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QT n. 19, 7 novembre 1998 Servizi

Un governo che non mi appartiene

Perplessità pubbliche e private in merito alla soluzione della crisi nazionale.

Ho letto Eugenio Scalfari e Paolo Gambescia, Claudio Rinaldi e Renato Ballardini, tutti saggiamente comprensivi verso il governo appena nato, presieduto da Massimo D'Alema. Ho ascoltato anche gli argomenti appassionati di Renzo Imbeni e Fabio Mussi, gli applausi con cui a Trento sono stati accolti, ma il mio imbarazzo, forte, permane. Sapevo, nel '96, votando l'Ulivo, che avrei dato voce anche a Fausto Bertinotti e a Lamberto Dini, e che ciò avrebbe creato problemi. Con essi, in questi due anni e mezzo, avevo però imparato a convivere.

Erano sopportabili quei problemi, e quindi con essi avrei voluto convivere ancora a lungo, perché anch'io nel risultato avevo messo le mani, e a quell'edificio grigio, avevo portato un mattone, e una parola di stima e speranza. Non di più, perché la militanza attiva per me si è chiusa da un pezzo, ma sufficienti a farmi sentire che quella frammentazione, e quella convivenza difficili, erano le pulsazioni della società italiana complessa, anche corporativa e immatura, ma comunque la sua parte migliore, e nemmeno maggioritaria. Considero gravi le responsabilità di chi - il partito di Rifondazione Comunista - ha interrotto il processo di maturazione innescato nella società, e anche dentro di me.

I problemi che la nuova alleanza mi pone mi paiono invece oggi insopportabili, perché io non ci ho messo le mani, ne vi ho potuto sprecare una parola, per costruirla o per allontanarla. Sono una persona di scuola, e uno dei temi più spinosi, per un cittadino di sinistra, è quello delle scuole private: la questione va affrontata, sono d'accordo, e con coraggio, me ne sono gradualmente convinto. Il giorno in cui il ministro Luigi Berlinguer e Romano Prodi mi avessero presentata la loro legge, quella necessaria e possibile, immagino che l'avrei accettata e difesa nella mia scuola, seppure con qualche turbamento interiore.

La legge che verrà, firmata da Berlinguer e D'Alema, anche se fosse meglio congegnata, sento che mi apparirà comunque più brutta, perché quella mediazione non la sentirò come il frutto anche della mia parola e della mia mano, il punto provvisorio d'approdo sul quale sostare. Il sorriso di soddisfazione di Cossiga e di Buttiglione, e chissà, persino di Gubert, che seguirà le parole contorte dei due governanti della sinistra, lo vivrò come una sconfitta. Nell'aula docenti quella legge la guarderò in silenzio o forse la vorrò condannare brutalmente, con un senso di liberazione. E sarà un arretramento, psicologico prima ancora che politico, perché ogni problema complesso del mondo d'oggi avrebbe bisogno di una trattativa, magari confusa, ma continua, fra i cittadini. E' questa che alla fine decide anche della trattativa di vertice, mentre io mi sento piuttosto indotto al silenzio. Mia figlia, studentessa universitaria, ha seguito in TV il dibattito alla Camera sulla fiducia al governo: se chiudo gli occhi e non vedo le facce, è Gianfranco Fini ad avere più ragione di tutti, mi ha detto, ed è di sinistra.

Ileader politici sono ormai per i cittadini quasi solo dei lampi televisivi. Ma non sempre. lo, da anni, ho scelto per i miei studenti come testo di educazione civica "Cittadini del mondo" di Ernesto Balducci e Pierluigi Onorato. Quest'ultimo, magistrato e parlamentare, si era nei giorni della guerra del Golfo, fu uno dei bersagli su cui si accanirono le parole beffarde e offensive di Francesco Cossiga. Lo dissi ai miei studenti di allora che l'autore del nostro libro era il "traditore " picconato nelle cronache giornalistiche, e proposi al collegio docenti, se intendeva adottare il manuale, di approvare un documento di solidarietà al suo autore, e di critica, rispettosa, al presidente della Repubblica. Fra quegli insegnanti, centocinquanta, parecchi votarono contro, ma la maggioranza approvò.

Ne parlarono i giornali, e Pierluigi Onorato ci scrisse una lettera commossa di ringraziamento: più tardi fu anche il Tribunale a dargli ragione, condannando Cossiga. Che dico oggi a quei colleghi, per i quali il fondatore dell'Udr non e solo una battuta brillante in Tv, ma è stato motivo di una pensosa alzata di mano? E ai miei studenti'? Qui non si tratta ovviamente di destra o sinistra, anche se sanno da che parte pende il loro insegnante, ma di introdurli alla "polis", alla politica come problema, e non come interesse, gioco, intrigo. Qualche volta ascoltiamo in classe "Prima pagina", e ricordo l'attenzione con cui hanno seguito Marcello Veneziani leggere i giornali che raccontavano una manifestazione secessionista della Lega, e poi hanno controllato gli articoli sui quotidiani più vari.

Questa volta sarebbe toccato a Sandro Magister, ma io non me la sono sentita di registrare le puntate per i ragazzi: la politica, in questa crisi, appariva solo manovra ed immagine, e quindi li avrebbe allontanati ancora di più. Come spiegare che la stessa persona può fare il ministro del lavoro e il sindaco di Napoli?

Io non so cosa di meglio si sarebbe potuto inventare in questa emergenza. Temo che alla sinistra questi comportamenti saranno rinfacciati per anni, e renderanno poco credibili le accuse di incoerenza che rivolgeremo alla destra. Ma temo soprattutto che accresceranno il numero di coloro che considerano irrilevante l'informarsi, il partecipare, il votare.