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Un raggio di sole ci salverà

L’energia solare non soltanto per lo scaldabagno di casa. Intervista al premio Nobel Carlo Rubbia, presidente dell’ENEA. Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello.

Achille Rossi

Il professor Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica e attuale presidente dell’Enea, non vorrebbe dare l’impressione che la sua proposta di captare l’energia solare sia una specie di divagazione intellettuale o una crociata contro il petrolio. "Solo che le riserve di petrolio sono limitate e i paesi in via di sviluppo ne hanno una fame terribile, perché è la fonte energetica più facile da usare. Ci potrebbe essere nel lungo periodo una penuria di questa risorsa. E anche ammesso che ce ne sia ancora per altri 100 o 200 anni, quanto costerà? Non bisogna poi dimenticare che i tempi tecnici per lo sviluppo di qualsiasi forma di energia nuova non sono brevi: oggi per passare dal laboratorio alle applicazioni pratiche ci vogliono venti o trenta anni".

Il resoconto del Worldwatch Institute uscito in questi giorni attribuisce la causa dei disastri "innaturali" proprio all’effetto serra dovuto all’uso del petrolio. "L’impatto ambientale del combustibile fossile è una realtà conosciuta da tutti. Il cambiamento climatico è una conseguenza dell’effetto serra; la terra si va scaldando e ci si pone il problema di quanto petrolio il nostro pianeta possa permettersi di bruciare. E anche se esistessero dei dubbi sulla correlazione tra effetto serra e uso di combustibili fossili, la prudenza dovrebbe spingerci a limitarne l’uso".

Veniamo alla sua proposta del solare termico...

"Se c’è questo bisogno di energia cominciamo a guardare dove potremmo trovarla. Nella fascia centrale del nostro pianeta l’energia solare è ricca e abbondante. Vi piove ogni anno una quantità di energia corrispondente a uno strato di petrolio di venti centimetri. Se potessimo utilizzare tutta l’energia solare, raccoglieremmo ogni anno un barile di petrolio per metro quadrato. Un vero dono di Dio. È naturale che lo scienziato si chieda come utilizzarlo. Le voglio fornire un’altra cifra: l’Arabia Saudita, il principale esportatore mondiale di petrolio, riceve ogni anno dal sole mille volte più energia di quanta ne esporti sotto forma di petrolio. Queste sono le cifre e i fatti scientifici. Noi italiani, che riceviamo annualmente tutta questa energia in territori del sud spesso incolti, dovremmo cominciare a chiederci se sia possibile impiantare un sistema che invece di sfornare grano, cereali e patate, produca energia. L’Enea, l’ente che presiedo, ha lo scopo di concretizzare questa intuizione. I critici di questo programma ci rimproverano di aver tirato fuori finora solo goccioline, ma ciò non vuol dire che non esista un metodo per farlo funzionare meglio in futuro".

E lei ha in mente questo metodo, professor Rubbia?

"Se cerchiamo un sostituto del petrolio, che serve a scaldare qualsiasi oggetto fino a una temperatura di 600-700 gradi, dobbiamo trovare un meccanismo per ottenere con il sole lo stesso livello di calore. Ci sono dei precedenti storici interessanti. I tibetani da tempo immemorabile utilizzano degli specchi solari per riscaldare il tè: con delle parabole di metallo focheggiano la luce del sole sul fondo della teiera che si riscalda prodigiosamente. In Tibet, paese molto soleggiato, si prepara il tè grazie all’energia solare concentrata. Anche Archimede più di duemila anni fa aveva intuito le potenzialità della concentrazione solare. La svolta che noi proponiamo è di passare dall’utilizzazione del solare per scaldare l’acqua per usi domestici a un calore che sia confrontabile, per le sue caratteristiche tecniche, a quello del petrolio, del gas, del carbone".

E come si fa concretamente? "Concentrando la luce solare per mezzo di uno specchio si passa da 0,1 a 100 watt per centimetro quadrato, che è la quantità di calore prodotta dalle barre all’interno di un reattore nucleare. Con tecnologie per niente complicate si ottengono temperature dell’ordine di 600º, analoghe a quelle della combustione del petrolio, e il calore che ne risulta viene utilizzato per produrre energia elettrica: si scalda del vapore ad alta temperatura, si immette nelle turbine e si fa la corrente. È un metodo semplicissimo, perché si utilizzano dei normali vetri di finestra piegati in maniera parabolica, che concentrano la luce su un tubo, attraverso il quale si fa passare dell’aria che diventa caldissima. Con questo sistema, per tutto il tempo in cui c’è il sole si ottengono 600 megawatt di potenza per chilometro quadrato".

Ma di notte, d’inverno o quando il sole non c’è?

