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QT n. 12, 12 giugno 1999 Servizi

Da Povo alla Bielorussia

Il lungo viaggio di 44 trentini: in visita ai ragazzi colpiti dalle radiazioni di Chernobyl, da 5 anni ospitati d’estate da famiglie di Povo.

Da tempo, nell’ambito dell’associazione di Povo ‘Accoglienza in famiglia’, che da più di cinque anni si occupa dell’ ospitalità nelle famiglie locali dei bambini bielorussi colpiti dalle radiazioni nucleari diffuse dallo scoppio del reattore di Chernobyl, si parlava di organizzare un viaggio per conoscere la realtà in cui vivono i bambini ospitati e le loro famiglie.

Era la fine di agosto,bambini ospiti e famiglie ospitanti trascorrevano una allegra giornata tutti assieme alla "Fontana dei Gai" (una baita ai piedi del monte Chegul-Marzola) ospiti del circolo culturale Arci/Paho di Povo: qualcuno disse che sarebbe stato bello fare un viaggio nelle città dei giovani ospiti e visto che l’Arci dispone di un pullmino si decise di intraprendere il viaggio. I partenti - si decise - sarebbero stati 44 per avere un po’ di posto per i bagagli e i materiali da portare in Bielorussia, anche se le persone disponibili erano molto più numerose.

Così il 24 aprile, alle prime luci dell’alba, nel piazzale della Chiesa di Povo, arrivarono auto e pedoni che scaricarono una quantità incredibile di borse, valigie, zaini e scatoloni, perché tutti volevano portare il più possibile agli amici lontani. Quando arrivò il pullman, iniziò la battaglia per farci stare tutto: è stata dura ma ci siamo riusciti.

Il viaggio, più lungo di quanto si pensasse a causa dei soliti imprevisti (in particolare alle frontiere) si ferma per la prima tappa verso mezzanotte, quando si arriva all’albergo a Biesko Biala in Polonia, dove dopo una rapida cena si va a letto.

L’indomani si parte di buon’ora, per la seconda tappa, destinazione Brest in Bielorussia, considerando che oltre frontiera gli orologi vanno spostati avanti di un’ora e che questo confine ha fama di impiegare molte ore nei controlli, in alcuni casi giornate intere.

A conoscenza del problema, gli amici di Recyca (la nostra meta finale) hanno pensato di aiutarci: arrivati alla prima barriera, ancora in terra polacca, ci viene incontro a piedi il nostro angelo custode, una signora bionda che avanza con passo deciso e illuminata da un grande sorriso: la nostra amica Galina, interprete e accompagnatrice dei ragazzi in Italia, nonché direttrice del centro giovanile di Recyca.

Galina prende in mano la situazione, entra e discute con i funzionari accompagnata dal nostro autista Giovanni Tonolini e dal capo comitiva Carlo Filippi. I due confini sembrano un percorso ad ostacoli, che ci costringe a "trattare" prima coi polacchi, poi coi bielorussi, di nuovo coi polacchi e ancora con i bielorussi, ai quali la nostra ambasciatrice fornisce convincenti motivazioni del viaggio, e in meno di due ore riesce a sbaragliare ogni ostacolo e a condurci felicemente all’albergo di Brest. Galina non è venuta da sola a prenderci, abbiamo anche la scorta di un’auto con due carabinieri che precedono il pullman.

Eccoci al primo impatto con la Bielorussia: Brest, una grande città centro di smistamento di quasi tutte le merci in arrivo dall’occidente e in uscita da Russia e Bielorussia.

Un bell’albergo, anche se un po’ trascurato, cena abbastanza appetitosa con carne e verdure, qualche problema con le bevande; sul tavolo si trovano delle bottiglie di acqua minerale ma quando alcuni commensali cominciano a bere, le loro facce assumono delle smorfie tra il comico e il tragico: l’acqua è salata! Scopriamo così un’abitudine locale non molto apprezzata dai viaggiatori.

Al mattino successivo partiamo per Recyca, distante circa 600 chilometri, preceduti dai carabinieri con lampeggiante in funzione, un onore non da poco, e così le auto e i camion incrociati sull’altra corsia mettono la freccia a destra e si portano fuori strada al nostro passaggio.

Lasciata alle spalle Brest, comincia una immensa pianura che si estende a perdita d’occhio; la strada è una lunga striscia d’asfalto a due corsie, larga dai 6 agli 8 metri, senza paracarri, con rari segnali stradali e nessuna traccia di cartelloni pubblicitari.Una linea retta senza fine per centinaia di chilometri. Si alternano campi di frumento, un mare verde, e boschi di pini silvestri e betulle, alti e snelli: centinaia di chilometri senza segni di vita, né case, né telefoni, né distributori di benzina. Ogni tanto si vedono squadre di operai (quasi tutte donne), che dipingono a mano i rari parapetti dei ponti.

