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“The Last Command” (“Crepuscolo di gloria”)

Se è un film muto, che muto sia di Josef von Sternberg, con sonorizzazione dei Julies’ Haircut

“The last Command”

C’è stata una lunga fase di grande entusiasmo, in passato, per le enormi possibilità e sviluppi tecnici delle immagini collegate ai suoni: videoclip, installazioni, pattern elettronici…

E poi anche la moda delle sonorizzazioni dal vivo dei vecchi film muti. Per un certo periodo, lo confesso, ne sono stato favorevole, quasi entusiasta. Ma se ci penso non so bene perché. Forse semplicemente per l’adesione a generiche possibili novità creative. Poi, più cresceva la diffusione, e meno ero convinto. Ma non da snob e bastian contrario. Piuttosto per la constatazione che certi film classici sono proprio capolavori del muto in quanto tali, cioè muti. Ovvero, hanno una forza estetico-espressiva che non ha bisogno d’altro. Quindi perché musicarli, visto che la maggior parte delle volte non si fa altro che semplicemente sottolineare emozioni e climax di sequenze che di fatto non ne hanno nessun bisogno?

Delle ridondanze inutili, quando non fastidiose, a meno che non si tratti di operazioni per rendere attraenti anche alle nuove generazioni vecchi film che da soli non avrebbero sufficiente richiamo per questo tipo di pubblico. Si approfitta dunque del possibile richiamo di certe celebrità contemporanee del mondo della musica per riproporre opere del passato.

Ma poi cosa succede? Come funzionano queste operazioni?

Mi è capitato di sentire una partitura elettronica della pianista Francesca Aste, per uno spezzone di film al “Trento Film Festival”, qualche anno fa, e devo dire che mi era molto piaciuta nel suo personale modo di essere avvolgente ed estranea allo stesso tempo. In molte altre circostanze non ne sono rimasto invece convinto.

Recentemente, per il quinto appuntamento di “Transiti – Musiche in movimento”, il Centro Servizi Culturali S. Chiara ha proposto al Teatro SanbàPolis “The Last Command” (“Crepuscolo di gloria”, nell’edizione italiana) di Josef von Sternberg, sonorizzato dal gruppo Julies’ Haircut, un collettivo di musicisti originari delle province di Modena e Reggio Emilia, fra i più longevi della scena indipendente italiana.

Va detto subito che il film è un vero capolavoro, ricco di elementi diversi: dal feroce sguardo su Hollywood alla forza emotiva dei protagonisti, alla complessità politica della rappresentazione bellico/rivoluzionaria russa del 1917. Un film che coinvolge in un raro percorso di sensazioni contraddittorie, proposte con sequenze diversificate, teatrali e documentaristiche, spietate e fragilmente umane, come nelle interpretazioni dei protagonisti, tra i quali Emil Jannings, vincitore del primo premio Oscar della storia come protagonista maschile nel 1929.

Durante la proiezione, con i musicisti in opera ai lati dello schermo, a tratti ero così assorbito dalle immagini che mi chiedevo che cosa fosse un certo senso di oppressione che provavo (per esempio nella sequenza delle code delle comparse nello studio di Hollywood). Finché non mi sono reso conto che era la musica ad acuire ciò che già arrivava potente con le immagini. Il film, in sostanza, era più che sufficiente a se stesso e a catturare tutta la mia attenzione, per cui a volte la musica risultava eccessiva, a volte inutile o scollegata alle immagini. Ma tutto questo solo se ci facevo caso. Altre volte invece non notavo particolari discrasie, ma non saprei dire se fosse perché la musica funzionava o perché non diceva nulla, al punto di non essere nemmeno molesta.

Intendiamo, i Julies’ Haircut sono bravi e fanno della musica interessante, un misto di jazz rock progressive anni Settanta, con innovazioni elettroniche, di per sé curioso e piacevole. Ma che ci azzecca col film?

Insomma, tornando alla domanda d’origine, che senso, che valore hanno queste operazioni? Soprattutto quando, come in questo caso, le due componenti - musica e immagini - possono tranquillamente stare da sole?

A essere un po’ cattivi viene da dire che per vedere un vero capolavoro assoluto del cinema del passato in una sala cinematografica ci tocca sorbirci una qualche sonorizzazione contemporanea. Vabbè, poco male, per quanto un po’ paradossale.

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