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Diffamazione e diritto di critica

Un caso emblematico di conflitto fra interesse pubblico e privato.

Ci sono fatti che rivelano meglio di altri la trama di cui è fatta la nostra vivente democrazia quotidiana e il delicato intreccio fra interessi e diritti dei cittadini. Recentemente il Tribunale di Padova si è occupato di un caso emblematico, che vale la pena di raccontare. Il sindaco di un grosso Comune eletto direttamente dai cittadini in base alla legge in vigore, eredita dalla precedente amministrazione una causa civile contro una società di costruzioni; causa vinta in Tribunale, persa in Appello e ora pendente in Cassazione.

Secondo la sentenza di Appello, provvisoriamente esecutiva, il Comune dovrebbe pagare all’impresa 400 milioni. In attesa della decisione della Cassazione, il sindaco accantona la somma dovuta presso la Tesoreria comunale, così come vuole la legge, avvertendo la controparte. L’avvocato dell’impresa, che versa in difficoltà economiche, al fine di evitare lungaggini e ottenere subito il pagamento della somma prima della sentenza della Cassazione (che darà ragione al Comune), chiede all’ufficiale giudiziario competente di eseguire il pignoramento sugli automezzi del Comune, compresi gli autobus di linea e gli scuolabus per il trasporto degli studenti e dei portatori di handicap. L’ufficiale giudiziario procede, interrompendo il servizio pubblico sia dei cittadini che degli scolari.

Per capire il seguito della vicenda va precisato a questo punto che il pignoramento eseguito sugli automezzi comunali è assolutamente illegittimo. Secondo l’art. 826 del Codice civile "fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato, delle Province e dei Comuni i beni destinati ad un pubblico servizio". Il decreto legge 18 gennaio 1993 n. 8 (convertito in legge n. 68/93) dispone: "Non sono in ogni caso ammesse esecuzioni forzate presso soggetti diversi dal Tesoriere del Comune".

Queste norme non potevano essere ignorate dall’avvocato dell’impresa né dall’ufficiale giudiziario. A causa del grave disagio provocato ai cittadini e di fronte alla palese illegittimità del pignoramento il sindaco, anche nella sua qualità di ufficiale di governo, sente il dovere di spiegare pubblicamente i fatti ai suoi amministrati. Convoca pertanto una conferenza- stampa "presentando il pignoramento come gravemente e inutilmente dannoso per il Comune, promosso da una impresa in difficoltà economiche, consigliata da un legale malaccorto ed assecondata da un troppo zelante ufficiale giudiziario".

Scatta immediata la querela contro il sindaco da parte dell’impresa, del suo avvocato e dell’ufficiale giudiziario, per il reato di diffamazione che coinvolge anche la stampa per avere pubblicato i giudizi del sindaco. Si arriva al dibattimento e alla sentenza, che è di assoluzione con la formula "il fatto non sussite" (Tribunale di Padova, motivazione depositata il 10 aprile 2000).

Il fatto in questione presenta tratti caratteristici di particolare interesse: conflitto tra interesse privato (quello dell’impresa creditrice) e interesse pubblico (quello del Comune) in presenza di una sentenza non definitiva, ma esecutiva (potere giudiziario); esecuzione di detta sentenza in modo "contra legem" (potere legislativo) con il pignoramento illegittimo degli automezzi del Comune da parte di un ufficiale giudiziario che il sindaco (potere politico e amministrativo) definisce "troppo zelante"; pignoramento richiesto dall’avvocato dell’impresa, che il medesimo sindaco definisce "malaccorto"; conferenza stampa del sindaco che, nell’esprimere i fatti e nell’usare le aggettivazioni sopra riportate, esprime il proprio pensiero sulla vicenda (art. 21 della Costituzione).

Da che parte è il torto? C’è effettivamente un torto? Il sindaco ha commesso il reato di diffamazione nel definire il pignoramento "illegittimo e inutilmente dannoso", l’avvocato come "malaccorto" e l’ufficiale giudiziario "troppo zelante"?

Il Tribunale ha ritenuto di no, e giustamente. Il sindaco, nella sua duplice veste di primo cittadino eletto e di ufficiale di governo, aveva il diritto-dovere di informare gli abitanti del suo Comune circa le cause che avevano determinato gravi disagi, anche per dimostrare che la responsabilità non era sua ma di altri e tutelare così la sua credibilità politica e amministrativa.

Nel rendere edotti i propri cittadini dei motivi del disservizio nei trasporti, oltre che un dovere di informazione, il sindaco ha esercitato un diritto di critica (art. 21 della Costituzione) contro chi per malizia o per ignoranza aveva provocato il guaio.

Nel rendere le sue dichiarazioni il sindaco aveva osservato le condizioni poste dalla legge: 1. la verità dei fatti; 2. l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti stessi; 3. la continenza, cioè l’uso di espressioni congrue, non inutilmente offensive ma adeguate alle circostanze.

Il sindaco, in effetti, avrebbe potuto usare espressioni assai più dure di fronte a un pignoramento sicuramente illegittimo e che aveva colpito i cittadini (compresi gli scolari e i disabili) invece che le casse del Comune.

Personalmente ritengo che il sindaco avrebbe dovuto essere assolto anche se avesse definito "ignorante" l’avvocato e "aguzzino" l’ufficiale giudiziario.

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