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QT n. 2, 27 gennaio 2001 Monitor

Baldessari: fra concetto ed erotismo dello sguardo

A Palazzo delle Albere fino all'11 marzo.

Dice John Baldessari che gli piacciono molto "le liste". Ne abbiamo riprova nella più "vecchia" delle opere esposte a palazzo delle Albere (fino all’11 marzo): è la lista, l’elenco per immagini della parte posteriore dei camion incontrati durante un viaggio in macchina da Los Angeles a Santa Barbara, California, 48 fotografie a colori, ma tendenti al contrasto e al monocromo.

Vi rintracciamo alcuni dei presupposti dell’arte di Baldessari. Innanzi tutto quello di considerare l’atto artistico dipendente non dalla manualità dell’artista, ma dalla sua regia (qualcosa che viene oggi ampiamente ripreso nelle tendenze post e neo concettuali, ma che non è ancora patrimonio comune dei fruitori). Ciò però non vuol dire che egli escluda l’esecuzione manuale: la usa talvolta come uno dei vari mezzi di rappresentazione, di produzione di immagini. Più avanti, infatti, le opere si fanno composite. Ci sono fotografia, fermo immagine da film, pittura, scrittura commissionata a qualche grafico professionista e realizzata a mano. Opere che quasi ostentano l’assenza di virtuosismo tecnico-manuale (al massimo, come nelle scritte, questo si esprime al suo livello rigorosamente artigianale).

Un altro presupposto è quello della pluralità delle immagini della stessa opera. Talvolta, come abbiamo visto, ciò si esprime in liste di oggetti omogenei (ad esempio: uomini in posizione orizzontale tratti da film; serie contrapposte di baci e di atteggiamenti di lotta). Più spesso si tratta di associazioni senza immediati collegamenti logici, che a qualcuno hanno suggerito l’idea di un procedimento compositivo di matrice surrealista. Nell’illuminante intervista pubblicata nel catalogo, Baldessari spiega, in parte, questo modo di procedere con la tendenza, in lui quasi ossessiva, a considerare che "mentre qualcosa accade qui, qualcos’altro accade altrove" (è il titolo della sua mostra tenuta ad Hannover nel 1999). Cioè, in altre parole, "come direbbe un cocainomane: non posso rimanere qui mentre lì c’è un festino migliore" e "mentre ti concentri su una cosa, altrove c’è qualcos’altro degno della tua attenzione".

Qui si innesta direttamente il terzo aspetto caratteristico della sua opera, che è in parte un’eredità della pop art: lo scavo nella banalità del reale, una diffidenza di fondo verso tutto ciò che appare convenzionalmente importante, o bello, il gusto di portare in scena cose semplici e insignificanti, che assumono significato solo perché vengono riproposte nella rappresentazione secondo certi punti di vista e certe associazioni.

Non è vero che Baldessari sacrifichi totalmente il piacere visivo alla enfatizzazione dei processi mentali dell’autore. Possiamo dire che si muove con abilità a cavallo di questo crinale: dando ai critici sufficiente materiale per esercitare l’analisi del procedimento di costruzione dell’immagine, delle sue componenti filosofiche e psichiche, come è evidente in opere del tipo "Potatoes, face (smiling), garbage can, landscape, four shapes + red and green lines" (1994) (notare ancora la "lista di cose"), dove grandissima parte degli oggetti fotografati viene scartata dall’immagine e ciò che rimane sono sparsi elementi in un campo bianco (un tentativo di far riflettere sul meccanismo di selezione delle immagini che agisce in noi inconsapevolmente: "ci attirano le cose che ci servono in quel momento o quello che è bello da vedere?"). Tuttavia Baldessari mostra (e riconosce) che alla base della sua arte sta l’erotismo dello sguardo, una cura della carica simbolica e della "fragranza" particolare di certi oggetti scelti per essere immessi nell’immagine, che permettono una lettura e un godimento anche disgiunti dal sostrato concettuale. Ad esempio, di percepire il suo immaginario come una particolare rappresentazione della vita quotidiana americana degli anni cinquanta e sessanta, talvolta non priva di humour, specie quando è messa a confronto con la produzione hollywoodiana di immagini.

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