"Ci si presenta il problema di accumulare questo calore. Lo abbiamo risolto utilizzando un sale, un nitrato di sodio e potassio che si chiama sale del Cile, il quale scaldato a 600° diventa un liquido che funge da accumulatore. Durante le ore favorevoli della giornata si immagazzina calore nel liquido e lo si preleva quando si vuol fare il vapore. È’ lo stesso principio dello scaldabagno elettrico: si scalda l’acqua del bagno durante la notte perché l’energia elettrica costa meno e si ha l’acqua calda per tutto il giorno. In questo modo l’energia media che si ricava è circa un terzo dell’energia picco fornita dal sole; quindi i 600 megawatt delle ore di insolazione diventano nella giornata 200 megawatt termici di temperatura, di cui solo la metà sono trasformabili in energia elettrica. Dunque un chilometro quadrato coperto di specchi fornisce 100 megawatt elettrici. Per dare un’idea, una grossa centrale nucleare come quella di Caorso, ne produce mille. Di conseguenza un quadrato di tre chilometri di lato fornisce la stessa potenza di Caorso e già sotto forma di energia elettrica".

E gli inconvenienti?

"Nessuno: il calore solare viene trasportato ad aria calda, quindi non c’è alcun impatto ambientale; va a finire in uno scambiatore di calore che scalda il sale, un innocuo fertilizzante impiegato in agricoltura; e con il sale caldo si riottiene il vapore per produrre l’energia elettrica. E’ un processo che non presenta inconvenienti tecnici e offre grandi vantaggi. Pensi alla Grecia che ha tremila isole, ognuna delle quali consuma circa 10 megawatt di energia elettrica, una potenza raggiungibile con 0,1 kmq. di specchi, un quadrato di 300 metri di lato, poco più grande di un campo di calcio".

In Italia dove ha progettato di collocare questi grandi specchi parabolici?

"Stiamo discutendo con la Regione Sicilia la possibilità di realizzare nel sud della regione un impianto-prototipo, per il quale il governo ha previsto nella Finanziaria uno stanziamento di 200 miliardi. Con altri fondi regionali si arriverebbe a costruire il più grosso impianto per la produzione di energia termica dal sole esistente al mondo. In tre anni siamo convinti di metterlo a regime, così i cacadubbi avranno il piacere di dimostrarci che questa cosa non funziona".

E quasi per esorcizzare un’obiezione il professore aggiunge: "Ho fatto i miei conti: 600 megawatt di calore nelle ore di sole, 200 megawatt in media al giorno, 100 megawatt elettrici. Senza dimenticare i 20 centimetri di petrolio per chilometro quadrato".

Immagino che lei abbia previsto altri impianti in Italia.

"Non avrebbe senso crearne uno solo. Perciò abbiamo scritto a tutti i presidenti delle regioni meridionali per sollecitare il loro interessamento sul progetto. Io sto caldeggiando lo sviluppo di una nuova tecnologia che possa essere applicata a vasto raggio non solo nell’area mediterranea, ma anche in Cina, in America Latina, in tutti i paesi che richiedono una tecnologia poco sofisticata. Cerchiamo di spingere l’industria italiana a porsi all’avanguardia in questo tipo di tecnologie esportabili in molte altre nazioni. Con la regione Sardegna stiamo lavorando a un progetto che accoppia il solare alla dissalazione dell’acqua: si sfrutta l’energia solare per alimentare gli impianti di dissalazione, senza utilizzare il petrolio".

Quali ostacoli di tipo politico ha incontrato nel realizzare il suo progetto?

"Ho imparato a non preoccuparmi della politica. Io porto un messaggio scientifico e tecnologico; i politici decideranno cosa farne".

I giornali hanno riportato sue dichiarazioni nelle quali lei afferma che finora per il solare sono state messe a disposizione solo goccioline.

"È’ vero. O si prende il toro per le corna e si realizzano tutti gli investimenti necessari, oppure si rimane tagliati fuori. La decisione del governo e del parlamento di finanziare con 200 miliardi il solare termico è un segnale positivo, che smentisce le previsioni scettiche anche di alcuni colleghi dell’Enea che pensavano fosse inutile persino chiederli. Anche se complessivamente in Italia non si investe abbastanza sull’innovazione, nel caso del solare termico c’è stata una risposta adeguata".

Il suo recente viaggio in Cina era legato al progetto del solare?

"Abbiamo attivato con loro un certo numero di progetti. Il primo prevede la trasformazione del carbone in idrogeno addirittura in miniera e l’utilizzazione di questo gas nelle città, che sono inquinatissime per l’uso indiscriminato del carbone. Il secondo programma prevede l’impiego di pile a combustibile per gli autobus pubblici di Pechino: abbiamo progettato un sistema di autobus a idrogeno e ottenuto di fare una dimostrazione pratica. Il terzo è quello del solare, dato che nel sud della Cina il sole è abbondante".

Lei ha lavorato molto sul nucleare; attualmente ha investito la sua ricerca sul versante delle energie alternative. Come si spiega questa evoluzione del suo impegno intellettuale?

"Nel campo energetico non esiste monogamia, bisogna cercare energia dappertutto. Ad Amburgo sarei costretto a ricorrere a qualche forma di nucleare, perché lì la scelta è fra carbone e nucleare; nel Sahara sarebbe pazzesco costruire un reattore, con tutta l’energia solare che c’è. Noi siamo a metà strada fra Amburgo e il Sahara. 0 ci indirizziamo verso un nucleare nuovo, sicuro, che è ancora tutto da fare e da capire, oppure valorizziamo il solare. Credo che come paese dobbiamo puntare sul solare, anche se sono convinto che il nucleare non scomparirà completamente. Oggi però non è soddisfacente".