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Mucca pazza e gente disorientata

La carne trentina è al di sopra di ogni sospetto? Sì, però...

Qui parleremo della mucca pazza, ma un ragionamento analogo potremmo farlo per l’uranio impoverito, o il sottomarino russo colato a picco.

Con la profluvie di notizie che si riversano su di noi, abbiamo la pretesa che - quando capita qualcosa di grosso o insorge un’emergenza - nel giro di ore o di giorni sia possibile avere sotto mano i dati definitivi della questione. Per poterci ragionare sopra, farci un’opinione, saper valutare le azioni di chi è delegato a intervenire.

Ma la scienza non è onnipotente: il famigerato prione si origina solo dai mangimi composti di farine animali? Quale peso ha la componente genetica? Quanto dura l’incubazione? Il morbo è contagioso fra esseri umani? A queste e altre domande nessuno sa rispondere. Alle incertezze si aggiunge la scarsa credibilità che l’opinione pubblica nutre nei confronti delle rassicurazioni di chi ci governa, spesso dimostratesi cinicamente ottimistiche e più ispirate alle ragioni del profitto che a quelle della salute pubblica.

E per finire, eccoci affogare nel mare magnum di un’informazione debordante dove si fatica a distinguere la voce dalla notizia, il parere dalla certezza scientifica, la teorica disposizione di legge da quanto poi avviene in realtà.

Ad esempio, è noto che le farine animali derivate dai sottoprodotti della macellazioni, considerate responsabili del contagio, sono vietate in Italia fin dal ’96; e che dal 1° gennaio scorso son vietate farine animali di qualunque origine. Ma ecco che un anonimo allevatore confessa all’Adige: "Noi compravamo mangimi: erano convenienti… non posso dire con certezza che fossero di origine animale. Ma penso che potessero esserlo, perché erano davvero a buon mercato". E lo stesso presidente trentino della categoria, Silvano Rauzi, dopo aver cercato di tranquillizzare facendo notare che le aziende trentine sono meno industrializzate di quella bresciana dove si è trovata una mucca infetta, concede: "Nessuno esclude che la tegola che è capitata sulla testa del povero allevatore bresciano possa cadere anche qui da noi… Metti una bestia acquistata fuori e fatta ingrassare con tutta la cura del caso all’interno della propria azienda. E metti che quella bestia abbia il peccato originale, che quell’animale sia arrivato già malato. Come fa l’allevatore a saperlo? Oppure metti che il mangimificio bari…"

Già: sarà pure vero che gli allevamenti trentini sono più ruspanti di altri, ma, a quanto dice un grossista, "le carni trentine non esistono. Il 90% della carne trentina è in realtà di origine francese. Comprano vitelli di 4-5 mesi e poi li ingrassano. Così, dopo un anno, quando arriva al bancone, risulta trentina. Ma nessuno garantisce su quei primi 5 mesi all’estero".

A un certo punto è stata ventilata la possibilità che anche il latte possa risultare contagiato. Poi si è fatta marcia indietro, e sui nostri giornali il presidente della centrale del latte di Trento garantisce che "non c’è nessun rischio di diffusione del morbo attraverso il latte". Ma allora - si chiede l’ingenuo lettore - come mai il governo inglese, solitamente meno attento di altri in queste faccende, ha ordinato dei controlli?

Di fronte a una vicenda con molti risvolti ancora da investigare, è giocoforza aspettare che le conoscenze scientifiche riempiano i troppi vuoti. Dagli amministratori pubblici ai vari livelli possiamo però pretendere due cose: che prendano le precauzioni necessarie, e poi che si comportino in modo coerente. Sul primo punto - il più importante - ci pare che le cose procedano meglio che in passato. Sull’altro, invece, ancora non ci siamo. "I rischi per la popolazione sono nulli" - dichiara il 16 gennaio l’assessore alla Sanità Magnani; che replica il 17 ("Bisogna aver fiducia nei controlli") e ancora il 19 ("Le carni trentine sono sicure"). Ma intanto il 18 la carne scompare nelle mense delle medie ed elementari di Trento, mentre rimane nei nidi e nelle materne. E nei giorni seguenti il fai-da-te prosegue, tanto che L’Alto Adige del 19 pubblica una cartina del Trentino per mostrare in quali comprensori la carne è stata tolta dalle mense e in quali no. E alla casa di riposo di Pergine si eliminano anche i dadi, malgrado le rassicurazioni fornite, qualche giorno prima, dalla persona, in verità, meno adatta: l’amministratore delegato della Bauer di Mattarello, una ditta del settore.

E’ evidente che certe decisioni sono state prese per rassicurare un’opinione pubblica allarmata - forse - al di là del dovuto; ma è altrettanto evidente che procedendo in maniera così scoordinata si ottiene il risultato di disorientare i cittadini.

Non molto più produttivo per tranquillizzare l’opinione pubblica (e probabilmente di ardua realizzazione), sembra il progetto avanzato dagli allevatori, avente lo scopo di fornire al consumatore, entro l’anno in corso, "solo carne proveniente da capi nati e cresciuti in Trentino". Un commerciante di carni spiega: "Ormai non ha più importanza la provenienza. Ci sarà in futuro una sola discriminante: il test. Saranno le provette dei laboratori a dare la patente alla carne di qualità, non il certificato di provenienza".