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QT n. 3, 10 febbraio 2001 Documenti

“Costruire comunità”: partecipazione di molti, non decisioni di pochi

I promotori di "Costruire comunità", il cui documento sottoriportato viene presentato sabato 10 febbraio alle 16 al Centro S. Chiara di Trento, intendono iniziare un percorso politico culturale per le città, le valli, i paesi del Trentino. La ragione quella di creare un raccordo e dare una speranza fra tutte le realtà della vita civile impegnate a far progredire il Trentino impedendo che diventi terra di conquista di gruppi e corporazioni, di mille interessi particolari a scapito di quelli comunitari.

A base dell’esperienza proposta, cinque temi caldi per il futuro del Trentino: il ritorno ad una vita democratica come decisione di molti e non come decisione di pochi; l’affermazione del limite come valore di uno sviluppo sostenibile, alternativo a una presunta crescita illimitata e distruttiva; la riscoperta delle tante ragioni per rendere vitale la comunità regionale evitando autarchie provinciali; l’esigenza di tutelare i diritti delle nuove minoranze e di non chiudere gli occhi di fronte ai deboli e agli esclusi che sono dentro le nostre comunità.

Hanno già aderito in tanti in un mix inedito che vede Vincenzo Passerini e Walter Micheli con Piergiorgio Cattani e Giorgio Vigano, Paolo Tonelli con i sindacalisti Bruno Dorigatti e Antonio Rapanà. Uomini di Solidarietà come Michele Nardelli e Edoardo Benuzzi con mondi delle ACLI come Silvia Sandri e Olga Turrini. Il mondo ambientalista dei Francesco Borzaga e Luigi Casanova con professionisti come Pierluigi Torboli, Arrigo Monari, Giuliano Castelli. Il mondo universitario di Gregorio Arena, Silvano Zucal, Vincenzo Calì, Michele Nicoletti e Beppe Ferrandi assieme ai rappresentanti delle ultime esperienze dell’Ulivo come Angelo Giovanazzi e Maurizio Tomazzoni: e inoltre consiglieri comunali di Trento e di Rovereto. Tutti si dicono pronti ad avviare la nuova esperienza per costruire comunità.

Dopo cinquant'anni di autonomia il Trentino vive il suo momento di più diffuso benessere individuale e al tempo stesso di maggior smarrimento politico e sociale.

Vogliamo qui proporre a tutti i cittadini che come noi credono nella battaglia politica come frutto di civile antagonismo, di forti passioni e di chiare proposte, argomenti capaci di vincere scetticismi, di evitare abbandoni, di motivare, invece, nuovi e coraggiosi impegni.

Vogliamo che si torni ad amare la politica, strumento essenziale di trasformazione e di partecipazione civile.

Vogliamo che tutti si sentano partecipi della costruzione del destino comune, che nessuno si senta escluso, che il desiderio, inespresso o deluso, di tanti giovani e adulti di rendersi utili alla comunità sia pienamente valorizzato e trovi un luogo dove realizzarsi in amicizia e libertà.

Sentiamo il dovere di farlo per non disperdere tanti risultati acquisiti, tante ragioni ideali investite per avere un Trentino riscattato dalla miseria, con un territorio sicuro, orgoglioso delle proprie tradizioni civili, ma con grandi orizzonti che non chiudono alle Alpi le frontiere del mondo.

Per avere insieme e con le nostre esperienze personali vissuto, studiato, meditato e qualcosa capito della storia trentina, europea, del mondo, vogliamo dare il nostro contributo perché la linfa di una politica partecipata e generosa torni a circolare nelle arterie della società trentina.

Oggi questa linfa non circola più perché troppa politica è pensata e praticata in nome di piccoli e grandi egoismi.

Per questo, come segno di speranza e di raccordo possibile tra tutte le realtà della vita civile che nelle città e nelle valli sono impegnate a far progredire il Trentino senza farne terra di conquista di gruppi e di corporazioni, di mille interessi particolari a scapito di quelli comunitari, proponiamo di intraprendere assieme un itinerario nei luoghi più significativi del Trentino, per affermare la necessità di una cittadinanza responsabile nei confronti dell’uomo e della natura.

