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QT n. 2, 23 gennaio 1999 Servizi

Il fragile futuro del servizio civile

Il caso Gubert riapre il dibattito. Ma oltre alla naia e al servizio civile, si potrebbe tentare una terza via...

Luca Petermaier

La decisione di Daniele Gubert, il ventiseienne trentino recentemente salito agli onori delle cronache per aver scelto, tra il servizio militare e quello civile, la terza via dell’obiezione totale, ha sollevato un vespaio di polemiche, sia tra gli addetti ai lavori, sia tra i giovani in età di leva, divisi tra chi si è schierato con Gubert e chi invece da Daniele ha preso le debite distanze.

Quest’ultimo gruppo, per la verità, è ben poco numeroso.

Chi scrive, attualmente obiettore in servizio presso QT, ha potuto constatare che tra gli amici e i conoscenti, in genere ragazzi dai 20 ai 26 anni, una buona parte esprime disagio, quasi fastidio, non solo, e prevedibilmente verso il militare, ma anche rispetto al servizio civile, al quale non si risparmiano, oltre ai giudizi negativi e alle argomentazioni che normalmente accompagnano la naia (non serve a niente, è solo una perdita di tempo), anche critiche ben più pesanti, tipo quella di sfruttamento degli obiettori da parte delle cooperative convenzionate, accusate di utilizzare i giovani in attività che invece dovrebbero essere svolte da professionisti.

Questo malessere è ormai diffusissimo, e ne sono riprova le scelte di obiezione totale che, soprattutto nel nord-est d’Italia, hanno registrato una autentica esplosione. Grazie ad una legge sciagurata che consente, pagando, di evitare sia il militare che il servizio civile, il discrimine tra chi il militare (o l’obiettore) lo farà e chi invece alla patria non darà nemmeno un giorno diviene la mera disponibilità di denaro: se mi dai 8 milioni, io, Stato, ti esento dalle marce, dalle guardie, dalle carrozzine e dagli handicappati. Se i soldi non ce li hai, peggio per te.

Ecco allora che non è un caso che siano proprio i ragazzi del Trentino, del Veneto, del Friuli, cioè delle regioni dove il benessere è palpabile e il lavoro non manca, quelli che, più numerosi, hanno sfruttato questa forma di monetizzazione a buon mercato dell’obbligo di leva.

Non si biasima certo la scelta di Gubert: onestamente, potendo permetterselo, chi non lo avrebbe fatto o non lo farebbe?

Ma fanno storcere il naso le motivazioni che lo animano che, più che ideologiche, sembrano di puro opportunismo economico: "Io ho compiuto studi e numerosi viaggi all’estero. Ho usufruito di borse di studio di enti privati, della Provincia, dello Stato, dell’Unione Europea per conseguire un’alta qualificazione e specializzazione in ambito tecnologico e informatico (...). Bene, oggi lo Stato... mi manda a spingere carrozzelle anziché farmi contribuire con le mie capacità e risorse alla collettività sociale". A parte il fatto che anche spingendo carrozzelle, aiutando un disabile, accompagnando un cieco o contribuendo, come il sottoscritto, alla pubblicazione di un giornale di informazione libera da padroni, si partecipa alla crescita ed al miglioramento della "collettività sociale", così come la chiama Gubert.

E poi, se non altro, Daniele poteva fare la sua scelta e sborsare gli 8 milioni senza per questo dover appiccicare l’etichetta di "imboscati" e di nullafacenti a chi ha intrapreso percorsi diversi dai suoi; mentre lui, quando c’era da prendere dallo Stato finanziatore ha fatto man bassa di contributi e borse di studio, ed ora che anche lui è chiamato, come tutti, a dare qualcosa alla società, scade, assieme al suo comodo idealismo antimilitarista, in giudizi sprezzanti e insopportabili (io, personalmente, mi sono sentito offeso) nei confronti di chi "obiettore di coscienza, si imbosca in qualche ente amorfo e non combina nulla o persegue solo i propri interessi".

Il "caso" Gubert ha comunque riproposto con forza una questione politica che da diversi anni si trascina e che per il momento non ha ancora trovato sbocchi concreti, e cioè il discorso sull’abolizione dell’obbligo di leva e la conseguente istituzione di un esercito composto esclusivamente da professionisti.

La possibilità di dichiararsi obiettore totale, evitando con tutta probabilità il carcere (sostituito da una multa), avrà, come è prevedibile, il risultato di incentivare i giovani verso questa opportunità, più comoda e indolore. Tra alcuni anni i ragazzi che decideranno di non pagare e quindi di svolgere il servizio militare saranno, presumibilmente, un’esigua minoranza. Da qui all’abolizione della leva obbligatoria il passo sarà breve, a meno che non intervengano nel frattempo leggi in grado di fermare la fuga dei giovani dai loro "doveri" verso la patria.

