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QT n. 7, 3 aprile 1999 Servizi

Religione a scuola: tanti sì, ma poca convinzione

Fra nostalgie e attenzione ai ‘segni dei tempi’. Un incontro a Trento riflette su “Cultura, religione e scuola”.

La cultura religiosa degli italiani è notoriamente scadente. Il paese è cattolico, ma anche persone colte non sanno dire che cosa sono l’Esodo o l’Apocalisse. Sul significato del Dio trinitario a commento si ottiene un sorriso di incredulità. Manuali di storia informano del Concilio Vaticano II nel paragrafo politico, come concausa per spiegare negli anni Sessanta l’apertura della Democrazia Cristiana ai socialisti. Molti considerano il fondamentalismo come connaturato all’islamismo, e ignorano anche gli elementi essenziali del dibattito fra ebrei e cristiani sul "pensare Dio dopo Auschwitz". Ma se la teologia medievale è necessaria per interpretare la poesia di Dante, quella di Dietrich Bonhoeffer, il pastore luterano assassinato da Hitler, è una chiave decisiva per capire la secolarizzazione moderna.

Questa ignoranza, che coinvolge credenti e non credenti, non è stata incrinata né negli anni del monopolio ecclesiastico dell’istruzione, né in quelli del fascismo, quando la dottrina cristiana era "fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica", né in quelli più recenti di storia repubblicana, quando il Concordato dell’84 ha garantito alla Chiesa un insegnamento confessionale nella scuola pubblica, massicciamente seguito.

Che questa incultura sia un problema ne sono consapevoli anche alcune delle figure laiche più prestigiose della nostra storia. Vittorio Foa, in carcere durante il fascismo, legge, lui ebreo razionalista e non praticante, anche le encicliche papali, e scrive, in una delle "Lettere della giovinezza", recentemente pubblicate: "E’ spaventosa l’ignoranza anche delle persone cosiddette colte riguardo alle cose ecclesiastiche e religiose: è questo un magro conforto alla constatazione dell’ignoranza mia."

Il convegno internazionale "Cultura Religione Scuola", tenuto a Trento su iniziativa, fra gli altri, della Curia Diocesana e dell’Iprase, e rivolto specificamente agli insegnanti di religione, ha messo a fuoco il problema. La trasformazione oggi in atto riguarda la società, italiana ed europea, sempre più secolarizzata, la scuola, per la quale si prospetta una riforma radicale, i giovani, assillati da domande di senso sul loro vivere e fare, che trovano raramente risposta.

La tematica religiosa è stata opportunamente collocata in un contesto di relazioni più generali. Maria Manuela Ribeiro, dell’Università di Coimbra, ha sottolineato le convergenze possibili fra le culture e le storie: l’identità e la cittadinanza europee vanno costruite attraverso una perenne tensione fra esigenze nazionali e internazionali.

Gerhard Larcher, dell’Università di Graz, ha richiamato il contributo delle religioni alla storia europea: se oggi in Europa i rischi di totalitarismo sono obiettivamente ridotti è perché le religioni monoteiste hanno proposto una visione demitologizzante della realtà, e perché il Cristianesimo, attraverso il lungo dualismo fra Papa e Imperatore, ha legittimato e insieme circoscritto la sovranità politica.

La questione dei giovani è stata analizzata dal sociologo Franco Garelli, che ha sottoposto a critica gli stereotipi del disagio giovanile e della catastrofe della scuola: i ragazzi di oggi, disincantati e flessibili, hanno bisogno di adulti che li educhino a fare di più, a superare i loro stessi educatori. Le linee di riforma della scuola e dell’università sono state esposte da Italo Fiorin, Gabriele Anzellotti, Helmwart Hierdeis.

Ma arrivati al "dunque" - l’insegnamento della religione oggi, in Europa, in Italia, nel Trentino - emergono, fatalmente e fortunatamente, le divergenze, non gridate, ma evidenti, fra i relatori, e fra i partecipanti al convegno.

Chi è orgoglioso del numero, più del 90%, di chi si avvale dell’attuale insegnamento, ne propone ovviamente la riconferma nella sua modalità confessionale: gli insegnanti, i testi, i programmi, spettano di diritto alla Chiesa cattolica. Capofila di questa posizione si dichiara Elio Damiano, dell’Università di Parma. Magari con qualche aggiustamento sperimentale, indicato da Roberto Rezzaghi, in cui però le aperture alle altre religioni e culture rimangono saldamente sotto il controllo dell’attuale gestore, la Cei, cioè la conferenza dei vescovi italiani.

Dal pubblico, ad esprimere però, indirettamente, anche la crisi di chi è chiamato a lavorare sul campo, un’insegnante chiede, a rafforzamento di questa linea, ancora più ore, e un riconoscimento didattico e giuridico più forte, fino alla partecipazione all’esame di Stato.

Flavio Pajer invece descrive la varietà delle soluzioni adottate in Europa, dove l’insegnamento si estende dalla modalità confessionale tedesca a quella laica francese. La tendenza è però verso la deconfessionalizzazione, e verso un’educazione etica, in cui le religioni costituiscono una sorta di giacimento critico e dinamico di valori cui tutti possono attingere. Diffuse sono inoltre le esperienze di educazione interreligiosa e interculturale per formare a una nuova cittadinanza. La soluzione italiana, lo scambio deciso dal Concordato fra confessionalità e una parvenza di facoltatività, appare dal confronto la più arretrata e culturalmente inefficace.

