Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

A mani nude per la dignità

Khalida Messaoudi, deputata algerina e prima insignita del premio “Langer”, ricorda la tragedia delle donne del suo paese.

Khalida Messaoudi

La lettera dal Sudtirolo viene oggi da più lontano, ma passando in qualche modo da Bolzano. L’autrice infatti è la deputata algerina Khalida Messaoudi (foto a destra), prima insignita del premio "Alexander Langer". Si tratta del discorso che Khalida Messaoudi ha tenuto al Parlamento di Algeri l’8 marzo 2001. Parla delle donne algerine, del loro coraggio, della loro dignità e della loro lotta contro l’integralismo che vuole mantenerle inferiori. Parla di democrazia da un paese in cui chi ne difende i principi rischia la vita. E dei pregiudizi e del silenzio delle democrazie europee, che paiono indifferenti a questa battaglia per dare voce alle escluse, per i diritti umani delle donne di Algeria.

Care amiche buongiorno, auguro a tutte voi un buon Aïd El Kebir e una buona festa della donna; vi auguro tanta forza, tanta energia, auguro la protezione di tutti i santi per il nostro paese e per i nostri figli. Le donne che sono intervenute prima di me hanno parlato dei problemi che si pongono alla donna algerina e sono convinta che tutte le presenti conoscano bene questi problemi.

Nouara Djaâfear [deputata del Rassemblement National Démocratique, n.d.t.] prima di me ha parlato della campagna politica e mediatica contro l’Algeria in corso all’estero.Se me lo permettete, voglio dirvi quello che ho sul cuore rispetto a questa storia, ma anzitutto penso che non bisogna mai dimenticare che sono già dodici anni che le donne algerine hanno scoperto nella loro carne che se il Codice della famiglia le incatena, l’estremismo, l’integralismo, il Fis [Fronte Islamico di Salvezza, n.d.t.] e le sue milizie le frustano, le bruciano, le violentano, le perseguitano, le uccidono.

Non dimentichiamo mai, coltiviamo la memoria, perché chi nutre la memoria detiene le chiavi dell’avvenire; ricordiamo che dal 1989 al 1992 ovunque nel nostro paese delle case di vedove o di donne divorziate erano incendiate, gli studentati femminili subivano un vero coprifuoco a partire dalle 18 da parte delle milizie del Fis e le donne dei quartieri popolari erano sottoposte a pressioni intollerabili; ricordiamo che il Fis era armato di sciabole, di fruste e di catene. In poche parole, il Fis e le sue milizie si proponevano di risolvere con la violenza la schizofrenia che il regime del partito unico aveva cercato di imporci: il Fis aveva dichiarato la democrazia eretica, la volontà popolare contraria alla volontà di dio, lo stato moderno empio e le donne, già minori nei loro diritti privati, avrebbero avuto per il Fis come compito unico e sacro quello di procreare il perfetto integralista di cui lo stato islamico ha bisogno.

Il terrore integralista in Algeria non è cominciato dopo il gennaio ‘92, è cominciato prima, anzitutto sul corpo delle donne e dei militari di leva. Si capirà così che il terrorismo che prenderà di mira l’Algeria, il suo popolo, i suoi beni e le sue istituzioni a partire dal ‘92 non è l’inizio di un fenomeno, ma il compimento di una gestazione mostruosa condotta a termine.

Dal ‘92 al ‘99 e ancora nel 2000 e 2001, le donne algerine hanno patito ogni sorta di violenza da parte dei bracci armati del Fis: sono state abbattute a colpi d’arma da fuoco, sgozzate, decapitate, sventrate, rapite come bottino di guerra e devastate dagli stupri che i gruppi islamisti armati utilizzano nella loro strategia di orrore totale. Decine di migliaia di donne sono state assassinate e più di tremila violentate. La stragrande maggioranza delle donne vittime del terrorismo sono di origine modesta, molto modesta.

Malgrado queste tragiche constatazioni, pensiamo che è proprio in Algeria che la resistenza e il coraggio delle donne suscitano rispetto e meditazione presso tutti i popoli; perché nei momenti più duri del terrorismo, allorché il resto della società era talvolta tentato di cedere allo scoraggiamento e alla disperazione - chi non lo sarebbe stato, e per molto meno? -, queste donne hanno resistito a mani nude con il coraggio della gente semplice. Malgrado le bombe e le auto imbottite di tritolo nei luoghi pubblici, le minacce di morte contro le lavoratrici e le studentesse, esse non hanno mai smesso di lavorare, di studiare, di fare semplicemente la spesa o di inviare i loro figli a scuola, e questo quando sappiamo che i gruppi islamici armati nell’agosto ‘94 vietarono, pena la morte, la scolarizzazione dei bambini e che più di 850 edifici scolastici e universitari sono stati distrutti. In questo modo la normale donna algerina - perché è la normale donna algerina che diventa eroina nel compimento degli atti quotidiani della vita - e le donne in generale diventano simbolo della resistenza al terrore integralista.

Ed è sempre in Algeria che si organizzano le lotte delle donne per i loro diritti e per la democrazia, per cui non abbiamo alcuna lezione da ricevere, né dall’Oriente nè dall’Occidente.

