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QT n. 7, 7 aprile 2001 Servizi

Trapianti: le buone leggi non bastano

In Italia aumentano i trapianti, ma le liste d’attesa non si riducono.

Romano Degasperi e Alda Pedrotti, dell’ANED (Assoc. Naz. Emodializzati) di Trento, ci mostrano le fotografie scattate nel gennaio scorso a Nendaz, in Svizzera, ai campionati mondiali per trapiantati. In una delle quali si vede in tenuta di gara un anziano di 71 anni, che ha subìto un trapianto di rene, in compagnia di un bimbo di 6, al quale invece è stato sostituito il fegato. Una curiosità indicativa di come dopo un’operazione così importante si possa ricominciare a vivere come prima.

Nendaz, Svizzera: gruppo di trentini partecipanti ai campionati mondiali di sci per trapiantati.

Ma l’opera di persuasione, più che ai pazienti, va rivolta ai cittadini, cioè ai possibili donatori, visto che, nonostante i circa 1.300 trapianti che si effettuano ogni anno in Italia, c’è una lista di attesa di 7.000 persone che non accenna a diminuire. Infatti, nonostante l’aumento del numero degli interventi, cresce intanto anche la domanda, perché sempre più numerose sono le patologie per cui si sceglie il trapianto e perché ormai si è in grado di intervenire anche su pazienti in età avanzata.

Quanto a donazione di organi, l’Italia è ancora, seppur di poco e con una situazione estremamente differenziata fra regione e regione (vedi il grafico). Le conseguenze sono preoccupanti: liste di attesa di migliaia di ammalati, 190 trapianti effettuati all’estero nello scorso anno su pazienti che dopo avere a lungo aspettato hanno ricevuto la necessaria autorizzazione (ovviamente, chiunque può farsi operare all’estero in qualunque momento, ma in tal caso deve pagare di tasca sua), e l’inevitabile incentivo al commercio illegale di organi, procurati nei modi orribili che sappiamo.

Per quanto riguarda la situazione normativa, invece, le cose vanno meglio. Il dott. Maurizio Ragagni, coordinatore per i trapianti dell’Azienda Sanitaria di Trento, ci spiega: "Con una legge del 1993 disponiamo finalmente di procedure precise per l’accertamento della morte, regole obbligatorie al di là della possibilità di effettuare espianti. Abbiamo una definizione di morte universalmente accettata dal mondo scientifico; su questa base una commissione di tre medici esegue una serie di accertamenti ripetuti 3 volte per un periodo di 6 ore consecutive, verificando la contemporanea assenza di 5 elementi: riflessi che partano direttamente dal cervello, reazione al dolore, respiro spontaneo, stato di coscienza, attività elettrica del cervello. In questo modo si toglie spazio all’accanimento terapeutico e si toglie significato ad un concetto - quello di coma irreversibile - che non ha senso, perché il coma irreversibile equivale alla morte".

Prospettive migliori anche sul fronte delle donazioni, grazie alla recente legge (del ’99) che le regolamenta. Finalmente vi si parla di informazione al cittadino, si dà un ruolo, in questo, al medico di base, e si rispetta la volontà del defunto, togliendo alla famiglia la responsabilità di decidere e soprattutto la possibilità di prevaricare rispetto alla volontà del soggetto. Come qualcuno ricorderà, con i certificati elettorali del maggio 2000 vennero distribuiti dei moduli dove ognuno poteva (la cosa non è obbligatoria) indicare la propria volontà al riguardo; moduli da conservare fra i propri documenti o da consegnare al medico di famiglia o all’Azienda sanitaria. Solo se non si è espressa la propria volontà al riguardo, la decisione spetta ai familiari.

Di questa importante operazione non si conoscono i risultati (quante persone hanno compilato il modulo?) e probabilmente sarà necessario ripetere l’iniziativa con una adeguata campagna informativa sulla realtà dei trapianti. Molti, probabilmente, pur disponibili alla donazione, ritengono però di essere ormai "fuori mercato", troppo avanti con gli anni cioè per risultare adatti allo scopo. E in effetti il donatore ideale - ci si perdoni l’apparente cinismo - è il ventenne deceduto in un incidente stradale. "Ma oggi - spiega il dott. Ragagni - si utilizzano anche donatori settantenni. Abbiamo addirittura il caso di un uomo di 89 anni al quale è stato prelevato il fegato, un organo cioè che invecchia meno. O ancora: a volte si trapiantano due reni, anziché uno solo, e in quel caso gli organi possono provenire anche da una persona anziana…".

Più informazione, dunque, e a questo scopo si è ripetuta, fra il 18 e il 25 marzo scorso, una settimana di iniziative dedicate al tema, con convegni, banchetti, distribuzione di materiali. Ma questa necessità di sensibilizzazione non riguarda solo i cittadini. "Il trapianto - ricorda il dott. Ragagni - è l’evento finale di un processo che comincia con l’identificazione e la segnalazione di possibili donatori. E in questo, naturalmente, è fondamentale l’azione del personale ospedaliero. Ad ogni decesso che si verifica il personale dovrebbe preoccuparsi di chiedere ai familiari il consenso per un eventuale prelievo, il che non sempre avviene: per indifferenza al problema, o forse perché questo compito risulta imbarazzante. E’ una cosa delicata, certo, soprattutto al Pronto Soccorso, o in caso di decessi improvvisi, quando i familiari non hanno ancora accettato l’idea della morte del loro congiunto. Forse la soluzione migliore è quella di preparare delle équipes appositamente formate per questo difficile incarico, come si è fatto, ad esempio, a Treviso".

Un’ultima cosa: il fatto che tra i molti centri autorizzati a praticare trapianti non ve ne sia nessuno localizzato a Trento o a Bolzano, è un problema, una carenza a cui porre rimedio?

"Assolutamente no. Gli ospedali italiani che fanno trapianti sono anche troppi, perché al di sotto un certo numero di interventi non si può garantire pienamente la qualità. E’ anzi preoccupante che alle Regioni sia stata data (anche se ancora mancano i decreti applicativi) la facoltà di istituire nuovi centri".

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