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QT n. 6, 24 marzo 2001 Monitor

Raccontare il dolore, ricordare la guerra

"Quattro bome in tasca" appassionante lavoro su una Resistenza umanizzata.

C’era un tempo in cui la guerra distillava il meglio e il peggio degli uomini, c’era un tempo in cui le piazze tramandavano il ricordo nei teatrini dei cantastorie… C’era un tempo… Tutto sembrava cambiato in questo secolo convulso, sempre pronto a dimenticare; Chiti ci ha dimostrato il contrario, ci ha riportati a quando le parole erano vita, azioni, in cui poterci riconoscere. Gli orrori del nazifascismo non ci hanno sfiorati, ma l’impatto è stato tale che abbiamo dovuto trattenere le lacrime. Era lì davanti a noi la Toscana dilaniata dalla guerra, raccontata come una fiaba, "dolcezza e orrore in una sola musica". Passato presente, tavole di menestrelli dietro i pannelli scorrevoli. Se i manuali ci dipingono una Resistenza doverosamente eroica, ennesimo retorico monumento ai caduti, "4 bombe in tasca" (rappresentato all’Auditorium S. Chiara) è un’altra cosa. I personaggi sono semplici, piccoli e grandi come ognuno di noi, e devono decidere o hanno già deciso da che parte stare: lì c’è Salò, qui la libertà.

A pochi mesi dall’armistizio, non si contano i rastrellamenti, le imboscate, le esecuzioni sommarie. Chiti, pur schierandosi coi partigiani, non s’abbassa a una faziosa demagogia, regalandoci invece anche degli antieroi: il maestro traditore, l’ufficiale nazista che da lui vuol imparare "l’italiano colloquiale" per stare con la gente, ridere con lei persino di se stesso. È così facile far leva sui sentimenti - patriottici e non - per ottenere il successo di pubblico, o anche di critica a volte; ma non è certo il caso di Chiti. Scrisse Andrea Rustichelli, in una sua recensione, che il dramma è "privo di spessore e di inventiva scenici", che "non vivifica il senso del ricordo". A noi basta sapere che all’uscita del teatro avevamo gli occhi lucidi e una dannata voglia di vivere.

Eravamo col Tizzo quando i fascisti lo torturavano, col Biondo quando ha perso il suo grande amico e parlava a lui e a molti altri come a fantasmi della memoria; eravamo con la Silvana quando ricordava la sua lunga notte, l’essersi data alle guardie per distrarle, perché i brandelli del suo Fausto, esploso con 4 bombe in tasca, fossero seppelliti di nascosto.

Sì, all’incontro con gli attori ci siamo commossi con loro, immedesimati nelle loro storie: Massimo Salvianti "era" il Tizzo, Dimitri Frosali "era" il Biondo, Lucia Socci "era" la Silvana, e proprio lei ci ha confidato il trauma della sua parte, quando a metà copione doveva fermarsi perché le lacrime le impedivano di leggere e il cuore le si spezzava.

Se a teatro possiamo ancora vedere noi stessi, i nostri morti e i nostri vivi, nella "recita del popolo fantastico", allora davvero quel tempo non è passato, quel tempo è qui e lo sarà ancora finché qualcuno vorrà raccontarlo.

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