Per fare questo abbiamo bisogno di una stella polare. Possiamo trovarla in questi cinque temi che riteniamo decisivi per l'orgoglioso riscatto della nostra comunità e per ridare alla politica quella tensione ideale e progettuale smarritasi nella palude di una governabilità senza anima.

RITROVARE IL GUSTO DELLA DEMOCRAZIA COME PARTECIPAZIONE DI MOLTI, NON COME DECISIONE DI POCHI

Troppe sono le decisioni pubbliche determinate da gruppi di pressione e di potere, da cordate locali che stravolgono il senso più profondo della politica e della democrazia.

Anche i partiti stanno perdendo il loro ruolo di orientamento culturale e politico, di formazione e di impegno, di discussione e di decisione partecipata per ridursi a chiusi comitati elettorali.

Il dibattito e il confronto sono guardati con diffidenza, quando non con ostilità. Si esalta il momento della decisione, si mortifica quello della partecipazione.

L'autonomia, provinciale e comunale, invece di essere strumento per allargare il numero di coloro che hanno voce in capitolo nel determinare i destini collettivi, è sempre di più terreno di crescita di un neo feudalesimo che distrugge il valore più profondo della democrazia.

Non ritroviamo in tutto questo né la tradizione di partecipazione esaltata dagli antichi strumenti di autogoverno locale, come le Regole, né lo spirito profondo che sta alla base dello Statuto di autonomia ma anche degli Statuti comunali lo spirito dei quali è rapidamente affogato negli stagni della burocrazia e del piccolo calcolo politico.

Noi non vogliamo accettare questa deriva.

Dobbiamo cambiare strada e attivare tutti gli anticorpi di cui la nostra comunità dispone.

Più interessi generali e meno particolarismi, più Trentino e meno corporazioni. Più vitalità a tutti i nostri nuovi ed antichi strumenti di democrazia.

Dobbiamo recuperare il ruolo oggi umiliato dei consigli comunali, il confronto nelle sessioni forestali, il dibattito nei beni di uso civico, il senso profondo degli strumenti di partecipazione democratica nella gestione della scuola oggi del tutto superati. Dobbiamo rifiutare le scorciatoie di vertice, i governatori e i feudatari, e tutto quello che assume il valore di una delega in bianco, di una rinuncia ai propri doveri e diritti di cittadinanza.

Questo dobbiamo fare, rilanciando anche le nuove comunità di valle, il dialogo interprovinciale e interregionale, avendo consapevolezza non solo retorica e nostalgica, di un ruolo della piccola comunità trentina dentro i nuovi flussi del pensiero e dell'economia europea e mondiale.

Non dobbiamo avere timore di imboccare i sentieri del futuro se sapremo dare nuova linfa e vitalità agli strumenti di vita comunitaria che nella storia hanno costruito il nostro presente.

Abbiamo bisogno di tanti patti territoriali, ma pieni di vitalità democratica e di contenuti che distinguono quello che è promosso nell'interesse di tutti da quello che è accaparramento di beni comunitari da parte di pochi.

Abbiamo bisogno di valorizzare la sussidiarietà, la capacità di agire e di produrre delle comunità di base, dei corpi sociali minori, degli organismi spontanei, delle famiglie, delle stesse singole persone.

Questa spinta positiva alla sussidiarietà non va confusa con un’ideologia di privatizzazione selvaggia, né con una pericolosa frantumazione delle responsabilità che finiscono per distruggere la comunità in un coacervo di interessi individualistici, di logiche di gruppo, di piccoli e grandi apparati burocratici che rispondono solo a se stessi.

La sussidiarietà vera impone invece maggiore responsabilità verso tutti e maggiore solidarietà tra tutte le componenti, territoriali, sociali, economiche della nostra comunità.

Senza di che non costruiamo il Trentino nuovo ma sgretoliamo semplicemente quello che abbiamo.

