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QT n. 4, 20 febbraio 1999 Servizi

Spazi per i giovani, la strada e poi?

Parrocchie e oratori senza rivali. Le iniziative laiche arrancano. E il Comune di Trento cosa fa? Viaggio nel mondo dell’associazionismo giovanile cittadino.

Luca Petermaier

"I giovani sono la risorsa più importante per il futuro. Puntare su di loro è obiettivo indispensabile di qualsiasi politica sociale." I giovani - ne segue - hanno bisogno di spazi: spazi dove incontrarsi, dove potersi esprimere, dove confrontare e condividere esperienze.

Questo è il ritornello, la litania che si ripete con puntualità, in ogni programma elettorale, in ogni trasmissione televisiva che affronti il tema; è, insomma, il punto costantemente all’ordine del giorno.

Ma quanto di questi programmi viene poi attuato? E’ quello che ci ripromettiamo di verificare in questo nostro servizio, centrato su Trento, in quanto in genere è nella realtà urbana che il problema è più acuto.

Un primo sguardo subito evidenzia un dato di fondo: scarseggiano gli spazi "istituzionali" o laici che dir si voglia, quelli o legati all’amministrazione comunale, o comunque slegati dal mondo cattolico, per intenderci. Non fanno difetto invece le strutture collegate, direttamente o in via informale, alla Chiesa.

Del resto è sempre stato così. L’associazionismo cattolico continua, come in passato, a fungere da calamita per i ragazzi dai sei ai vent’anni, ad accompagnarne le fasi più importanti della crescita: li prende fanciulli e li lascia dottori. Un percorso che passa attraverso varie fasi intermedie, dai chierichetti, agli scout, talora a Comunione e Liberazione, fino alla Fuci, l’organizzazione degli universitari cattolici. E’ una galassia sterminata di associazioni, gruppi e sottogruppi che coprono capillarmente quasi tutto l’ambito del sociale. Una realtà che si è saputa rinnovare nel corso degli anni, adattandosi alla società in evoluzione.

Certo, il ruolo di raccolta dei giovani nelle organizzazioni cattoliche è stato via via ridimensionato, a partire dagli anni Sessanta. Ma, nonostante tutto, è ancora fondamentale: quasi tutti, chi più chi meno, passano per l’oratorio o per i lupetti.

"Ovviamente - ci dice Pier Giorgio Rauzi, docente a Sociologia - la realtà era diversa negli anni Cinquanta. Allora il predominio delle parrocchie, come centri di aggregazione sociale, giovanile e non, era assoluto. Erano i tempi dei vecchi oratori, quelli storici, come Santa Maria, il vecchio teatro Madruzzo, il Duomo, in cui il senso di appartenenza era fortissimo. La consistenza numerica di bambini e adolescenti che li frequentavano non è nemmeno paragonabile a quello attuale: basta vedere quanti (pochi) chierichetti salgono la domenica sull’altare assieme al parroco oggi."

Il brusco ridimensionamento è venuto negli anni Sessanta, con la diffusione a macchia d’olio dell’automobile: "La Fiat 600 - afferma Rauzi - ha prodotto uno spostamento della mobilità orizzontale delle famiglie: mentre prima, la domenica, si andava tutti all’oratorio, con la macchina le famiglie ebbero più libertà di spostarsi, e quindi cominciarono a preferire il lago o la montagna alla parrocchia". La Fiat 600 allo stesso tempo, indica il nascere della cultura industriale, del consumismo, con tutto quel che ha comportato in termini di laicizzazione e secolarizzazione della società: per gli oratori gli spazi hanno iniziato a restringersi.

La Chiesa finì con il prendere atto che il ruolo di guida materiale, di organizzatrice della quotidianetà dei fedeli, le era in gran parte scappato di mano. Erano finiti i tempi in cui il vescovo di Prato, come testimoniano le cronache di allora, si poteva permettere, durante l’omelia, di additare come "pubblica concubina" una giovane donna, rea di essersi sposata civilmente.

