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L’astensionismo di sinistra

Il centro-sinistra ha alcune difficoltà da superare per vincere la prossima competizione elettorale con il centro-destra per il rinnovo del Parlamento. La più grave e la più difficile è quella dell’astensionismo, che alle ultime regionali ha colpito in larga misura, soprattutto le componenti di sinistra.

Avere sottovalutato il fenomeno è stato più che un delitto: è stato un errore che potrebbe essere decisivo. La sinistra, in particolare i DS, si sono finora sottratti a un esame approfondito delle cause e hanno ritenuto di poter liquidare la questione come un fenomeno fisiologico tipico delle grandi democrazie occidentali, un inevitabile disincanto dovuto alla cosiddetta "morte delle ideologie". Se così fosse, l’astensionismo avrebbe colpito in egual misura entrambi gli schieramenti. Perché invece colpisce soprattutto la sinistra e i DS in particolare?

La verità è che la gran parte dei cittadini che votano a sinistra hanno tuttora una concezione "regolativa" della democrazia, che ha tra i suoi fini quello di produrre una società più giusta. In altre parole la sinistra, nelle sue varie componenti, intende la democrazia non solo come metodo (una testa, un voto), ma come insieme di valori, codificati nella Costituzione che fonda se stessa in primo luogo sulla dignità del lavoro: "L’Italia - dice l’art. 1 - è una Repubblica fondata sul lavoro". In secondo luogo l’art. 3 impone allo Stato il dovere di "rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini".

Al di là di ogni ideologia, questa è la sostanza "regolativa" della nostra democrazia, che innerva la prospettiva non utopistica di una società migliore.

E’ questa speranza che è stata delusa, e ha fatto ritenere a una parte consistente dell’elettorato di sinistra che fosse giusto astenersi, in segno di protesta, per mandare un segnale forte al proprio partito, per manifestare l’insoddisfazione per la politica perseguita dai gruppi dirigenti.

La sinistra non ha capito che non si trattava di un astensionismo anemico e disincantato, come potrebbe essere quello americano ( non vado a votare, perché tanto "se non è zuppa è pan bagnato"), ma di un astensionismo politico che aveva un preciso significato. L’interpretazione non era difficile. L’hanno afferrata anche il giornalismo e il cinema: "D’Alema, di’ qualcosa, di’ qualcosa di sinistra!" Ricordate il film di Moretti?

Non mi nascondo che una cosa è stare all’opposizione, e altro conto assumere responsabilità di governo. Stando all’opposizione è abbastanza facile per la sinistra offrire una immagine "regolativa" (non riesco a trovare espressione più efficace), di forza che si batte per una società più giusta. Ma da quando è diventata di governo, non solo è parsa afasica (non comunica più idee generali giuste per il futuro), ma sembra avere perduto ogni forza propulsiva per convincere l’elettore.

Oggi alla vigilia delle elezioni politiche cerca di recuperare il proprio elettorato astensionista con due argomenti. Il primo è: "Abbiamo governato bene, quindi votateci". Si tratta di un argomento serio ma non decisivo, e obiettabile. Se avete governato bene, potrebbe rispondere l’elettore, perché avete cambiato leadership? Amato è l’ultimo rappresentante, in ordine di tempo, del buon governo: perché l’avete sostituito con Rutelli? In effetti questa sostituzione appare in contraddizione con il giudizio di buon governo. Ma è poi vero che il centro sinistra ha governato bene? Sul piano economico e finanziario, del risanamento dei conti pubblici e dell’entrata in Europa merita indubbiamente un ottimo voto. Per altri aspetti invece il giudizio è critico, o addirittura negativo: l’occupazione, la sicurezza, la giustizia presentano luci ed ombre, e l’astensionismo di sinistra è stato proprio determinato dalle ombre.

Il secondo argomento è: "Se vi astenete, vince Berlusconi; quindi votatemi". L’indicazione è corretta, ma sgradevole perché ha un sapore vagamente ricattatorio (assomiglia alla nota frase di Montanelli che a suo tempo disse: "Voterò DC turandomi il naso"); ma soprattutto perché non entra nel merito e ha un significato auto-assolutorio dal demerito di aver generato l’astensionismo.

Devo però riconoscere che l’argomentazione è insuperabile: se gli astenuti di sinistra non andranno a votare vincerà Berlusconi, vincerà lo schieramento di centro-destra con le sue tentazioni antidemocratiche, razziste, addirittura eversive. Avremo un Governo dove Cesare Previti potrebbe essere il Ministro della Giustizia e Bossi delle politiche sociali. Da brivido!

In una situazione del genere tutto sarebbe molto più difficile: la difesa dello stato sociale, la stabilità e la dignità del lavoro, l’efficienza della scuola e della sanità pubblica. Ne verrebbe ulteriormente indebolita la coscienza democratica e la stessa stabilità delle istituzioni. Chi vorrà assumersi la responsabilità, politica e morale, di mettere in pericolo questi interessi vitali? Di aumentare lo stato di sofferenza degli strati più deboli della popolazione? Nessuno, io credo. Chi si è astenuto in passato ci ripensi e voti il nuovo Ulivo, pur mantenendo tutte le sue riserve e critiche. La politica del "tanto peggio, tanto meglio" non ha mai pagato.

Certo il secondo argomento non basterà da solo. Coloro che si sono astenuti in passato devono essere coinvolti non solo emotivamente (se non votate il centro-sinistra, vince Berlusconi, e con lui Fini e Bossi), ma anche sul piano dei valori e dei programmi. Inoltre il centro-sinistra deve dare la garanzia, in modo credibile, che d’ora in avanti la volontà degli elettori conterà anche tra una elezione e l’altra, che le decisioni politiche non saranno affare di ristretti gruppi dirigenti ma faranno seguito ad ampie discussioni nel paese.

La sinistra infine deve darsi regole nuove che diano la certezza che i suoi dirigenti siano culturalmente preparati e moralmente onesti.