AFFERMARE IL VALORE DEL LIMITE PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE E PER IMPEDIRE UNA CRESCITA DISTRUTTIVA

Si fa strada, in modo sempre più incalzante, un modello di sviluppo che esalta la crescita infinita e il consumismo più sfrenato, che favorisce l'uso indiscriminato di risorse, l'occupazione di territorio, l'alterazione dei luoghi della memoria e della bellezza.

A questa crescita e a questo sviluppo abbiamo già sacrificato molto della fisionomia delle nostre valli, dei nostri borghi e delle nostre città. Abbiamo messo a repentaglio la qualità dell'acqua che beviamo, dell'aria che respiriamo, dei terreni che calpestiamo.

Da poche settimane abbiamo alle spalle un nuovo grande monito della natura trentina. Le frane, il fango, paesi vuoti, frazioni abbandonate, case a rischio, cave di porfido che cedono minacciando cose e persone. Per la prima volta dal 1966 il Trentino nel suo insieme ha rischiato di non farcela. La lezione non può essere dimenticata. Senza cedere a impraticabili richieste di sicurezza assoluta, impedita dalla stessa morfologia alpina, è facile capire che abbiamo creato squilibri nuovi.

Il Trentino della misura e dell'equilibrio, la terra dei quattrocento paesi e dei cento laghi, dei torrenti e dei ghiacciai, dei visibili incontri della civiltà alpina con quella mediterranea, pare oggi aver perso il senso del limite e di comunità che consentirono il suo sviluppo e la sua tenuta sociale.

Noi non vogliamo accettare tutto questo. Vogliamo batterci per un altro modello di sviluppo.

La sobrietà si impone. Il limite è un valore, non una punizione. Pone un freno alla presunzione e all'ingordigia. È una possibilità consegnata alle generazioni future. Il senso del limite è il presupposto politico su cui costruire lo sviluppo del Trentino di domani. Abbiamo bisogno di un modello di sviluppo sostenibile.

La sostenibilità valorizza l’impresa creativa e consapevole, così come l’uso delle nuove tecnologie, non ignora le esigenze del sistema produttivo e del lavoro. La sostenibilità è un nuovo modo di pensare la qualità della vita, di ripensare le forme di benessere e di crescita economica durevole, una dimensione fortemente impregnata dalle ragioni dell'etica e dell'equità.

Equità verso le generazioni future cui rischiamo di consegnare un mondo degradato e avvelenato. Equità verso i popoli impoveriti del mondo, depredati di risorse, di natura, di vita da un forsennato sviluppo economico che arricchisce solo una parte minima degli abitanti della terra e consegna i più alla miseria e spesso alla morte.

Lo sviluppo sostenibile è imposto da un dovere morale e politico di giustizia internazionale che deve inquietare le nostre coscienze e cambiare radicalmente le nostre politiche.

Dobbiamo, dunque, dire no ad uno sviluppo che produce più strade e più ritardi, più cibo e più affamati, più mezzi di comunicazione e più solitudine, più stordimento da frenetica velocità e più psicofarmaci.

Non abbiamo bisogno di grandi infrastrutture, aeroporti e nuovi impianti che, se realizzati, impedirebbero di leggere la carta geografica del Trentino per i suoi segni ambientali ma soltanto per l'ispessimento delle sue infrastrutture, da nord a sud, da est ad ovest. Dobbiamo ridurre i nostri consumi, a partire da quello di suolo. Meno del 20% della superficie del Trentino è disponibile per le attività insediative, economiche, infrastrutturali dell'uomo: pochissimo, in gran parte già occupato o ipotecato dalle previsioni già fatte.

Abbiamo bisogno di uno sviluppo che invece esalti le nostre vocazioni, che non sia pura omologazione a quello dominante, rapace e irresponsabile. Dobbiamo ripartire dal territorio quale sistema complesso di natura, cultura, tradizioni per un’idea di sviluppo capace di valorizzare le risorse locali e la nostra storia e di dare una risposta allo spaesamento provocato dalla globalizzazione.

