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QT n. 6, 18 marzo 2000 Scheda

Chi rappresenta chi?

La questione del voto è un punto nodale. Mentre a livello europeo i cittadini della Comunità possono votare nel luogo di residenza (ad esempio, in una cittadina delle Canarie i pensionati tedeschi sono più del 20% della popolazione ed in base alla normativa europea hanno potuto eleggere propri rappresentanti in consiglio comunale), gli immigrati non comunitari non votano a nessun livello fino all’ottenimento della cittadinanza. Un bel problema, perché la auto-rappresentanza è il primo passo per il riconoscimento ufficiale. Tramontata la Consulta, si discute della costituzione di organi specifici di rappresentanza, come i Consigli territoriali, in attesa dell’introduzione di rappresentanze di tipo parlamentare come avviene per tutti i cittadini: quindi niente posti riservati nei Consigli, ma partiti che accolgano nelle loro liste dei candidati immigrati. La rappresentanza, l’autopromozione, la legittimazione, la coesione dei gruppi aggregati ha un supporto indispensabile nel riconoscimento da parte delle istituzioni.

Afferma un rappresentante degli immigrati: "E’ fondamentale che gli immigrati abbiano dei rappresentanti riconosciuti dall’ente pubblico perché non basta far nascere un’associazione per farsi riconoscere dagli immigrati. Invece se sanno che tu (il loro rappresentante) puoi sederti dove si decide, tu puoi parlare dove si decide, sono più disposti alla partecipazione". Emerge a volte un sentimento di impotenza, una caduta di motivazione, la percezione di trovarsi la strada bloccata. Un altro: "Siamo arrivati ad un tal punto di sfiducia… non abbiamo voce in capitolo… non possiamo proporre perché non sappiamo quello che vogliono… abbiamo delle proposte ma non sappiamo dove portarle".

Un altro punto appare inderogabile: la revisione in chiave moderna del diritto di cittadinanza basato sul principio dello "ius soli" e non più su quello di appartenenza per nascita, lo "ius sanguinis". Cose dai tempi politici e culturali lunghi. Per intanto sarebbe bene diffondere una cultura dell’accoglienza che non sia solo della semplice tolleranza. La partecipazione infatti non deve limitarsi all’attivazione dell’ente pubblico e dell’imprenditoria, ma anche di singoli motivati in questa direzione e portatori di una cultura spontanea della convivenza. Il problema è la partecipazione dei cittadini immigrati alla nostra quotidianità. Non è facile trovare soluzioni perché le motivazioni che li hanno portati da noi sono le più diverse: si passa da chi cerca solo un lavoro per sopravvivere, a chi vuole assimilarsi totalmente, da chi esige il riconoscimento della sua specificità (a Torino, ad esempio, la richiesta di chador sulle foto di identificazione, il riposo del venerdì, scuole in arabo, esenzione dalla ginnastica a scuola per le ragazze), a chi vuol esser messo in condizione di sviluppare le proprie potenzialità e a chi cerca soltanto di mettere assieme un gruzzoletto e tornare a casa.