Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Colombia, un paese allo sbando

Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello (Perugia).

Rossi Achille

Eduardo Mackenzie, avvocato e giornalista colombiano, è corrispondente da Parigi di El Expectador, il coraggioso quotidiano di Bogotà che ha condotto una lotta senza quartiere contro il traffico di droga, il cancro che sta devastando la Colombia. Gli chiediamo di descriverci gli effetti distruttivi del narcotraffico nella società colombiana.

"Il narcotraffico ha rotto gli equilibri che facevano della Colombia un paese vivibile. Gli elementi di disgregazione dello Stato e della società democratica, che esistevano in forma embrionale negli anni ’70, furono gonfiati in maniera brutale nel corso degli anni ’90 dal potere destabilizzante del narcotraffico. Negli anni ’70 c’era già un terreno fertile per questa ipertrofia: un apparato statale debole e in crisi permanente, una società politicamente demotivata, grandi disparità sociali e gruppi armati intransigenti. Questa crepa non fu tamponata in tempo e quando il narcotraffico irruppe nello scenario colombiano, il naufragio della classe politica fu inevitabile. I risultati si vedono. La Colombia è oggi un paese alla deriva che, per la prima volta, dà l’impressione di non trovare dentro di sé la forza necessaria per resistere.

Fattore chiave di questo caos è il connubio fra narcotraffico e guerriglia. Quindici anni fa le guerriglie (comunista, guevarista e maoista), presenti in zone agrarie o boscose, apparivano sostenitrici di ideali riformisti rispettabili, benché incapaci di impostare la questione del potere. Negli ultimi dieci anni però, e grazie al capitale mafioso, la guerriglia ha degenerato in bande armate senza princìpi, imprevedibili e delinquenziali. Il suo enorme bottino finanziario, il suo armamento sofisticato e la sua crescita in effettivi non si sono tradotti in legittimità né in appoggio popolare. D’altra parte i latifondisti e i ricchi, vittime di frequenti sequestri a scopo di riscatto, hanno rilanciato il progetto anti-guerriglia con l’appoggio dei baroni del narcotraffico e dei settori più estremisti delle forze armate. Il paramilitarismo, poi, realizza, soprattutto nel nord del paese, una politica di estrema violenza e di terra bruciata, con massacri e spostamenti massicci di contadini, assassini di intellettuali, ecc.".

Per molto tempo lo Stato colombiano ha condotto una lotta senza quartiere contro i cartelli della droga. Come mai questo enorme sforzo non ha dato i risultati sperati?

"Dopo una lotta di 14 anni la Colombia è riuscita a smantellare i due maggiori cartelli (Medellin e Cali). Ma ciò non ha disarticolato tutto il traffico di droga. I nuovi cartelli sono piccoli e meno visibili. La Colombia lotta con l’appoggio ridotto degli Stati Uniti e dell’Europa. La ‘guerra alla droga’ è costata molte vite colombiane ma nessuno è riconoscente alla Colombia per questi sacrifici; al contrario, il paese è stato oggetto di rappresaglie commerciali e diplomatiche da parte degli Usa. In questo senso la solitudine della Colombia è immensa. Nonostante ciò, fra l’agosto del 1998 e il luglio del ’99 le operazioni anti-droga sono state impressionanti: 131 tonnellate di foglie di coca, 44 tonnellate di cocaina e 538 chilogrammi di eroina sono stati sequestrati, e 42.735 ettari di piantagioni illegali sono stati distrutti. Forse sono le cifre più elevate del pianeta. Però non esiste reciprocità da parte dei paesi consumatori. I provvedimenti contro il riciclaggio di denaro sporco nelle banche internazionali sono inefficaci e i prodotti chimici (per la produzione della droga) e le armi continuano ad arrivare senza ostacoli ai cartelli e ai loro complici".

Quanto c’è di vero nelle affermazioni che anche la guerriglia di sinistra e le bande paramilitari si finanziano con il narcotraffico?