Perché questo tipo di sviluppo, rispettoso delle vocazioni peculiari del Trentino, possa affermarsi ha bisogno di investire sulle persone, scommettendo con decisione e coraggio sulla formazione, la scuola, la ricerca.

COSTRUIRE LA COMUNITA' REGIONALE NON CHIUDERSI IN QUELLA PROVINCIALE

Il secolo appena terminato ha visto la progressiva emancipazione politica, sociale ed economica del Trentino. Ma ha visto anche il progressivo rimpicciolirsi dell'ambito politico-istituzionale in cui si è andato collocando: dal contesto europeo, quello imperiale austro-ungarico d'inizio secolo, a quello nazionale italiano dopo la prima guerra mondiale, a quello regionale autonomista dopo la seconda, a quello provinciale di quest'ultima fase della nostra autonomia.

Dobbiamo tornare ad "allargare" il Trentino.

Abbiamo imparato che l'autonomia provinciale può vivere e crescere non nell'autosufficienza che la destina alla morte, ma soltanto intessendo più forti rapporti con gli altri. Stato, Regione, Euroregione, Europa: ciascuno di questi livelli è oggi indispensabile perché l'autonomia provinciale, che ha visto crescere in quantità le sue competenze, sia capace di crescere in qualità, e perché le sue potenzialità diventino opportunità non pesi, freni, ostacoli.

Dobbiamo perciò ripercorrere all'inverso il cammino di progressivo rimpicciolimento del Trentino, tornare ad allargarlo, facendo tesoro di quanto in questo secolo è stato positivamente acquisito grazie anche ai grandi cambiamenti avvenuti a livello internazionale.

La riforma della Regione Trentino-Alto Adige è inevitabile. Né è proponibile un ritorno all’antico modello. Guardiamo, tuttavia, con preoccupazione alla perdita di rilevanza della Regione come istituzione, ma ancor più come progetto di comunità viva di trentini e sudtirolesi che condividono, non solo un ambiente geografico e una storia, ma anche, pur con tante diversità, molti elementi comuni.

Nell'Europa non più divisa tra i due blocchi e dove i confini statali, come quello del Brennero, vanno per fortuna diventando sempre più sottili, sono i confini linguistici ed etnici, come quello fra Trentino e Sud Tirolo, a costituire i luoghi politicamente più delicati, ma anche più fecondi perché più ricchi di diversità. Noi abbiamo il compito in questa terra di confine, dove si accostano e si intrecciano italiani e tedeschi, ma anche ladini e minoranze germanofone, di costruire ogni giorno le condizioni politiche, culturali, sociali di una sempre più alta forma di convivenza.

L'istituzione Regione va riformata, con un vasto coinvolgimento delle migliori energie locali e nazionali, e con l'obiettivo di individuare soluzioni nuove per il terzo Statuto dell'autonomia, non solo mediocri assestamenti.

Una nuova Regione è anche la condizione per una collaborazione transfrontaliera con l'area austriaca che costruisca l'Europa dei popoli e non quella, pericolosa, delle isole etniche.

La comunità regionale più che un retaggio del passato è dunque, oggi più di ieri, una necessaria prospettiva per il futuro. Essa non è mai stata veramente costruita, e noi non vi vogliamo rinunciare.

È un dato di fatto che, tranne sporadici esempi, le due comunità in gran parte si ignorino.

Per questo, credere nella Regione, da parte nostra, vuol dire anche rafforzare i rapporti di base con i vicini e con l'area tedesca nel suo complesso: con istituti ed organismi culturali ed economici che abbiano questa specifica vocazione; favorendo e non scoraggiando lo studio della lingua del vicino, premessa indispensabile per una conoscenza reciproca non superficiale; promuovendo le traduzioni di libri, la conoscenza della storia, incoraggiando rapporti e gemellaggi tra paesi, associazioni, parrocchie. Tutto questo però ancora non basta.

