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QT n. 7, 1 aprile 2000 Servizi

Ancora industria, malgrado tutto

Come cambia il lavoro a Rovereto: una ricerca di Gianfranco Betta

Un’utile griglia di lettura della realtà economica roveretana esce da "Attività economiche e mercato del lavoro", una ricerca commissionata nel 1997 dalla amministrazione comunale di Bruno Ballardini a Gianfranco Betta, allora ricercatore della Agenzia del Lavorodi Trento, ed ora dirigente comunale. Ricerca che ha il limite di essere oggi già un minimo stagionata, essendo stata effettuata tra il 1997 ed il 1998 e riferendosi quindi nei suoi rilievi statistici agli anni Novanta, ma con l’estremo cronologico del primo semestre 1998. Che però in cambio offre al lettore una dettagliata disamina sulla statistica economica della realtà locale, considerata dal punto di vista del mercato del lavoro. E tentandone, fra le righe, anche una sintetica interpretazione.

"Nel corso degli anni ’90 - recita il testo della ricerca - Rovereto ha mantenuto la caratteristica di città industriale. È cresciuta la specializzazione meccanica. Quasi il 30% dell’occupazione privata si concentra in questo settore." Ma "le tendenze alla terziarizzazione dello stesso apparato industriale non sono labili. A fronte di una tenuta del numero di operai… le figure di tecnici e impiegati hanno avuto una crescita consistente. Il calo di figure operaie e la crescita di figure impiegatizie e tecniche si è registrata anche nell’artigianato. La contrazione di figure operaie nell’industria e nell’artigianato produttivo è probabilmente destinata a perdurare ,tenuto conto che il rapporto di composizione tra operai e figure tecniche e impiegatizie è troppo sbilanciato a favore della componente operaia che rappresenta ancora i due terzi e il 70% degli addetti complessivi (contro ad esempio una quota di poco superiore al 50% nelle imprese industriali lombarde)… La sensazione è che anche nell’ambito della demografia aziendale, Rovereto presenti un processo di sostanziale stabilità (elemento positivo) accompagnato però da vistosi fenomeni di senescenza, che se non rigenerati da processi di riorganizzazione interna di processo e di prodotto, rischiano di essere un indubbio elemento di debolezza dell’apparato produttivo locale."

Anche il rapporto artigianato-industria, così come lo rileva questa indagine, sembrerebbe non privo di qualche elemento di difficoltà più che altro soggettiva, infatti: "Permane nell’artigianato di produzione una scarsa capacità di interrelazione con l’apparato delle imprese industriali di maggiori dimensioni (che troppo spesso per forniture e semilavorati non trovano in loco una risposta adeguata e devono rivolgersi all’esterno della provincia con notevoli diseconomie esterne, sia di tipo economico che sociale, basti pensare al costo sociale dei trasporti)."

Anche qui sembra uscire dall’analisi un problema di aggiornamento imprenditoriale dei soggetti produttivi, essendo l’artigiano "spesso in grado di svolgere in modo eccellente il mestiere, ma con scarse competenze manageriali".

Questa caratterizzazione del roveretano come zona industriale - forte per la realtà trentina - non è comunque in grado di offrire possibilità occupazionali particolarmente favorevoli. Infatti, in mancanza pressoché totale di occasioni di lavoro nel turismo e nell’agricoltura, "il tasso di occupazione registrato nell’ultimo triennio a Rovereto, si presenta… sistematicamente e significativamente più basso del valore medio provinciale. Se Rovereto avesse un tasso di occupazione simile a quello provinciale, si dovrebbero contare almeno 400 occupati in più tra i suoi residenti".

Sembra però passato il periodo della disoccupazione soprattutto giovanile, cioè della pressione massiccia sul collocamento dei giovani in cerca della prima occupazione: "I giovani iscritti [alle liste di collocamento] sotto i 25 anni rappresentano poco meno di un terzo del totale iscritti (31,4%.)". Un dato interessante questo, foriero di possibili novità per i prossimi anni, che si lega anche a quello che la ricerca chiama "effetto decremento demografico". I giovani che si presentano oggi per la prima volta sul mercato del lavoro, nella grande maggioranza dopo aver concluso un ciclo scolastico superiore (il tasso di non proseguimento negli studi dopo la licenza media è del 2%, ed a Rovereto la quota di diplomati e laureati è più elevata della media provinciale) godono da qualche anno di un "vantaggio demografico" legato alla diminuzione della natalità negli scorsi decenni, infatti se nel 1990 per quasi 1,3 giovani che stavano per affacciarsi sul mercato del lavoro c’era solo 1 soggetto che si accingeva a lasciarlo per limiti d’età, nel 1998 a fronte di 2 giovani che entrano ci sono 3 soggetti che escono. Anche se - ricorda la ricerca - non è il caso di trattare le entrate e le uscite dal mercato del lavoro come una somma algebrica: "Chi esce dal mercato del lavoro per raggiunti limiti d’età è per lo più una forza lavoro operaia con basso titolo di studio. Chi si accinge ad entrare è in possesso in maggioranza di un diploma di scuola media superiore ed è alla ricerca in prevalenza di un posto di lavoro o di opportunità di lavoro a carattere impiegatizio o tecnico".

