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QT n. 8, 21 aprile 2001 Monitor

La primavera del cinema italiano

In quest’ultima stagione cinematografica, ancora in corso, ricca di film attraenti, sia nelle rassegne sia negli orari ordinari, anche il cinema italiano è presente con buoni lavori, assai apprezzabili, tanto che si è parlato di una sua "primavera", a smentita di chi ne aveva invece preconizzato la fine: un cinema promettente, dai tratti ben identificabili, che rivela l’impegno e il talento di alcuni registi e la capacità, dopo un periodo di stanca, di competere di nuovo con le altre cinematografie europee, ampliando l’orizzonte allo sguardo ed affidando ad un più vigoroso battito d’ali un volo ben alto da terra, dove troppo a lungo aveva sostato.

[/a]Tra i molti film usciti, diversi in questo spazio già recensiti, ricordiamo questa volta "Domani" di Francesca Archibugi, tenuto in visione un solo giorno, ma di notevole interesse. Si cimenta infatti con un tema insolito, o meglio che siamo soliti vedere rappresentato secondo la cifra spettacolare-catastrofica, il terremoto, quello che ha colpito nel ‘97 Umbria e Marche. Raccontato con toni sobri e realistici, punta sulla cronaca del quotidiano e della sensibilità, una messa in scena per tracce e frantumi del dopo: un incipit di impressionante efficacia e verismo gira, nel tempo reale di circa due minuti, la prima scossa notturna, che trascina nel caos repentino di crolli e boati, di panico, urli, fuga; una dissolvenza su nero, significativa dell’interruzione del vivere civile, sottende l’angosciosa realtà che segue allo scatenarsi distruttivo della natura; e poi ecco la lenta, rattristata ripresa del vivere, insieme alle ferite delle case, del paese, delle persone, alle lacerazioni nelle abitudini e nei modi di vita. Le crepe non sono solo nei muri ma dentro gli individui, che faticano a capire cosa è successo e come continuare, e passano i giorni precari e allarmati sul ritmo delle scosse di assestamento, che affliggono senza tregua minando alla radice il rapporto con l’esistente. Il senso di precarietà contagia le relazioni familiari e interpersonali, che la regista riesce a rappresentare proprio nell’insicurezza e friabilità riflesse dai tremiti della terra.

Vengono seguite, in un fragile procedere a frammenti, alcune microstorie, emblematiche delle età della vita: i giovanissimi, che si stanno aprendo alle esperienze, dei quali è disegnata la personalità con competenza, abile finezza e amore, nel modo ben noto della regista quando lavora sui ragazzini; i vecchi, in via di chiusura, fragili e malinconici nello smarrito adattamento; le età di mezzo, con amori ormai stanchi e amori che nascono, incerti e ritrosi, un po’ irreali, nel triste frangente. Nel disagio dell’abitare promiscuo in squallidi container, le relazioni tra persone vedono cadere limiti codificati e tolleranze, facili nell’agiata normalità e quanto mai complicate nell’attuale impaurimento dell’emergenza prolungata che priva di tutto.

Nella collettiva rassegnazione della sopravvivenza quotidiana, il diario di due preadolescnti, Tina e Vale, amiche inseparabili, che non rinunciano a vivere i loro riti di passaggio d’età, fa da filo conduttore a queste tenui storie, a volte confuse, solo accennate, interrotte e riprese, che continuano a svolgersi nel paese terremotato, raccontate in una struttura sfrangiata e intensa insieme, riverbero dello sconcerto della comunità nei mesi di crisi, con l’umanità, tutta femminile, e l’equilibrio di una genuina partecipazione.

[/a]E’ poi sugli schermi "Scoprendo Forrester" di Gus VanSant, regista dai modi di solito anticonvenzionli e sbrigliati, che questa volta invece si affida alle convenzioni di genere in cui procede con sobrietà e quasi classicità, sempre evidenti comunque la mano d’autore e la sua forza creativa. Si tratta della storia dell’amicizia tra il vecchio Forrester (Sean Connery, al suo meglio), scrittore già famoso di un unico grande romanzo, ritiratosi presto a vita solitaria, e il sedicenne Jamal (il promettente Rob Brown), afroamericano povero del Bronx, molto dotato per il basket e più per la scrittura, che trova in Forrester, scostante e misterioso, una guida letteraria e paterna. Il ragazzo otterrà una borsa di studio per una scuola privata di prim’ordine, e la sua vita si svolgerà tra il suo ambiente nero, di cui viene dato un vivo affresco, e il college di Manhattan, dove impara altri modi e intravede altri mondi; mentre la presenza di Forrester, e il rapporto con lui sempre più profondo, lo aiutano a crescere, a conoscersi e a conoscere, a usare al meglio le sue doti naturali.

Quindi racconto di formazione, originale perché a due direzioni, quella del giovane che procede nell’esperienza di mondi e sensazioni nuove, proiettata in avanti, e quella del vecchio che, con lo stimolo dell’autenticità e della lealtà di Jamal, ripercorre a ritroso la propria esistenza, liberando l’animo da nodi che lo tenevano chiuso e aggrovigliato su di sé. Il pericolo di concedere spazi al melodramma, vista la situazione di povertà, differenze sociali, accanimenti competitivi, è sapientemente scansato con i tratti realistici della descrizione ambientale e specie con i toni di un’ironia intelligente, di particolare efficacia nelle battute, scabre e lucenti, scambiate quasi a gara tra i due strani amici.

C’è un altro punto di forza nella narrazione, l’idea di poter spezzare un destino, già segnato dai rapporti impari tra le classi sociali che di fatto in genere non mutano, l’opporsi a questa ineluttabilità conducendolo su altre vie, attraverso la bellissima amicizia tra un anziano e un adolescente, che sanno trovare il modo giusto per comunicare e darsi aiuto reciproco nel superamento di ostacoli e difficoltà, incontrando la vera essenza di sé.

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