Il terzo Statuto dell'autonomia dovrà segnare anche una svolta rispetto all'attuale sistema suditrolese della proporzionale linguistica e della separazione etnica. Questo sistema ha avuto una sua positiva funzione conseguendo l'obiettivo di salvaguardare l'esistenza del gruppo tedesco e una convivenza pacifica quando altre terre europee erano dilaniate dai conflitti etnici. Ma ora va decisamente superato in virtù non solo dei risultati raggiunti, ma anche del nuovo contesto europeo e di una più matura e piena cultura dei diritti che è oggi patrimonio acquisito delle moderne democrazie.

Dobbiamo rompere le gabbie etniche, indicare alle nuove generazioni una prospettiva d’incontro con l'altro, non di separazione. Sarà questo l'inizio di una nuova storia per la comunità regionale che vogliamo costruire.

STARE DALLA PARTE DEI DEBOLI E DEGLI ESCLUSI

Il senso vero e nobile della politica sta nella lotta incessante all'ingiustizia e all'oppressione. La politica riconosce l'autorità della sofferenza, non si limita a registrare i rapporti di forza esistenti, ma vuole dare potere al lamento del debole e dell'escluso, vuole ridistribuire la forza. Sono i deboli e gli esclusi quelli che giudicano il valore d’ogni politica, e che impongono continue verifiche e revisioni. Soprattutto a coloro che pretendono di parlare in nome dei deboli e degli esclusi.

La grande ingiustizia planetaria della distribuzione delle ricchezze è uno scandalo che rende insonni tutti i progetti politici. Il culto del mercato, del denaro, del consumo domina l’universo mondo e affama e uccide i tanti Sud del pianeta. Occorre assumersi pienamente la responsabilità di questa somma ingiustizia. Da questo punto di vista non ci sono più distinzioni tra politica locale, politica nazionale e politica internazionale. Tutto si lega nel mondo della globalizzazione.

La politica locale non può ignorare nelle sue scelte quotidiane l'orizzonte mondiale, segnato dall'iniqua distribuzione delle ricchezze e del consumo di risorse.

Ma c'è un Sud del mondo anche dentro le nostre ricche società. Ci sono tante sacche di povertà, antiche e nuove, e l'esclusione sociale si sviluppa ormai anche dentro i circuiti della normalità. Basti pensare a cosa sta provocando la precarietà del lavoro. Dobbiamo ridare centralità alla dignità del lavoro.

Occorre una grande riforma sociale che porti a ripensare globalmente le politiche sociali: sanità, assistenza, scuola e formazione, famiglia, politiche del lavoro, politiche per i giovani (per tutti i giovani, non solo per quelli in difficoltà), politiche culturali e del tempo libero. Ci vuole, innanzitutto, un coraggioso sforzo di verifica: quello che stiamo facendo in questo o quel campo è ancora valido? O sopravvive a se stesso?

I cambiamenti sociali di questi anni hanno moltiplicato le solitudini. I nostri paesi e le nostre città perdono ogni anno pezzi di umanità e di comunità. In questo siamo stati sconfitti, anche se abbiamo vinto la scommessa del benessere. Basti pensare al progressivo confinamento e isolamento degli anziani che culmina spesso nella morte lontano da casa. Così come rimuovono le povertà, vicine e lontane, le nostre società rimuovono la morte. Eppure la nostra cultura aveva saputo dare una dimensione comunitaria alla sofferenza e al dolore fino al momento estremo della vita. Vogliamo rimettere al centro del nostro impegno civile anche il recupero di questa cultura comunitaria, come vero indice di qualità dello sviluppo contrapposto all’indice dominante dell'accumulo di denaro e di beni. Ciò vuol dire prendersi cura l’uno dell’altro, con la ricchezza delle relazioni personali nella famiglia, nel vicinato, nel quartiere, e sviluppare la collaborazione concreta fra uomini e donne nella dedizione ai soggetti più deboli, superando gli ostacoli che rendono ancora squilibrato il rapporto fra i sessi.