Nell’indispensabile cambiamento fu coinvolto anche il mondo dell’associazionismo cattolico. Ai chierichetti sono state affiancate le chierichette; agli scout partecipano oggi anche ragazzi che non vanno a messa abitualmente, o figli di genitori non praticanti, o divorziati, o non sposati secondo il rito cattolico; addirittura, come è accaduto nella parrocchia di S. Antonio (vedi la scheda a pag. 21), giovani musulmani, o di altre religioni.

Intendiamoci, l’associazionismo cattolico giovanile mantiene pressoché intatta la struttura da tempo collaudata, e soprattutto mantiene ancora una forte tendenza confessionale.

La catechesi però è diventata una sorta di comoda delega educativa da parte delle famiglie, più che un momento di consapevole scelta di fede. I genitori spesso vi mandano i propri figli perché anche i loro amichetti ci vanno, e preferiscono comunque mandarli in parrocchia piuttosto che in strada o chissà dove. E lo stesso vale per i gruppi dei chierichetti o degli scout. "Un tempo - ci conferma Rauzi - c’era una forte rigidità nell’accoglienza dei ragazzi, c’era un’autentica discriminazione verso i figli di famiglie non praticanti o non cattoliche. Ora invece basta che i ragazzi arrivino. E questo non in nome di un’evoluzione consapevole e matura da parte della Chiesa, che ha ritenuto necessario demolire certi pregiudizi antistorici, ma solo in conseguenza di uno stato di necessità, che ha portato la Chiesa ad una passiva presa d’atto dei mutati costumi sociali, e ad un conseguente adeguamento, ma senza troppa convinzione".

Scelta consapevole o adeguamento suo malgrado, la parrocchia rimane di gran lunga il luogo di ritrovo preferito dei giovani. La macchina organizzativa che vi sta dietro certamente facilita la raccolta dei ragazzi. Gli oratori non saranno forse più frequentati all’insegna di quel forte senso di appartenenza che li contraddistingueva, ma rimangono tutt’ora i luoghi dove è materialmente più facile incontrarsi, giocare e stare insieme. Dalla partita a calcio nel piazzale della chiesa è molto facile (soprattutto quando lo fanno anche gli amici) entrare nel gruppo dei chierichetti e da qui negli scout o nei lupetti. I momenti di socializzazione sono più semplici, quasi automatici. E di fronte a questo stato di cose, preghiere e messe possono anche venire digerite senza grossi patemi, almeno da parte dei meno convinti. I ragazzi sono contenti, le famiglie pure e la Chiesa più di loro.

Un meccanismo, in parte riadattato, ma che continua a funzionare alla perfezione, dunque.

Ma qui si pone l’altra grande questione in tema di associazionismo giovanile. Lo Stato, che costituzionalmente è laico, cioè non sposa formalmente alcuna religione, ma le riconosce tutte, che cosa fa? E, più nello specifico della nostra realtà locale, come si è attrezzato il Comune, cioè l’istituzione pubblica, per offrire degli spazi di incontro anche ai ragazzi che con la Chiesa non vogliono aver a che fare?

"Abbiamo cercato la collaborazione attiva tra giovani e istituzione comunale - ci risponde il sindaco di Trento Alberto Pacher - Abbiamo detto: noi ci siamo, ma siete anche voi che dovete darvi da fare. Nelle periferie abbiamo avuto delle risposte, forse perché il senso di appartenenza lì è più forte e ci si conosce tutti meglio. Sono nate associazioni giovanili a Mattarello, Cadine, Meano. Sulla città invece i risultati sono scarsi, per non dire nulli. Ho riscontrato una certa labilità nella domanda. I ragazzi si limitano a chiedere genericamente spazi aperti, o che gli organizziamo noi iniziative - come i concerti - di cui poi loro sarebbero solo fruitori, non protagonisti".