A chi, dal versante tradizionalista, lamenta la scarsa visibilità a scuola della religione, sia oggi, sia soprattutto nel documento sui saperi fondamentali che preannuncia i contenuti della riforma, Mario Dutto, presidente dell’Iprase, risponde che i programmi scolastici nascono da un conflitto reale degli interessi dinamicamente presenti nella società, e che l’autonomia scolastica offre nuovi spazi a chi ha qualcosa da dire.

Luciano Corradini, forse il più noto pedagogista cattolico, ritrova l’"essenziale antropologico" della scuola non nella religione, ma nella Dichiarazione universale dei diritti, e nella Costituzione italiana: lì le grandi culture del liberalismo, del cattolicesimo, del marxismo si sono incontrate, e i concetti di cittadino, di persona, di lavoratore, hanno saputo positivamente contaminarsi. Non a caso, è questa riflessione di Corradini quella con cui Elio Damiano polemizza aspramente, più ancora che con Roberto Maragliano, il consigliere del ministro, accusato di avere escluso dal documento dei saperi la religione in quanto fonte irrimediabile di divisione.

L ’intervento più atteso è quello di Antonio Autiero, direttore dell’Istituto di Scienze religiose di Trento. Ma esso finisce confinato, dalla sapiente regia di Olga Bombardelli, all’ultimo minuto, e di fronte a una sala boccheggiante che si va ormai svuotando. Due cose importanti comunque le dice: trasformare l’insegnamento della religione in educazione etica ha una valenza ambivalente, perché mostra sì il carattere pratico-esistenziale delle religioni, ma può anche favorire i rischi fondamentalisti insiti in esse. Secondo Autiero inoltre l’IR va deconfessionalizzato: è la società civile ormai il nuovo mandante chiamato in causa, per cui lo Stato democratico e laico, anche attraverso la facoltà di Scienze della religione, istituibile a Trento, deve assumersi il compito della formazione degli insegnanti.

Qualche parola di commento in conclusione. Che il Cristianesimo sia ridotto a "lievito e sale" è per Elio Damiano una condanna! Sono cioè ancora forti, fra gli intellettuali cattolici, l’incomprensione e il timore del processo di secolarizzazione, e il risentimento contro chi fatica a riconoscere i valori apportati dal Cristianesimo alla storia d’Europa, e quindi sospetta verso la riserva critica e utopica che i cristiani affermano a tutt’oggi di detenere.

Eppure "la memoria è principalmente ‘memoria passionis’- come ci avverte Elie Wiesel - il ricordo non è mai alieno dalla fatica e la rappresentazione del passato è immediato richiamo alla responsabilità di chi ha provocato storie di dolore, di discriminazione, di morte." Sono parole pronunciate da Antonio Autiero all’inaugurazione dell’anno accademico, dopo l’insediamento alla direzione dell’Istituto di Scienze religiose di Trento.

Ed è ancora presente un guardare con l’orgoglio del vincitore alla crisi della modernità, ai fallimenti originati da un illuminismo che non ha saputo mantenere le sue promesse: la religione è così riproposta a tappare i buchi, a rispondere alle domande di senso che altri hanno lasciate inevase. Ma così si dimentica la lezione di Dietrich Bonhoeffer: Dio non è un tappabuchi!

Forse la presenza a un convegno, organizzato anche dalla Regione e dall’Iprase, su Cultura, Religione, Scuola di esponenti di altre religioni e culture oltre quella cattolica, aiuterebbe a scavare più in profondità, a capirsi, a far maturare nella società la consapevolezza dell’importanza della cultura religiosa.

Mentre dal palco si elogia la Cei che si batte in difesa della religione, nelle condizioni sempre troppo difficili consentite dallo Stato italiano, dalle pagine de L’Adige, quello stesso giorno, un’aspra critica è rivolta al suo presidente, non da un anticlericale, ma dal missionario roveretano Gabriele Ferrari, fino all’ultimo candidato a divenire vescovo di Trento, e infine bocciato perché troppo progressista: "Sì, Ruini ha posto il veto alla mia nomina: un grande onore". E che la stessa Facoltà di Scienze della religione debba costituire motivo di attenzione preoccupata lo dimostra mons. Severino Visintainer, quando nella stessa pagina la sostiene con "l’intento di trovare uno sbocco alla presenza cristiana nel mondo culturale."!

Tuttavia la pluralità di posizioni, culturali e politiche, presenti nel cattolicesimo italiano e trentino, è premessa positiva per affrontare, da parte di tutta la società, questi problemi difficili. Ricordando che in una scuola elementare della città di Trento, alcuni bambini musulmani sono obbligati a frequentare le ore di religione cattolica, anche se non l’hanno richiesto, perché certi maestri di classe non sentono il dovere di organizzare per loro attività alternative. L’insegnante di religione oltretutto… insegna morale, che fa bene a tutti!

E quei genitori non sanno certo ancora protestare: speriamo che imparino presto, che sarà un bene per loro e per noi.