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Biocard: lasciatemi dire come voglio morire

Un testamento contro la vita ad ogni costo. Da "Cantù oggi" mensile di Cantù (Como).

Cristana Pulcinelli

L'hanno chiamata Biocard, e si presenta come un semplice foglio su cui compaiono alcune domande che riguardano quanto di più intimo possiamo immaginare: la morte. I membri della Consulta di Bioetica di Milano, quando hanno pensato a questa sorta di testamento biologico, non volevano fare della metafisica. Il loro problema era concreto: se una persona entra in coma improvvisamente e viene portata in ospedale, chi potrà stabilire se, potendo scegliere, privilegerebbe la vita in sé o invece la sua qualità? Chissà se, ad esempio, la signora di Monza a cui il marito ha staccato la spina armi in pugno avrebbe scelto di vivere ad ogni costo, oppure sarebbe stata d'accordo con quel gesto disperato. Allo stato dei fatti, nessuno può dirlo. Ma se invece la signora, prima di entrare in coma, avesse firmato un documento in cui fosse scritto a chiare lettere: "Non voglio che mi venga praticata la rianimazione cardio polmonare se il suo risultato fosse solo il mio mantenimento in uno stato di incoscienza permanente", le cose sarebbero state più facili. Perché, allora, non dare la possibilità a chi ha le idee chiare in proposito di esporle in modo ufficiale? La carta di "autodeterminazione" (tale è il nome tecnico) è nata con questo scopo.

"I progressi della medicina -spiega Valerio Pocar, presidente della Consulta di Milano e sociologo del diritto- hanno risolto molti problemi, ma ne hanno creato uno nuovo. Oggi si può, tenere in uno stato vegetativo una persona anche per 20 anni: le funzioni vitali esistono ancora, ma non c'è più la coscienza. Questa situazione sembra ad alcuni di scarsa dignità: c'è chi piuttosto preferisce morire ".

La cosa, però, è più complessa di quanto sembri. Anzitutto perché il confine che passa tra la cura e l'accanimento terapeutico non è mai definito in modo preciso. E poi perché, anche qualora il medico fosse convinto dell'inutilità del suo intervento, spesso non potrebbe fermarsi; "A impedirglielo c'è, da un lato, un dovere deontologico di preservare la vita -continua Pocar- dall'altro, la paura di incorrere in responsabilità civili o penali per omissione di soccorso ".

La Consulta di bioetica di Milano -unica finora in Italia- ha così pensato a un documento (esempi simili si trovano in Usa, Olanda e Danimarca) che faciliti anche il compito dei medici. In questa sorta di testamento, una persona capace di intendere e volere dice a quali trattamenti è disposta a sottoporsi e a quali no in caso di perdita di coscienza e indica il nome di qualcuno che decida per lei in quei momenti drammatici. La Costituzione garantisce infatti che la mia volontà venga rispettata finché sono in grado di intendere, ma non nel momento in cui perdo questa capacità. La Carta c'è da qualche anno, ma fino ad oggi non ha valore giuridico. Ora, però, sta per essere presentata una proposta di legge perché venga considerata a tutti gli effetti come un testamento da rispettare.

Qual è la filosofia che c'è dietro questo approccio? Maurizio Mori, che si occupa di bioetica da filosofo, ci apre un orizzonte più vasto: "La necessità di autodeterminazione nasce dalla consapevolezza che le situazioni di 'fine vita' sono diventate più complesse da gestire, e che l'idea che ci sia un 'modo naturale ' di morire sia ormai remota. Il rapporto tra cittadino e salute va reimpostato. Il nostro rapporto con la cura non è più quello di 100 anni fa. In passato la medicina poteva poco: ci si affidava a una vis medicatrix naturae che guariva la maggioranza dei casi. Oggi, dietro alla medicina c'è una impresa industriale: l'uomo può far conto su risorse che vengono dalla collettività. Questo però crea due problemi: uno di giustizia e uno di autonomia. Ci si chiede: cosa è giusto fornire alle persone? E, contemporaneamente possono scegliere cosa vogliono? Di certo è impensabile volere tutto".

Di fronte a questi dilemmi, la Consulta di Milano si è data un primo obiettivo: affrontare il problema del termine della vita.

"Proprio perché sono aumentate le capacità di tenere in vita le persone -prosegue Mori- aumentano le situazioni difficili Ci si accorge in questi casi che la morte non è il peggiore dei mali: peggio ancora è lo stato di chi si trova in una condizione di dolore e di degradazione e non può uscirne se non cessando di esistere. Sostenere la vita non è sempre buono ".

Bisogna mettersi in testa una cosa, ribadiscono gli esperti: le decisioni, prima o poi, qualcuno le prende. E allora, invece di demandarle ad altri, sarebbe meglio prenderle in prima persona. "Alcuni sostengono -dice Pocar -che la Carta non tiene conto della mutevolezza della volontà: io oggi, sano di mente, do disposizioni nell'ipotesi che mi ammali o mi venga l'Alzheimer. Poi, per un motivo o per l'altro, cambio idea. Ma non è un'obiezione valida. In primo luogo perché se non dispongo io, disporrà sicuramente il medico. Poi perché una persona ha la possibilità di modificare le sue volontà in ogni momento. E poi: la gente si assume delle responsabilità enormi senza pensarci troppo e tenendosele per tutta la vita, ad esempio quando mette al mondo un figlio. Non si vede perché in questo caso dovrebbe essere diverso".