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Cambiamenti climatici e terrorismo

L’impoverimento di vaste zone del Pianeta, favorito anche dall’effetto serra, può trasformare intere comunità in potenziali estremisti

Alessandro Graziadei

Com’è noto, l’aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera è la principale causa dei fenomeni legati al cosidddetto cambiamento climatico, che ormai da decenni ha enormi conseguenze sul pianeta e sulla nostra vita. Fino ad oggi sono stati osservati alcuni fenomeni quantificabili attraverso dati facilmente misurabili, come per esempio l’aumento della temperatura del pianeta, la perdita di biodiversità, la riduzione delle precipitazioni e delle risorse idriche, la crescente desertificazione, l’aumento della frequenza e dell’intensità delle precipitazioni e degli eventi climatici estremi, l’arretramento dei ghiacciai e delle nevi perenni con la conseguente crescita del livello del mare.

Questi sono i principali fenomeni legati ai cambiamenti climatici, responsabili a loro volta della diffusione di malattie, della malnutrizione e dell’aumento del numero dei “migranti ambientali”, cioè di quelle persone costrette a lasciare la loro terra perché resa invivibile proprio dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Ma non basta. A quanto pare, i cambiamenti climatici hanno aumentato sensibilmente anche i rischi di conflitti contribuendo alla nascita e alla crescita di gruppi armati criminali e terroristici.

Una conseguenza prevedibile, ma che ora è stata messa nero su bianco dal rapporto “Insurgency, Terrorism and Organized Crime in a Warming Climate. Analyzing the Links Between Climate Change and Non-State Armed Groups”, pubblicato il 20 aprile scorso dalla Climate Diplomacy, un progetto di Adelphi, un gruppo di studio attivo nella consulenza politica sul clima, l’ambiente e lo sviluppo, e sostenuto dal Ministero degli Esteri tedesco.

Il rapporto, che esamina i rischi legati alla fragilità climatica e alla nascita di gruppi armati non statali, i cosiddetti “Non State Armed Groups” o Nsag, ha rilevato che esiste un rapporto chiaro tra il cambiamento climatico e la nostra sicurezza, anche se fino ad oggi “la maggior parte delle ricerche sui cambiamenti climatici e la sicurezza hanno toccato solo superficialmente il tema degli attori armati non statali e non hanno precisato in modo specifico e completo i legami tra il cambiamento climatico, la fragilità e questi gruppi armati non statali”. Se è vero, infatti, che i Nsag non sono un fenomeno nuovo, oggi sembrano essere qualcosa di più vasto, complesso e violento che in passato, tanto che per i ricercatori di Climate Diplomacy “ampliare la prospettiva e la comprensione della natura ibrida e complessa degli Nsag e delle motivazioni che li spingono oltre che il contesto in cui prosperano, è indispensabile per rispondere adeguatamente alle sfide per la sicurezza che pongono”.

Secondo i ricercatori di Climate Diplomacy, il cambiamento climatico sta interagendo con questi gruppi armati soprattutto esacerbando i conflitti che riguardano le risorse naturali e i mezzi di sussistenza, favorendo contesti sempre più poveri dove i Nsag proliferano e possono operare più facilmente reclutando e facendo proseliti tra la popolazione grazie alla disponibilità di abbondanti incentivi economici. In contesti impoveriti gli “Nsag utilizzano sempre più le risorse naturali e il loro controllo come arma di guerra”, in un processo che a sua volta aggrava le scarsità di risorse e arricchisce le organizzazioni criminali. Per Climate Diplomacy “queste dinamiche potrebbero essere esacerbate, dato che il cambiamento climatico aumenta la scarsità delle risorse naturali in alcune regioni del mondo, e più le risorse diventano scarse, più potere è dato a coloro che le controllano”. Se i fattori economici, sociali e politici restano quindi importanti per inquadrare il fenomeno, la dimensione ambientale ha assunto negli anni un peso notevole e l’abuso del concetto di “estremismo violento” per spiegare in maniera esauriente il fenomeno rischia di sminuire le altre fonti della fragilità, delegittimando le rivendicazioni politiche delle popolazioni e trasformando alcune comunità in potenziali estremisti.

Quattro casi esemplari

La ricerca è arrivata a queste conclusioni dopo aver analizzato l’evoluzione climatica di quattro casi di studio: Boko Haram nella regione del lago Ciad, lo Stato Islamico/Daesh in Siria, i talebani in Afghanistan e la criminalità organizzata in Guatemala. Emblematico è il caso legato all’area del lago Ciad, dove il cambiamento climatico sta producendo una scarsità di risorse tale da erodere progressivamente il sostentamento di molte persone, aggravando la povertà e la disoccupazione e provocando spostamenti di intere popolazioni. Per Climate Diplomacy “in un ambiente così fragile e disperato Boko Haram può operare più facilmente, impegnandosi non solo in efferati atti di violenza, ma anche diventando un protagonista della criminalità organizzata transnazionale che traffica in risorse ed esseri umani” e trovando sempre un terreno fertile per il reclutamento.

In generale, per quanto si tratti di esperienze molto diverse, tutte e quattro queste situazioni sembrano accomunate dalla significativa influenza del cambiamento climatico sui contesti in cui operano i gruppi armati non statali. Per questo per Adelphi i casi di studio dimostrano che “i complessi rischi derivanti dal cambiamento climatico, dalla fragilità e dai conflitti oggi possono concretamente contribuire alla nascita e alla crescita di gruppi armati”. Questo “non implica che ci sia un legame univoco tra il cambiamento climatico e i conflitti legati agli Nsag - ha sottolineato il rapporto di Climate Diplomacy - tuttavia, su larga scala, il cambiamento ambientale e climatico contribuisce a creare un ambiente in cui i gruppi armati non statali possono prosperare e che apre spazi che facilitano il perseguimento delle loro strategie”. Una ragione in più per impegnarsi ancora di più nella battaglia civile a sostegno delle energie rinnovabili.

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(Per gentile concessione di Unimondo.org)

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