha a cuore una determinata fauna selvatica, una misura ben più efficace sarebbe ad esempio quella di proibire in modo definitivo la caccia alle pernici bianche e ai galli forcelli visto, come dimostrato dai censimenti, che queste specie sono in costante regresso. O ancora, si potrebbero proibire invece di favorire manifestazioni sportive che in pieno periodo riproduttivo invadono le alte quote, vedi la manifestazione dei Quad su Col Margherita a Moena.

L’efficacia di questo protocollo è dubbia, vista anche la sempre più accentuata pigrizia del mondo venatorio nell’intervenire nella manutenzione del territorio. Si ha la sensazione, per come è stato costruito e per i soggetti coinvolti, che si tratti di un regalo elettorale di sindaci e presidenti delle ASUC ai cacciatori. Ovviamente, come sempre, impegnando risorse pubbliche.

E quando si tratta di caccia, mantenendo il profilo della pubblicità e del coinvolgimento sottotraccia. Cioè secretato.