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Soledad Ramos, 10 anni: a morte per fame

da "Qualevita", bimestrale di Torre dei Nolfi (L'Aquila)

Maurizio Chierici

Quanti anni sta per compiere Soledad Ramos, occhi incantati con dentro niente? 13, forse 14: ne aveva dieci quando l’ho incontrata ad Aguillares nel caldo della canna da zucchero, vicino a San Salvador.

Ramos è il nome della madre. Il padre non c’è, eppure l’essere riconosciuta da almeno uno dei due genitori era segno di una nobiltà della quale solo il 10% di chi veniva al mondo ad Aguillares poteva gloriarsi. Gli altri, quasi tutti, restavano figli di nessuno: anche le madri si rassegnavano ad abbandonarli. Troppi bambini da padri vaganti sotto i tetti di latta delle baracche.

Dopo il taglio della canna, la sola sicurezza di Aguillares è il prossimo raccolto. Bisogna aspettare e sperare: a volte un’altra bocca diventa insopportabile. Un mattino, in municipio, c’è una suora che sembra una ragazza; aspetta insieme a tre bambini. L’impiegato ride con l’aria di cominciare un vecchio gioco. "Chi è il primo?". Anche la suora sorride: "Napoleon". Allora l’impiegato spalanca il registro dello stato civile con l’aria di pescare il numero della cabala. "Il nome in testa alla pagina è Molina. Ti battezzo Napoleon Molina...", e guarda il bambino per scoprire se gli si addice.

Col camion di un ortolano senza frusta, passa ad Aguillares il signor Miranda: cerca cameriere bambine da portare in città. Le sceglie da una baracca all’altra, recitando con madri e padri (quando ci sono) una commedia sconsolante. Tutti sanno tutto, ma tutti fanno finta di niente e la ragazza parte consapevole di andare al macello. Le madri intascano l’ingaggio di pochi colones: soldi in mano e figlia che monta sul camion dove aspettano altre ragazze. Solo una cosa può salvare Soledad, ed è la virtù che ogni donna respinge come un brutto sogno: speriamo sia brutta. Ma che tristezza nella civiltà delle creme e dei massaggi aggrapparsi a questo salvagente!

Il tormento che accompagna Soledad è più profondo. Ancora una volta c’è una madre quasi senza colpa. Soledad è nata poche settimane dopo la raccolta della canna. Le donne restano un supporto alla fatica degli uomini, ma anche la loro fatica diventa insopportabile. Dodici ore al giorno nei campi. Mangiano le solite cose: erbe bollite, fagioli. Finora non era dimostrato da una sperimentazione con tanta gente ciò che il buon senso sembrava suggerire: se le madri si nutrono in modo adeguato, vengono al mondo figli che non hanno il sorriso vuoto di Soledad. Nel rapporto Unicef ’98 sulla condizione dell’infanzia, un capitolo illustra l’esperienza sorvegliata nella regione di West Kiang, Gambia africana. La percentuale dei bambini morti e dal peso insufficiente rimodula i numeri del resto del mondo. Ogni anno, in quei mondi, nascono 24 milioni di bambini sotto i due chili, metà dei quali segnati dall’ombra che esclude Soledad dalla vita di tutti.

L'anno scorso morivano 26 bambini al minuto, quasi 12 milioni a fine anno. Metà se ne sono andati per malattie dai nomi diversi, ma sempre cresciute intorno allo stesso, invincibile virus: la fame. Ecco che, in Gambia, il dottor Sana Ceesay divide in due gruppi le donne in attesa di figli in 28 villaggi lontani. Un gruppo va avanti come può e come sempre. Ma le puerpere dell’altro plotone vengono nutrite per 20 settimane con biscotti di arachidi dal grande valore energetico. Perché la fatica della madre può segnare la vita futura dei bambini. I gesti di ogni giorno obbligano le gestanti degli altri mondi ad un dispendio di energie difficile da immaginare nelle nostre soffici case: tirar su l’acqua dal fiume e dai pozzi, tagliare la legna, lavoro nei campi. Eppure per la prima volta nel West Kiang, il 50% dei bambini nasce col peso giusto, e ne muoiono la metà rispetto al gruppo delle madri costrette a vivere con la dieta di sempre. Merito di un biscotto di arachidi che non costa niente. Un biscotto che il British Medical Journal di un anno fa ha trasformato in una speranza. La stessa speranza era passata ad Aguillares prima della nascita di Soledad, ma non è stato possibile fermarla.

Uno studio della Columbia University aveva stabilito che per lo sfinimento da mancanza di proteine, l’82% dei bambini di Aguillares nasceva con tanti problemi. Una soluzione sembrava a portata di mano per evitare che tante Soledad ciondolassero attorno alla canna da zucchero. Due volte l’anno, davanti a certe coste, il Pacifico è attraversato da migrazioni di pesci piccolissimi, un fiume che non finisce mai. Navi aspirapolvere imballano la migrazione nelle loro stive. Prede non saporose: diventano farina proteica. "Imbastiamola con qualche aroma e la facciamo mangiare alle madri di Aguillares"- propongono i ricercatori americani. Purtroppo la farina era destinata a diventare bocconi nutrienti per milioni di cani e di gatti. Soledad e le altre potevano aspettare.

Speriamo che ai cani non piacciano le arachidi, altrimenti anche i biscotti della West Kiang resteranno il sogno dell’ultimo Eden africano.

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