"La maggior parte degli introiti della guerriglia provengono da accordi di fatto con il narcotraffico, soprattutto nel sud del paese. Il narcotraffico prospera nelle zone sotto controllo guerrigliero. Le Farc (comuniste) sono state pioniere nel proteggere le coltivazioni di coca e di papavero e i laboratori dove si raffina cocaina ed eroina, in cambio di una ‘imposta di guerra’ che dà loro introiti per 600 milioni di dollari l’anno.

L’altra fonte di denaro della guerriglia (300 milioni di dollari) è la ‘tassa’ imposta alle compagnie petrolifere e i sequestri di persona. «Le Farc sono diventate una delle più grosse imprese di traffico di droga del mondo» - ha concluso Le Monde nel suo editoriale del 21 agosto scorso. Le Farc contano una decina di missili terra-aria Sam7, Sam14 e Sam16 di origine russa, capaci di distruggere un aereo a 12 km. di distanza, acquistati a quanto sembra da ex guerriglieri centro-americani. Anche i paramilitari hanno molto denaro. Siccome una parte dei capi del narcotraffico sono proprietari di terre, la collusione narcotraffico- paramilitarismo si è realizzata facilmente".

Il mercato della droga è regolato sulla legge della domanda e dell’offerta, e la domanda viene soprattutto dal mercato nordamericano. Quale politica hanno adottato gli Usa nei confronti della Colombia come paese produttore di droga e quali misure hanno preso nei confronti del loro mercato interno di stupefacenti?

"Durante le amministrazioni Reagan e Bush e durante la prima amministrazione Clinton la linea di Washington consisteva nel colpevolizzare la Colombia e nell’esigere che facesse la ‘guerra totale’ alla droga. Dopo lo smantellamento del cartello di Cali, gli Stati Uniti, impegnati a destituire il presidente colombiano Ernesto Samper, considerato colpevole di aver ricevuto soldi dal narcotraffico per la propria elezione, hanno ridotto l’assistenza tecnica ed economica per la lotta anti-droga e hanno contribuito indirettamente all’espansione delle coltivazioni ed al rafforzamento della guerriglia. Indubbiamente, a partire dal giugno del ’97, le cose sono cambiate. Thomas McLarty, consigliere speciale del presidente Clinton, ha ammesso per la prima volta che gli Stati Uniti condividono la responsabilità del problema e ha sostenuto che il mancato riconoscimento della lotta che la Colombia stava conducendo era ingiusto. Questa dichiarazione, però, non è stata seguita da misure radicali contro il consumo di droga negli Usa, né da provvedimenti contro il riciclaggio di denaro sporco.

Dopo l’elezione di Andrés Pastrana, Washington ha aperto di nuovo le sue porte alla Colombia, ha certificato come autentica la lotta anti-droga della Colombia e si è mostrata disposta ad aiutare finanziariamente questo impegno. Però il tempo perduto è stato ben impiegato dai narcotrafficanti: oggi ci sono 120.000 ettari coltivati a coca, soprattutto nelle zone sotto influenza della guerriglia, il che significa un aumento di 40.000 ettari in tre anni. La produzione di cocaina in Colombia è aumentata del 28% nel 1998, e con essa la violenza e la destabilizzazione del paese".

Come reagisce la società civile di fronte all’aumento della violenza e della criminalità che sconvolge lo Stato colombiano?

"La paura è presente dappertutto e comincia a prendere corpo un certo tipo di manifestazioni contro la violenza. Il 14 agosto, all’indomani dell’assassinio dell’umorista Jaime Garzon, attribuito ai paramilitari, 200.000 persone hanno sfilato a Bogotà per ripudiare questo crimine. «Guerriglia e paramilitari sono tutti assassini» - diceva un grande striscione. Un recente sondaggio indica che due colombiani su tre sono favorevoli a un intervento militare nordamericano che ponga fine alla guerra civile. Un anno dopo aver eletto Andrés Pastrana, i colombiani disapprovano la sua gestione e non credono che egli sia in grado di arrivare ad un accordo di pace con la guerriglia. Dopo aver ceduto (in cambio di niente) un’area di 42.000 kmq. alle Farc, il cosiddetto ‘processo di pace’ iniziato dal governo con questa organizzazione si è interrotto, poiché le Farc respingono la presenza di una commissione internazionale nella zona smilitarizzata".