Beh, forse la realtà giovanile trentina non brilla per spirito di iniziativa e particolare fantasia. Ma ci sembra troppo comodo addebitare il fallimento della politica sociale dell’attuale amministrazione, ammessa per altro dallo stesso Pacher, esclusivamente all’assenza di idee e di entusiasmo dei ragazzi. Il Comune, un minimo di spazi e di strutture potrebbe (dovrebbe) fornirli autonomamente, indipendentemente dal fatto che dai giovani vengano proposte definite.

A noi sembra che si sconti un dato politico non proprio nobilissimo. Trento ha praticamente sempre avuto sindaci cattolici, eletti anche (alcuni soprattutto) grazie all’appoggio del cattolicesimo organizzato, di cui il sistema degli oratori è parte importante. Creare delle alternative laiche sarebbe doveroso da parte del sindaco, ma forse disastroso elettoralmente. E allora si preferisce non fare niente. Così ha fatto Dellai, e così - ci viene il sospetto - si riduce a fare l’attuale sindaco reggente Pacher, anch’egli restio ad avventurarsi in terreni minati con il rischio di tirarsi addosso le ire della Chiesa.

Forse queste sono inutili quanto sterili elucubrazioni politiche, ma i fatti parlano abbastanza chiaro.

La realizzazione pratica più evidente della politica giovanile del Comune è stato "Spazio aperto giovani", una sorta di agenzia di servizio, uno sportello a cui singoli ragazzi o associazioni organizzate possono rivolgersi per avere informazioni, chiedere consigli o aiuti pratici per le proprie iniziative.

Lodevole. Ma a sentire alcuni ragazzi che di organizzazioni fanno già parte, di questo Spazio aperto giovani si è sentito parlare ben poco. A quanto ci dicono, non è stato pubblicizzato né nelle scuole, né presso le associazioni già esistenti. Alcuni dei nostri interlocutori ne sono venuti a conoscenza solo per aver casualmente letto il giornalino redatto da alcuni ragazzi che lì lavorano, ed intitolato "Zero sclero". Ed è abbastanza emblematico il fatto che l’accusa più grave che viene rivolta all’iniziativa del Comune da parte dei ragazzi, cioè da coloro che nei piani dell’amministrazione avrebbero dovuto esserne i fruitori, sia di non essere presente, di non avere connessione col quotidiano della realtà giovanile, di fungere da mero sportello informativo e non da interlocutore o da riferimento privilegiato: "Dovrebbe essere più dinamico e meno burocratizzato verso le piccole iniziative". "Alle riunioni che abbiamo fatto lì, c’era il funzionario comunale che ci controllava". "Dentro non ci si può fumare neanche una sigaretta"- ci dicono due ragazzi dell’Uds e dell’associazione Città Futura. Ora, che lo spazio associativo laico non fornisca le libertà degli oratori (dove in genere si può fumare, e dove soprattutto non c’è il prete a vigilare su ogni riunione dei ragazzi) la dice lunga sulla distanza tra amministrazione e mondo giovanile.

Ma la latitanza in città di un associazionismo laico forte, capace di reggere la concorrenza di quello cattolico, va cercata anche altrove, oltre le responsabilità dell’ente pubblico.

Quello che sembra veramente mancare è una cultura laica radicata, non necessariamente contrapposta, ma di certo concorrente a quella cattolica. Ci sono le strutture parrocchiali, è vero, a cui è più semplice appoggiarsi. Ma il problema va oltre. E’ alla radice. E la crisi di tesseramento dei partiti, sentiti non più come il collante che lega le istituzioni alla società civile, ma come una cerchia elitaria a sé stante, è uno dei segnali più allarmanti di questa perdita di identità. E finché non ci sarà il recupero di una cultura laica della solidarietà, del volontariato, dell’impegno nel sociale, anche grazie alle iniziative delle istituzioni, ma non solo, il monopolio cattolico nella creazione di spazi a disposizione dei giovani rimarrà, come è ora, incontrastato.

Il che porta a non risolvere il problema giovanile. Perché nella società attuale, c’è una quota di giovani non propensa ad entrare negli oratori. E per essi l’unico spazio di aggregazione rimane la strada.