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QT n. 5, 10 marzo 2001 Monitor

Dove i vecchi vanno a morire…

"Fu quello il nostro lago, poche spanne d’acqua, due vite troppo giovani per essere vecchie, e troppo vecchie per sentirsi giovani. Scoprimmo allora che cos’è l’età. Non ha nulla a che fare col tempo, è qualcosa che dice che ci fa dire siamo qui, è un miracolo che non si può ripetere. Al confronto la gioventù è il più vile degl’inganni"; così scriveva Montale in una poesia del ’72. Allora gli anziani erano più di oggi abbandonati a se stessi. Nessuno li voleva, nessuno ne parlava: troppo datati per poter insegnare qualcosa dopo i grandi cambiamenti del Sessantotto. E così Nicolaj compose "Classe di ferro", debuttando in Ungheria e non in Italia, nel ’74. A Budapest, per la prima volta, i "vecchi" levarono la voce contro un mondo che rinnegava in nome del progresso sia le radici, sia gli ideali che alla storia dovevano dare un nuovo corso.

Ne è passata d’acqua sotto i ponti e siamo ora più sensibili alle tematiche "sociali". Ma non basta. Gli anziani sono persone, non problemi da risolvere. Quanti si saranno commossi, rimproverati, vedendo sul palco la tragicommedia di Libero, Ambra, Lapaglia? È questa la forza di "Classe di ferro", la sua attualità, che brucia perché accusa il nostro egoismo, lo scaricabarile dalla famiglia alle istituzioni, dalle istituzioni alla famiglia, come un cinico serpente che si morde la coda. Nelle scene di Sergio D’Osmo gli attori fanno quasi parte dell’arredo: un parco cittadino, freddo, senz’alberi; una panchina solitaria, dove solo i vecchi si siedono; un muretto in fondo, con un piccolo cancello di ferro, e a destra un bidone dell’immondizia.

Nessun giovane. I figli di Libero e Lapaglia sono i grandi assenti nominati di continuo, prima con orgoglio, poi con disperazione. Solo l’affetto fra i tre anziani dà un senso a una vita che sembra finita, giunta al capolinea d’un ospizio. Bocca decide di fuggire con l’amico come Don Chisciotte e Sancho Panza; combatte coi mulini a vento per un sogno destinato a infrangersi contro la realtà, contro quel tempo che si ostina a passare. Libero di nome e di fatto, finché la morte lo porta con sé.

Tre grandi attori in questo inno alla vita diretto dal sottile Macedonio: splendidi, veri Ferrari e Mazzarella; la Barzizza un raggio fugace di sole che illumina tutto con la sua spicciola saggezza. Ma la morale è triste, amara come la frase di Bocca detta quasi per scherzo: "La vecchiaia è una magica invenzione per non morire giovani".

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