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QT n. 4, 21 febbraio 1998 Servizi

Quelli che... il cinque per cento non vale

Se anche la sinistra finisce per fare i propri interessi di bottega, diventa l'immagine speculare del Patt.

Alla fine, probabilmente, non si farà nemmeno la soglia di sbarramento. Dopo 5 anni passati a discutere di riforma elettorale, il Consiglio eletto in quel 1993 dei referendum di Segni non riuscirà a produrre un bel niente. Almeno cosi temiamo. Le possibili spiegazioni di questo esito sono almeno tre. La prima è che riformare il sistema elettorale è un'operazione dannosa per il Trentino: siamo noi che abbiamo preso un abbaglio, mentre per fortuna un Consiglio autorevole e responsabile ha respinto i nostri pericolosi propositi.

Sembra una provocazione: eppure, nonostante i venti partiti su trentacinque consiglieri, i diciotto mesi senza governo e le tre giunte in cinque anni, questa è ancora l'opinione più diffusa e condivisa.

La seconda spiegazione di questo nulla di fatto è che riformare il sistema elettorale era impossibile sin dall'inizio, poiché nessuna istituzione riforma se stessa, figuriamoci questa: anche in questo caso, i fessi siamo noi, ossia coloro che nella possibilità di varare la riforma ci avevano creduto. Qui un po' di verità e 'è: ne è la prova il fatto che tutte le Regioni speciali sono messe come il Trentino, perché tutte hanno la competenza di farsi la legge elettorale ma nessuna è riuscita a riformarla. E d'altronde, tutte le riforme elettorali che si sono viste in Italia in questi anni non sono mai state varate dall'istituzione destinataria: quella dei comuni l'hanno fatta il Parlamento o i Consigli delle Regioni speciali, quella delle Regioni ordinarie l'ha fatta il Parlamento, quella del Parlamento l'abbiamo fatta noi cittadini votando i referendum del '93.

Lo stato nel quale versa il tentativo di D'Alema di riformare la Costituzione sembra confermare questa tesi dell'impossibilità dell’autoriforma di una istituzione. Sulla questione elettorale si era partiti con l'intento di portare a compimento il bipolarismo, ed invece ci ritroveremo con un aumento della quota proporzionale (stando all'accordo in casa Letta). Ringraziando Iddio, visto che Berlusconi vorrebbe addirittura tornare al consociativismo.

Fin qui tutto vero. Eppure questa tesi, certamente accattivante e diffusa, non convince del tutto. Perché se pensassimo davvero che è impossibile, per una istituzione, autoriformarsi, allora le conclusioni alle quali saremmo costretti ad arrivare sarebbero pericolose.

Per il Consiglio regionale, l'unica strada percorribile sarebbe il ritorno allo Stato della competenza elettorale, ossia la rinuncia all'autonomia. E per le riforme costituzionali? Ci vorrebbe l'assemblea costituente. Ma come si vara un'assemblea costituente se non attraverso una legge del Parlamento ?

Credere nell'impossibilità per una istituzione di autoriformarsi significa alla fine non credere nella democrazia (e, nel nostro caso, non credere nell'autonomia). Ecco perché questo ragionamento è pericoloso. Perché le uniche vie d'uscita che prospetta sono o la rassegnazione, oppure la negazione del sistema.

Ma in realtà, e per fortuna, non è vero che chi fa politica faccia sempre gli interessi di bottega propri o del proprio partito. La storia ci offre numerosi esempi, dal Togliatti dell'immediato dopoguerra che ordinò ai partigiani comunisti di deporre le armi, fino al più recente governo di Giuliano Amato del 1992 che, pur in condizioni disperate, riuscì a varare una impopolarissima supermanovra finanziaria da 120 mila miliardi, salvando l'Italia dalla bancarotta.

Casi di eroismo, si dirà. Eppure vi sono anche altri esempi nei quali l'eroismo non e 'entra. La De che si schierò a favore del referendum sulla preferenza unica nel '91 e che nel 93 approvò l'elezione diretta del sindaco e appoggiò i referendum elettorali, un ministro De (Mancino) che acciuffò l'intero vertice della mafia siciliana dopo gli attentati a Falcone e Borsellino. Come è stato possibile tutto questo se proprio la De era legata al sistema delle preferenze, vedeva la democrazia dell'alternanza come fumo negli occhi e aveva sempre avuto nella mafia un supporter? In questi casi, è stata determinante la pressione esercitata dall'opinione pubblica, in quel periodo forte al punto tale da spingere anche i non eroi a fare il loro dovere.

Insomma, quando un sistema democratico è in crisi, trovare al suo interno la forza per reagire è sicuramente difficile, ma niente affatto impossibile.

Affinchè ciò avvenga, è però necessario che vi sia almeno una di queste due condizioni: che vi siano abbastanza "eroi", ossia politici che antepongono l'interesse collettivo a quello personale o di partito, oppure che vi sia una pressione dell’opinione pubblica così forte da riuscire ad incidere sui comportamenti di chi fa politica.

Torniamo ora alla nostra riforma elettorale ed al perché non si arriverà a varare nulla. Se la riforma era davvero necessaria, e se a priori non era impossibile approvarla, oggi che è saltata rimane da chiedersi quali eroi sono mancati, oppure se è stata la pressione dell'opinione pubblica ad essere troppo debole.

