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QT n. 1, gennaio 2018 Trentagiorni

Coop, uno Statuto non basta

Il 7 dicembre l’assemblea della Federazione Cooperative ha approvato il nuovo Statuto. Uno strumento che, nelle intenzioni di parte dei proponenti, dovrebbe permettere di superare l’attuale stallo del movimento cooperativo, ostaggio di un ceto dirigente ossificato e autoreferenziale; mentre invece, per il suddetto ceto dirigente, lo statuto dovrebbe far cambiare qualcosa, il meno possibile, comunque nell’ottica che nulla cambi. E’ stato quindi un match tra innovatori, conservatori e gattopardi. Chi abbia vinto è difficile da dire.

Di sicuro, come abbiamo scritto nel numero scorso, ci sono novità significative: nelle modalità di voto, che limano il potere dei consorzi e delle grosse coop, dove più si annidano i boss del movimento; come pure in alcune limitazioni a compensi e numero di incarichi, altra caratteristica degli pseudo manager che accumulano poltrone non per svolgere compiti, ma per acquisire potere.

D’alro canto ci sono, nella riforma, timidezze non rassicuranti: il limite dei mandati che nel cda della Federazione sarà operativo nel lontanissimo 2026; le coop che non sono tenute a comunicare alle assemblee dei soci le remunerazioni dei vertici; la decadenza dal cda della Federazione di chi non rappresenta più una cooperativa (e pertanto è solo esponente di se stesso, escrescenza della casta) che diventa operativa solo dal prossimo giugno. Tutte queste disposizioni hanno obiettivi specifici, o addirittura precisi nomi e cognomi: posizioni di potere da salvaguardare. Il fatto che i cosiddetti innovatori non siano riusciti ad andare oltre, la dice lunga sulle opposizioni di un ceto burocratico che ancora, con ogni evidenza, è ramificato e forte.

Comprensibile quindi che in assemblea ci sia stato chi – Roberto Gilli, presidente della Famiglia Cooperativa di Albiano – abbia espresso la sua delusione per questo esito.

Noi invece preferiamo vedere anche il bicchiere mezzo pieno. Nella convinzione che lo scontro sullo Statuto sia stato solo il primo, all’interno dell’indispensabile battaglia per il rinnovamento del movimento.

“In effetti c’è stata qualche sistemazione, qualche perimetro definito, ma non credo che nessuno si illuda che basti un nuovo Statuto per cambiare un movimento” ci dice Marina Mattarei, una dei leader storici degli innovatori.

Il punto è che, oltre all’indispensabile lotta contro i burocrati delle coop, sono necessarie nuove prospettive, nuovi orizzonti a un movimento che può rischiare di perdere di peculiarità. In soldoni, il tema sorge quando la gente si chiede, una cooperativa in cosa differisce da un’azienda privata, il Sait dal Poli, la Cassa Rurale da un’altra banca?

“C’è chi sostiene che la cooperazione sia uno strumento arcaico, che ha fatto il suo tempo – prosegue Mattarei – Io sono di opinione opposta. Oggi ci sono spinte all’individualismo che si debbono contrastare a livello di strutture, di organizzazione dell’economia. Questo è l’orizzonte dell’oggi. Prescindendo dal fatto che in questi anni spesso il movimento cooperativo sia stato al servizio di inaccettabili personalismi.”