Questo scompenso fra posti di lavoro effettivamente disponibili ed aspettative postscolastiche sta producendo da qualche anno quello che la ricerca segnala come una "autentica inversione di tendenza" : la quota di giovani usciti da un corso di studi superiore che troviamo occupati come figure operaie è oggi "relativamente alta… a fronte di quote irrisorie registrate nelle leve precedenti. È un sintomo, da un lato, di un’apertura dell’industria a giovani in possesso di un diploma per mansioni non a carattere impiegatizio, e dall’altra forse un segnale di minori resistenze culturali da parte delle famiglie e degli stessi giovani per una collocazione lavorativa caratterizzata anche da componenti di manualità. Sembrerebbe di assistere ad una sorta di svalutazione del titolo di studio di scuola media superiore, assunto dalle imprese sempre più come mero indicatore delle capacità di apprendimento futuro del giovane piuttosto che come punto di arrivo di una compiuta competenza acquisita".

Un processo - osserviamo noi - che potrebbe forse alla lunga ed indirettamente favorire anche quella riqualificazione dell’organizzazione del lavoro che, come prima abbiamo visto, la ricerca indica come una necessità dell’apparato produttivo roveretano. E che è evidentemente alla base di quei tassi di occupazione a tre anni dal diploma "in qualche caso abbastanza alti (come nel caso di periti, geometri; ma anche dei diplomati dell’Istituto professionale e dell’Istituto d’arte)", pur a fronte di tassi di occupazione coerente al diploma "decisamente in contrazione nell’ultima leva".

Ma che il mercato del lavoro stia cambiando in profondità anche a Rovereto, che è tramontato il tempo del lavoro garantito una volta per tutte nella vita, con carriere lavorative che si svolgevano in permanenza all’interno della stessa azienda, ci sembra di poterlo rilevare anche dal dato che "due terzi delle assunzioni sono a tempo determinato, nonostante la stagionalità negli avviamenti sia estremamente contenuta" e che "accanto alla crescita di assunzioni per figure operaie, tra i diplomati si registra una crescita costante e che non accenna a diminuire di contratti a tempo determinato e di forme di rapporto di lavoro atipiche

Ma i veri problemi occupazionali a Rovereto sembra che li abbia soprattutto la manodopera femminile. "Una specifica statistica del collocamento - segnala la ricerca - registra soggetti iscritti da più di 24 mesi. Sul migliaio di soggetti in questa condizione conteggiati a fine ottobre 1998 per l’intero comprensorio (erano 911 a fine 1997 e soltanto 403 a fine 1993), i quattro quinti (804 su 1.002) sono donne che si concentrano soprattutto nella fascia centrale d’età (i soggetti compresi nella fascia d’età 26-45 anni sono 627, a fronte di 176 giovani con meno di 25 anni e 199 ultraquarantenni)… un terzo di costoro (più di 300) risultano in possesso di un diploma di scuola media superiore o, in piccola parte, di una qualifica biennale o triennale della formazione professionale. I laureati sono 25. In definitiva - conclude la ricerca, con uno scatto di ottimismo della volontà - un enorme spreco di intelligenze, che chiedono di essere adeguatamente valorizzate e non soltanto con interventi di tipo assistenziale e a termine come in qualche caso finiscono per essere i progetti di lavori socialmente utili".

In realtà anche i dati della congiuntura del primo semestre 1998, sicuramente favorevoli ("Il meccanico segnala addirittura una situazione di quasi pieno utilizzo degli impianti: 86,1 su cento nel primo trimestre, 88,2 su cento nel secondo trimestre") non lasciano intravedere niente di buono per la crescita dell’occupazione: "Nonostante questa congiuntura favorevole però, l’occupazione si contrae, seppure lievemente, tra inizio e fine trimestre. Fatta eccezione per il campione dell’artigianato di produzione (+ 1,5 % nel primo trimestre; +0,5% nel secondo); nel manifatturiero la perdita è rispettivamente del -0,5% nel primo trimestre e del -1,3% nel secondo; nel meccanico -0,8% di perdita occupazionale nel primo trimestre e -2% nel secondo". Come a dire che questa disoccupazione tecnologica riesce a crescere anche in presenza di una crescita della produzione da congiuntura (moderatamente) favorevole.

Peccato solo per la già ricordata stagionatura della ricerca. Sarebbe stato interessante poter controllare quale riscontro hanno avuto su questo fronte occupazionale i dati più che incoraggianti della crescita della produzione nazionale del dicembre 1999 (+ 8,2% rispetto allo stesso mese del 1998, addirittura + 16% nel comparto dei beni di investimento).

Nonostante tutto ciò non mancano problemi per le aziende nel reperimento di manodopera in zona, tanto che "crescono gli avviamenti da fuori provincia, soprattutto per figure operaie, seppure con quote di crescita più basse di quanto registrato a livello provinciale. Aumentano gli avviamenti di extracomunitari soprattutto nell’industria e nel terziario, che rappresentano ora circa il 7% del totale, ma il 10% nell’industria"