Paniamo da quest'ultimo punto, il meno dolente.

La pressione, in parte, e 'è stata: a favore della riforma si sono apertamente schierate tutte le categorie economiche, i sindacati, le associazioni, il mondo della cultura. In testa a questo movimento, pur con qualche eccesso, c'era l'Adige dell'ex direttore Visetti.

Eppure, non si è mai riusciti ad andare oltre le élites, a coinvolgere la massa dell'opinione pubblica. Il motivo è semplice: abbiamo perso l'onda. Il clima caldo che e 'era nel '93 non poteva durare in eterno, e noi siamo arrivati con quattro anni di ritardo, in periodo di "riflusso".

Ciononostante, per quanto esigua rispetto a quella del '93, la pressione dell'opinione pubblica ha prodotto i suoi effetti: se anche uno come Tarcisio Grandi, che ha come unica bussola della sua linea politica la rielezione, si era schierato per la riforma, e se il Patt era arrivato ad eleggere Andreotti a suo presidente sulla base di una relazione pro-riforma elettorale, allora voleva dire che il gioco stava funzionando.

Che la gran parte del Consiglio fosse composta da persone che si muovono solo se "costrette " lo si sapeva: quella era la quota che andava accalappiata attraverso, appunto, la pressione dall'esterno.

Le note dolenti, invece, sono gli "eroi mancati". E a chi se non ai consiglieri della sinistra doveva spettare questo nobile compito, tanto più che della riforma elettorale avevano fatto una bandiera?

Erano partiti in nove, quando si trattava di dare vita alla Giunta Ulivo-Abete per fare le riforme. Una volta formata la Giunta, non si sa perché, in maggioranza erano rimasti solo gli assessori. Unica eccezione Marco Dalbosco. Ciascuno dei fuoriusciti aveva nobilissime motivazioni. Ciò che conta per i cittadini, però, è il risultato: e nella Giunta Ulivo-Abete, l'Ulivo partiva già indebolito.

Poi, durante il percorso, quando si è capito che la riforma avrebbe previsto (come da programma) anche la riduzione della frammentazione, altri hanno abbandonato la nave. Con motivazioni nobilissime, s'intende.

Ora viene il bello. Saltata, assieme alla Giunta Ulivo-Abete, la possibilità di approvare la maxi riforma elettorale, oggi in Consiglio regionale si discute della possibilità di introdurre una soglia di sbarramento del 5%, bandiera del Patt, della Lega e del Ppi. Non sarà una panacea, ma qualunque persona di buon senso, vedendo venti partiti in Consiglio provinciale, è in grado di capire che a qualcosa la soglia deve pur servire.

Ebbene: Patt e Ppi hanno già cambiato idea, la soglia non la vogliono più. Non lo ammetteranno mai, ma non muovono un dito per farla approvare. Il Patt sa che fino a quando il Consiglio provinciale rimarrà nel caos, gli autonomisti saranno un partito centrale nel quadro politico. Il Ppi, invece, è prudente: non si sa mai, con le elezioni.

Alla prima votazione in Consiglio regionale, Andreotti è assente, Tretter è fuori dall'aula e Valduga vota contro la maggioranza.

Pazienza. Tanto quelli sono irrecuperabili. La beffa è che la passeranno pure liscia, visto che questo scandalo, per i mezzi di informazione locale, merita poco più di un trafiletto. Eppoi, Patt e Ppi hanno trovato un insperato alleato che toglie loro le castagne dal fuoco. Certa sinistra.

Già, la sinistra come si sta comportando? Gasperotti (Rifondazione) ha presentato migliaia di emendamenti ostruzionistici per bloccare qualsiasi soglia. Ma Bertinotti non era per il proporzionale con soglia? Sì, ma Bertinotti ha l'otto per cento, mica il due!

De Stefani (Rete-Solidarietà), Dalbosco (Rete) e Benedetti (Fri) hanno presentato anche loro pacchi di emendamenti contro la soglia, ammantando l'operazione in maniera nobile: vogliono riprovarci col premio di maggioranza.

È' ridicolo. Quando c'era la Giunta Ulivo-Abete, che il premio di maggioranza poteva introdurlo per davvero, De Stefani era all'opposizione e Dalbosco abbandonò con Passerini la maggioranza dicendo che la riforma elettorale non si sarebbe mai potuta fare.

Insomma, i nodi, alla fine, vengono al pettine. Si è favorevoli alla riforma elettorale solo fino a quando non tocca gli interessi miei o del mio partito. Ma allora, che differenza c'è con il Patt?

Pinter (Solidarietà!) tiene un comportamento più defilato, ma è sulla stessa lunghezza d'onda. Rimangano Chiodi e Alessandrini (Pds), Leveghi (Psdi), Bandi (Si) e Passerini (Rete).

Un comportamento abbastanza dignitoso fino all'ultimo, sebbene dalle dimissioni di Passerini da assessore in poi siano andati in ordine sparso. Vecchio guaio della sinistra. Ecco, la soglia potrebbe servire almeno ad unirla. Ma nessuno di questi consiglieri pare avere più la forza di reagire: hanno esaurito le batterie. Per sperare in un cambiamento della politica trentina, si deve comunque ripartire dal loro lavoro.