I boschi vengono tagliati con intelligente perizia, selezionando le piante scadenti o deteriorate; le strade forestali sono per lo più chiuse da una stanga di legno, e scopriamo che non esistono guardie forestali: gli alberi vengono tagliati su ordinazione delle industrie a cura dei boscaioli.

Nell’immensa pianura appaiono in lontananza villaggi fuori dal tempo, casette di legno con rari fili elettrici, identici alle cartoline inviate dai nostri nonni dalla Galizia nel 1914.

Verso le 18 entriamo a Recyca , città di 100.000 abitanti; le casette di legno si alternano a schiere di anonimi condomini stile anni ‘50, grigi e squallidi; entriamo nella via Sovieskaia, la via principale, e in breve arriviamo ad una palazzina a due piani, il centro giovanile diretto dalla nostra Galina. Nel piazzale antistante e nel breve viale alberato ci aspetta un folto gruppo di persone, ragazzi e famigliari che ci riservano una commovente accoglienza: baci, abbracci, un calore umano che in breve cancella anche la difficoltà di comunicare.

Le famiglie ospitanti o che hanno ospitato bambini vengono praticamente sequestrate dalle famiglie dei ragazzi, nonostante molti di noi cerchino di dire che andranno in albergo per non disturbare: neanche a parlarne, sarebbe stata una grave offesa, e del resto avevano preparato da tempo la migliore ospitalità possibile a costo di notevoli sacrifici finanziari, per mettere a loro agio i graditissimi ospiti. Il resto del gruppo, dopo un’ottima cena al ristorante, si trasferisce a Milograd, un paesino a circa 20 chilometri di distanza, in un grazioso albergo di nuova costruzione.

Il giorno dopo c’è l’incontro presso il municipio con il sindaco della città, Nikolai Zarezaco, che ci rivolge un lungo discorso che spazia dalla situazione economica ai progetti di sviluppo e adeguamento strutturale, concludendo con l’auspicio di non vedere mai più i propri giovani morire in guerra come successo in Afghanistan.

Carlo Filippi, responsabile dell’associazione "Accoglienza in famiglia" e organizzatore dell’ospitalità, saluta il sindaco assicurando tutto l’aiuto possibile sia per le trasferte dei bambini che per l’invio di materiali sanitari, molto carenti a Recyca.

E’ poi intervenuto chi scrive, in rappresentanza del sindaco di Trento, ricordando l’accoglienza e l’ospitalità ricevuta dai trentini, prigionieri di guerra nel 1914-1918 e durante la ritirata dal fronte russo nel 1943 dalla popolazione locale.

Ha concluso gli interventi da parte italiana il cav. Aurelio Pontalti, vicepresidente del circolo Arci/Paho, che ha consegnato la targa inviata da Margherita Cogo, presidente della nostra giunta regionale, ente che ha contribuito al finanziamento del viaggio.

Nel pomeriggio, visita ad una fabbrica tessile, uno stabilimento d’altri tempi; siamo ricevuti in un’ampia sala dalla direttrice con i suoi collaboratori, orgogliosa di mostrarci la produzione della fabbrica statale da lei amministrata: asciugamani, arazzi, tovaglie, tappeti e stoffe per confezioni.

L’azienda è stata fondata nel 1927 per produrre calze e tela per abiti, ed attualmente è composta da 3 opifici che occupano 885 lavoratori, per il 73% donne. Prima del 1988 i lavoratori occupati erano 1.600, ma una volta dissoltasi l’Unione Sovietica, il mercato si è ristretto e si è cercato di rimediare esportando nel nord Europa

L’orario di lavoro è di 8 ore giornaliere per 5 giorni, con uno stipendio buono rispetto alla media locale: 50 dollari al mese, più dei medici e dei maestri.

Abbiamo visitato i reparti: telai rumorosissimi e polverosi, operaie senza cuffie protettive, nessuna norma di sicurezza né protezioni per pulegge, ingranaggi e contatti elettrici... Insomma, una tecnologia obsoleta, ma una produzione di buona qualità a prezzi molto competitivi per l’occidente.

Il giorno dopo,visita all’ospedale pediatrico, occupato per la maggior parte da bambini colpiti dalle conseguenze derivanti dalle radiazioni nucleari, curati con scarsi mezzi anche se con competenza e abnegazione da parte del personale. Ci aspettava nel suo studio la direttrice con i suoi assistenti, per illustrarci le principali patologie che colpiscono i giovani pazienti.

Filippi, esperto in materia sanitaria, ha chiesto quali sono le maggiori carenze dell’ospedale, al che i medici hanno stilato un lungo elenco di materiali per noi molto banali ma per loro introvabili: dalle siringhe monouso ai guanti di gomma, alle vitamine, ecc.

