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Traffico di organi: molte voci, ma poche prove

In ogni caso, un aumento nel numero delle donazioni è il modo migliore per prevenire comportamenti illeciti.

Di Nicola Andrea

Alcune delle ricerche condotte a Transcrime cercano di comprendere quale sia la reale estensione dei fenomeni criminali. E’ quello che abbiamo fatto, ad esempio, in materia di traffico di organi umani. Si sono spese molte parole sulla questione, specialmente da parte dei media, che da tempo diffondono notizie allarmanti sulla presunta espansione di questa attività illecita e sul crescente coinvolgimento in essa della criminalità organizzata. Ma esiste davvero il traffico di organi ed è così esteso come la stampa lo dipinge? In altri termini, le notizie giornalistiche sono supportate da prove? Indagare il traffico di organi diventa, così, anche un’occasione per valutare l’accuratezza con cui i mezzi di informazione danno le notizie.

Il caso dell’America Latina ci può venire in aiuto. La stampa ha più volte denunciato l’esistenza di un traffico di bambini, o direttamente dei loro organi, da questa zone del mondo verso l’Europa a scopo di trapianti; e le adozioni internazionali sarebbero un canale per coprire questi traffici. La criminalità organizzata disporrebbe addirittura di "case di ingrassamento" (casas des engordes) per allevare i bambini prima del prelievo. Perché l’America Latina? Perché, pur essendo una regione povera, ha ospedali e cliniche in grado di intervenire chirurgicamente sui donatori forzati. Perché, dato l’abbandono in cui versano milioni di minori, la scomparsa di qualche bambino passa inosservata. Infine perché il problema Aids non è così esteso come in Africa o in Asia. Informazioni di questo tipo si possono leggere anche su riviste scientifiche e rapporti di organizzazioni internazionali.

Soffrono, però, di una grave carenza. Sono prive di fondamenti investigativi e giudiziari a conferma della loro attendibilità e, nei casi peggiori, sono viziate da errori e da malafede. Infatti, nonostante tutto il vociare intorno al traffico di organi, nessuna delle investigazioni condotte in diverse parti del mondo sia da organismi internazionali (come lo United Network of Organ Sharing, il Consiglio d’Europa, le Nazioni Unite) che nazionali (come l’Fbi statunitense) è riuscita a reperire valide prove a conferma dei sospetti.

Se non esiste un traffico di esseri umani o di parti corporee a scopo di trapianto, può rimanere il dubbio che in America Latina vi siano cliniche in grado di condurre tutte le operazioni dal prelievo al trapianto. Sarebbe più semplice, cioè, ipotizzare che siano i malati a recarsi in questi luoghi per sottoporsi al trapianto degli organi prelevati illegalmente. Niente che però confermi anche questa eventualità.

Detto questo, non si può dichiarare con certezza che il traffico di organi non esista, ma sicuramente la mancanza di prove è indice di come non bisogna cadere in inutili, oltre che dannosi, allarmismi. È stato infatti dimostrato che nei periodi successivi alla diffusione di informazioni sui presunti traffici, il numero delle donazioni cala vertiginosamente.

Ciò non significa che pratiche illegali connesse ai trapianti non si siano comunque diffuse nel mondo. Si pensi all’India, paese verso il quale, vista la possibilità di comprare reni o cornee da venditori consenzienti ed essendo le strutture ospedaliere in grado di effettuare trapianti, ha preso piede una pratica di "turismo medico". O alla Cina, dove, come risultato di una politica statale organizzata ed istituzionalizzata, il 90% degli organi usati a scopo di trapianto sembra provenire da corpi di condannati a morte giustiziati senza però che, nella maggior parte dei casi, il prelievo avvenga con il loro consenso o quello delle loro famiglie.

Il tanto parlare del traffico di organi - a prescindere dalla sua reale esistenza - denota comunque un malessere generalizzato, espressione di almeno due problemi sottostanti: la strutturale carenza di organi, da un lato; il sempre difficile rapporto tra Stati poveri (che si sentono - e spesso sono - sfruttati) e Stati ricchi (che di solito sfruttano), dall’altro. Quindi, tralasciando la discussione sulla veridicità delle affermazioni riguardanti la diffusione di questi comportamenti illeciti, si deve cogliere la sensazione di ansia che da esse proviene. Bisogna cercare di aumentare il numero di donatori; cioè, in altre parole, la quantità di organi disponibili. La recente legge italiana - che pur ha fatto molto scalpore - tenta di perseguire questo obiettivo. E se si può discutere sulle modalità di perseguirlo, sicuramente l’obiettivo in sé non può essere contestato. Professionalità, controllo ed un sufficiente numero di donatori, sulla base di una crescente cultura della donazione, rappresentano, perciò, delle risposte importanti ai comportamenti devianti, nazionali ed internazionali, legati ai trapianti. In modo particolare un aumento del numero delle donazioni nei paesi industrializzati ridurrebbe anche le pratiche di sfruttamento delle condizioni di povertà dei paesi in via di sviluppo.

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