D’altra parte la via, anche in Europa, pare essere quella del professionismo. In Spagna, per citare solo un caso, entro un paio d’anni si avrà un esercito totalmente professionale, anche grazie al coraggio e alla profonda convinzione antimilitarista di migliaia di giovani che hanno preferito il carcere alla caserma, contribuendo in questo modo a sensibilizzare l’opinione pubblica ed accelerando il processo di smantellamento del carrozzone della leva obbligatoria.

Ma se, come prima o poi succederà, verrà abolito il servizio militare, che è effettivamente un obbligo insensato ed anacronistico, che fine farà il servizio civile, che si è invece dimostrato in questi anni, al di là di qualche necessario ed anche profondo aggiustamento, un istituto indispensabile nelle mani delle cooperative che operano nel sociale?

Lo abbiamo chiesto a Giuliano Beltrami, responsabile del "Consolida", il consorzio che riunisce la quasi totalità delle cooperative del privato sociale operanti in Trentino: "Sono anch’io convinto che tra qualche anno si porrà il problema dell’esercito di professionisti e che, di conseguenza, anche il ruolo del servizio civile dovrà essere rivisto. Si potrebbe mantenere comunque il servizio civile, indipendentemente dalle sorti del servizio militare. Questo perchè l’obiezione di coscienza ha un ruolo importante nella vita di un giovane; lo avvicina al mondo del sociale, lo sensibilizza rispetto a situazioni umane più sfortunate della sua: insomma credo sia tutt’altro che un’esperienza inutile e sorpassata, che potrebbe continuare a camminare con le proprie gambe. Anzi, dico di più: penso che la si dovrebbe estendere anche alle donne, se veramente si arrivasse un giorno a sganciare il servizio civile da quello militare. Visto che abbiamo ormai tante donne poliziotto, perché non pensare anche alla donna "obiettrice di coscienza"?".

Un’alternativa all’idea di Beltrami è quella di un sistema di servizio civile professionalizzato, già praticato negli Stati Uniti. Si elimina cioè l’obbligo di prestare il servizio e si consente, a chi lo voglia, di svolgerlo, professionalmente appunto, dietro compenso, ma solo dopo un adeguato periodo di addestramento e preparazione. "Anche una soluzione di questo tipo è interessante ed auspicabile. Ma, a mio giudizio, solo in presenza di due presupposti: che sia l’ente a poter scegliere e selezionare preventivamente il ragazzo, così da poterne radiografare le motivazioni e le capacità; e poi che lo Stato integri almeno una parte dello stipendio, che altrimenti sarebbe insostenibile da parte di associazioni "no profit" come le cooperative di solidarietà".

E'di tutt’altro avviso il prof. Borzaga, docente di Economia del Lavoro presso l’Università di Trento ed esperto del mondo del no profit: "Questo sistema ha più controindicazioni che benefici. E’ dimostrato che il pagamento non produce alcun effetto sulle performance lavorative, né sull’attaccamento all’ente. La motivazione economica è cioè di gran lunga prevalente rispetto a quella ideologica, che è invece l’elemento caratterizzante le cooperative sociali. Oltre a questo c’è il rischio serio di creare una sorta di mercato del lavoro parallelo, sommerso ma ufficiale e difficilmente inquadrabile all’interno dell’ambito del no profit".

Borzaga considera inoltre di non facile percorribilità nemmeno la strada del mantenimento del solo obbligo di servizio civile, come invece auspicato da Beltrami. Servirebbe, dice, per sviluppare una cultura della solidarietà, ma sarebbe poi molto complicato riuscire a smistare oltre 150.000 persone tra gli enti convenzionati, visto che già i 50.000 obiettori attuali sono a volte mal impiegati. Ci sarebbe insomma il pericolo di non riuscire a gestire efficacemente l’intero sistema, con evidenti rischi di sovrapposizione di personale e di esuberi.

La via più efficiente è, per Borzaga, una terza soluzione non ancora applicata in nessun paese, ma alla quale si guarda unanimemente con molto interesse: "Si tratterebbe di una soluzione intermedia, cioè di un volontariato adeguatamente incentivato, non pecuniariamente, ma attribuendo al giovane una serie di agevolazioni nell’utilizzo di servizi che, altrimenti, sarebbero a pagamento. Penso, ad esempio, ad un ragazzo che frequenta l’università, che potrebbe mettere a disposizione di un ente, mettiamo, 150 ore del suo tempo e ricevere in cambio degli sconti sui libri, o sulla mensa, o essere esentato, in quel periodo, dal pagamento delle tasse universitarie".

Il tutto nell’ottica della flessibilità, perfino del volontariato.

Vedremo.