Ricostruire una comunità umanizzata, nei nostri paesi, nei nostri quartieri, e nel mondo; essere radicati nella nostra storia e aperti alle storie degli altri e ad una nuova storia da costruire insieme agli altri, ai nuovi che arrivano tra di noi. Questo vogliamo fare.

Il nostro impegno per la pace, per la promozione dei diritti umani e per restituire futuro alle masse enormi d’impoveriti del mondo va tradotto a livello locale nella battaglia per un nuovo modello di sviluppo, di democrazia, di convivenza, di sicurezza sociale, e in un recupero di valori comunitari che dia più umanità al nostro Trentino.

TUTELARE LE NUOVE MINORANZE

La comunità regionale ha davanti a sé un altro, nuovo, grande compito: riconoscere pienamente la presenza di nuove minoranze linguistico-culturali ed etniche nel territorio regionale insediatesi in questi anni a seguito dei fenomeni migratori che hanno caratterizzato tutta l'Europa.

A questo compito dovrà corrispondere il terzo Statuto della nostra autonomia.

La storia dei trentini è stata per decenni anche storia d’emigrazione. Oggi questa eperienza, che è ancor viva, si è però rovesciata: siamo noi ad ospitare gli emigranti. Siamo noi dall'altra parte.

Il Trentino conosce bene le speranze e le fatiche della vita dell’emigrante, l’anelito di dignità, di libertà, oltre che la volontà di riscatto dalla miseria che lo muove. Conosce i successi e i fallimenti che lo segnano, le difficoltà della lingua, le umiliazioni sul lavoro, il problema della casa, il bisogno di difendere la propria identità e insieme di conoscere e capire l'identità dei residenti, la diffidenza, e a volte l'ostilità e l'inimicizia, ma anche la felicità di trovare qualcuno che ti accoglie con cordialità.

Gli immigrati sono ormai parte essenziale della nostra comunità. Con il loro lavoro reggono interi settori dell'industria, dell'artigianato, del turismo, dei servizi.

I figli delle persone immigrate riempiono le culle lasciate vuote dai trentini. Le nuove famiglie di stranieri rianimano case e paesi abbandonati.

Senza di loro il Trentino sarebbe destinato ad una lenta agonia.

Essi portano, quindi, non solo problemi, come la propaganda razzista o superficiale di taluno vuol far credere, ma anche ricchezza, anche speranza e futuro. Anche nuove culture e religioni, nuovi stili di vita che chiedono rispetto, ascolto, confronto.

Come lo scrittore svizzero Max Frisch diceva ieri degli emigranti italiani, così possiamo dire noi oggi degli immigrati: "Cercavamo delle braccia, sono arrivati degli uomini". Meglio diremmo, delle persone.

La nostra autonomia, che giustamente indichiamo come esemplare nella tutela delle minoranze ha una nuova sfida: diventare esemplare anche nella tutela e valorizzazione delle nuove minoranze nel quadro dei diritti e dei doveri tracciato dalla Costituzione della Repubblica.

Un grande compito sta davanti a noi: costruire con coraggio e pazienza l'incontro tra le culture e le religioni, nel rispetto reciproco, rifiutando le isole etniche, i nuovi ghetti, le separazioni, i muri. Si tratta di garantire a tutti gli elementari diritti sociali, premessa della graduale acquisizione dei diritti di cittadinanza.

Per i Comuni è questa l'opera pubblica della cui realizzazione potranno andar fieri.

Ma ciascuno può fare la sua parte per realizzare un'opera pubblica ancor più importante: la fraternità tra tutti gli uomini. Un sogno sempre inseguito, puntualmente deluso, ma senza il quale l'umanità non avrebbe avuto la forza di camminare, superando paure e fallimenti, cercando giustizia e dignità per tutti.

Per un così affascinante compito occorre allo stesso tempo un impegno semplice e straordinario: un atto d’amore per il Trentino di quanti sentono in maniera profonda la responsabilità per i destini di questa terra. Possiamo, dobbiamo essere in tanti. Ti chiediamo per questo di avviare con noi l’itinerario possibile per costruire comunità.