Questa lotta, questa formidabile resistenza al progetto teocratico, le donne algerine l’hanno condotta e l’assumono tuttora nella solitudine e nell’avversità. Abbiamo condotto e conduciamo la nostra lotta da sole, perché ad eccezione di alcune voci in Europa, troppo solitarie esse stesse per non essere soffocate (penso in particolare al giornale Marianne e ad alcuni intellettuali come André Glucksmann e Bernard Henry-Levy), a parte queste voci troppo solitarie, non abbiamo mai visto una campagna degna di questo nome in favore delle donne algerine e della loro lotta simile alle campagne politico-mediatiche in favore del Fis organizzate dai suoi alleati, siano essi intellettuali, giornalisti o militanti politici. Ma dopo tutto, se la sorte delle donne iraniane, delle sudanesi e soprattutto delle afgane, non ha commosso e scioccato abbastanza persone nel mondo cosiddetto libero per meritare delle azioni serie e significative, non c’è alcuna ragione perché la sorte delle algerine sfugga alla regola.

La nostra lotta solitaria si svolge anche nell’avversità. Capiamo come dobbiamo convivere con la nostra solitudine e perché, ma siamo disgustate dall’avversità organizzata contro di noi in Europa e particolarmente in Francia dagli alleati europei del progetto teocratico.

Dal 1995 una coalizione di militanti europei di sinistra ed estrema sinistra tenta di imporci tramite pressioni di ogni tipo quella che chiamano una soluzione "politica" contenuta negli accordi di S. Egidio e che mira in realtà ad imporci il Fis reintroducendolo dalla finestra allorché l’abbiamo sloggiato gettandolo dalla porta principale, ossia ad imporci uno stato teocratico con il suo corteo di sventure programmate per le donne. Siamo ancora più disgustate perché questi stessi militanti di sinistra ed estrema sinistra si sono mobilitati in modo ammirevole contro Le Pen in Francia e Haider in Austria.

Cosa dobbiamo intendere quando sappiamo che il Fis è uguale ad Haider più Le Pen? Siamo tanto più disgustate perché più che di una campagna si tratta di un’autentica guerra mediatico-politica contro di noi e contro il nostro paese, senza che ci siano delle reazioni significative per denunciare l’ingiustizia e l’ignominia dei metodi utilizzati; come dobbiamo intendere che le stesse persone, gli stessi giornalisti, gli stessi intellettuali, gli stessi militanti di sinistra rifiutano il fascismo e i partiti fascisti per l’Europa e li sostengono per l’Algeria? Vuol forse dire che il fascismo è più sopportabile per noi, dalla pelle olivastra, ricciuti e mori come siamo? Siamo disgustate perché si tratta di una guerra contro le donne e contro il progetto democratico in Algeria.

Abbiamo tutte ammirato la giustizia francese quando ha arrestato un capitano torturatore mauretaniano di passaggio all’aeroporto di Orly, anche se non aveva mai dichiarato pubblicamente di aver commesso dei crimini. Abbiamo ammirato questa giustizia e ci siamo dette che giammai un criminale, quale che sia la sua nazionalità, potrà beneficiare di lassismo o di sostegno da parte dello Stato francese. Siamo state ingenue: quando si tratta dell’Algeria - ne abbiamo le prove in questi giorni - la reazione francese è tutt’altra.

Eccoci di fronte ad un individuo che non vorrei nominare , ex sottotenente algerino, radiato dall’ANP [Esercito nazionale popolare, n.d.t.], che passa su tutti i canali televisivi francesi e dichiara al mondo intero su almeno tre canali: "Ho partecipato a dei massacri, ho ucciso, sono pronto a essere giudicato". Di fronte a questa confessione spaventosa non vediamo alcuna reazione degna di nota, ad eccezione di poche voci troppo soffocate. Al contrario, ecco una campagna politico-mediatica animata da giornalisti, intellettuali e altri militanti, mirante a questi obiettivi: 1. discolpare e lavare il Fis e i suoi bracci armati di tutti i loro crimini barbari e mettere in un’immensa botte di varechina il sangue delle innocenti e degli innocenti algerini; 2. una volta discolpato il Fis, trovare un altro colpevole, nel nostro caso l’istituzione repubblicana dell’esercito. E siccome non siamo analfabete e non ci succhiamo più il pollice, sappiamo che quando attaccano l’esercito non è l’esercito in sé che mettono in pericolo veramente - l’esercito è forte -, ma vogliono attaccare le istituzioni algerine, lo Stato algerino, il popolo algerino. Discolpando il Fis e i suoi gruppi armati, colpevolizzando l’istituzione repubblicana dell’ANP, vogliono distruggere i bastioni della repubblica algerina e imporci il Fis, ossia la morte programmata della democrazia e l’instaurazione di una teocrazia le cui fondamenta, lo ripeto, sono la sottomissione, l’oppressione e la negazione delle donne.

Permettetemi, in vostro nome, di dire in modo solenne dalla sede della sovranità popolare: abbiamo degli esempi da seguire, non ci lasceremo sopraffare; se bisognerà morire ancora perché il nostro paese sia la prima terra d’Islam a partorire la democrazia, ebbene moriremo.

Insieme lanciamo un grido e diciamo alla Francia: o Francia, terra di diritto, giustizia francese, salva il tuo onore. C’è ancora almeno una procura, c’è ancora almeno un procuratore a Parigi per giudicare un criminale che dice pubblicamente al mondo intero: "Ho ucciso"? Non per noi: diciamo semplicemente alla Francia di salvare il suo onore.