Siamo quindi entrati nei reparti, provando una pena infinita: squallidi corridoi con muri sbrecciati e fili elettrici a vista, camerate spoglie con arredi vecchi e usurati, letti con reti metalliche sfibrate, le mamme che dormono nella stanza dei più piccoli per accudirli... Non esistono pannolini, si usano ancora fasce e panni assorbenti di stoffa che vengono lavati e stesi ad asciugare.

Tutti hanno portato qualcosa per i bambini, dolci e caramelle, e per le mamme un piccolo aiuto economico, del quale ringraziano con un timido e riconoscente sorriso.

Siamo usciti shoccati da tanta dignitosa sofferenza e povertà, vergognandoci un po’ del nostro mondo di sprechi e opulenza e ripromettendoci di trovare il modo per mandare a queste eroiche dottoresse (anche qui la maggioranza è femminile) quanto più possibile per consentire loro di curare al meglio i piccoli pazienti.

Naturalmente i nostri ospiti non hanno fatto mancare dei momenti piacevoli, a cominciare dalla festa dei bambini. I più grandi hanno espresso la loro gratitudine facendoci sentire orgogliosi di quel poco che abbiamo fatto, e stimolandoci a fare molto di più.

L’ultima sera è stata organizzata una magnifica festa presso il miglior ristorante della città, con giochi, canti e balli; abbiamo conosciuto così la simpatia e l’ospitalità degli amici bielorussi, amici tra amici,senza più problemi di lingua,un incontro indimenticabile, accompagnato da ottima vodka e calore umano.

Dalla nostra visita abbiamo ricavato l’impressione di un paese drammaticamente privo di capitali per modernizzare l’agricoltura, l’industria ed il commercio. La regione dispone di risorse (ampie e fertili campagne con acqua in abbondanza) e di materie prime, come il petrolio; ma purtroppo il sistema bancario non funziona, l’inflazione è altissima, nessuno porta i soldi in banca e gli istituti di credito non concedono prestiti; i prestiti avvengono solo fra privati, peraltro non per usura, ma per ragioni di amicizia.

Non si nota nessuna iniziativa turistica, i negozi sono senza vetrine e vendono strane combinazioni merceologiche, dai generi alimentari al vestiario, alla cartoleria al materiale fotografico.

Non si trovano cartoline illustrate: alla Posta non siamo riusciti a trovare più di 25 buste, e la richiesta di spedirle in Italia ha messo in crisi l’intera struttura composta da tre impiegate che per mezz’ora sono state impegnate ad incollare francobolli, tappezzando letteralmente le buste; e a fine operazione anche i francobolli erano esauriti.

La carne scarseggia, e quando si trova, la gente si mette in fila; eppure in periferia si vedono molte mucche al pascolo, piccole di statura e magre, che producono poco latte ma di ottima qualità, talmente denso da sembrar panna.

I negozi vendono i prodotti sfusi come da noi negli anni Cinquanta, non ci sono ancora, (per fortuna) , borse di plastica e confezioni di polistirolo, i rifiuti non sono ancora un problema e le discariche non crescono al ritmo preoccupante delle nostre. Il traffico è molto scorrevole, le automobili sono rare e molto vecchie, ma i mezzi pubblici sono numerosi e frequenti.

Il mattino della partenza, nel piazzale antistante il centro giovanile, famiglie e ragazzi erano presenti per salutare gli amici italiani: baci, abbracci e lacrime, una scena struggente. Per i ragazzi più grandi, poi, questo saluto era un addio, perché quelli sopra i 14 anni non potranno più essere inviati in Italia; ed anche per i famigliari, con i quali ben difficilmente sarà possibile incontrarsi ancora. Per diversi ragazzi, invece, si trattava di un arrivederci a quest’estate in Trentino; per altri ancora chissà: si tratterà di vedere se ci sarà a Trento una famiglia disposta ad ospitarli.

In conclusione, abbiamo avuto la soddisfazione di constatare quanto effettivamente sia importante per questi ragazzi il soggiorno in Italia: la differenza nello sviluppo tra chi ha potuto godere, anche se per un limitato periodo di tempo, di un clima migliore e di un’alimentazione più ricca e chi invece no, è subito evidente. Per questo intendiamo impegnarci per trovare nuove famiglie che aderiscano a questa bella esperienza.

Siamo quindi ripartiti verso la Polonia, accompagnati sempre dalla insostituibile Galina, che ancora una volta si è prodigata per farci superare la frontiera senza controlli ai bagagli, imponenti come all’andata vista la mole di acquisti effettuata.

Arrivati in Polonia, un commosso saluto alla nostra accompagnatrice, che ritornava a casa in treno, e un arrivederci a Trento, la prossima estate.

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