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QT n. 9, 5 maggio 2001 Servizi

Faccia a faccia Kessler-Gubert

Dibattito tra Giovanni Kessler (Ulivo-Ds) e Renzo Gubert (Casa delle LIbertà-Cdu). Temi: meno tasse e meno Stato sociale? Pubblico o privato? “Fuori dalle balle” gli immigrati?

Giovanni Kessler e Renzo Gubert

Centro-destra e centro-sinistra come si atteggiano nei confronti della crisi dello Stato sociale?

Kessler: Il centro-sinistra vuol mantenere questo modello di Welfare; certo che le esigenze crescono e lo Stato, da solo, non può provvedere a tutti i bisogni. Quindi, accanto al sostanziale mantenimento del modello, bisogna puntare sulla sussidiarietà, cioè sul privato sociale. Lo stesso per le pensioni: anche qui bisogna puntare su un sistema misto, dove lo Stato garantisca certe prestazioni, e chi poi vuole qualcosa di più possa averlo tramite i fondi, o un sistema misto.

Gubert: Lo Stato sociale è una grande conquista del movimento operaio e cattolico e noi non intendiamo distruggerlo. Si poteva pensarlo nel ’94, quando Berlusconi appariva molto più liberista, non oggi. Per il resto, mi trovo vicino a quanto dice Kessler: lo Stato non può rispondere in toto ai bisogni delle persone, quindi occorre mobilitare altre risorse, senza però smontare la rete di garanzie che abbiamo. La differenza fra noi sta in questo: per la sinistra è lo Stato che autorizza il privato a occuparsi di assistenza, mentre noi crediamo che l’iniziativa possa partire dal basso, sia pure all’interno di un quadro di garanzie fornito dallo Stato.

Kessler: Quello che non mi convince nei vostri programmi è l’idea del bonus (per la sanità, la scuola...), secondo cui ai cittadini viene dato un contributo con cui, sul libero mercato, cercano una soluzione alle proprie necessità. Si dice che così c’è più efficienza: ma un’efficienza imprenditoriale. Le assicurazioni non sono opere benefiche: il loro obiettivo è il profitto, non il benessere dei cittadini.

Gubert: Io non intendo il bonus come un contributo, ma come un diritto per decidere dove farmi curare, dove mandare a scuola i figli. La struttura pubblica rimane, ma deve confrontarsi con la libertà dei cittadini. Questa non è una logica all’americana...

Kessler: Sulla sanità, grosso modo, siamo d’accordo. Sulla scuola no: per me la logica del bonus ha un significato particolarmente negativo. Mettere la scuola pubblica sul piano di qualunque altro tipo di scuola volesse nascere è inaccettabile: la scuola pubblica è fondamentale come luogo dove, in un contesto pluralista, si creano i cittadini, dove si educano i giovani non a questa o a quella ideologia o religione. In quel modo si rischia la balcanizzazione del sistema, con scuole cattoliche, leghiste, islamiche, steineriane... tutte pagate con denaro pubblico.

Gubert: Lo Stato deve pretendere da ogni scuola il rispetto di certi requisiti educativi. Ciò detto, la responsabilità dell’educazione dei figli è anzitutto dei genitori, che però oggi non possono espletare pienamente questa funzione. Se mio figlio ha un insegnante che sparla della religione cattolica, non ho nessuno strumento per chiedergli conto del suo progetto educativo.

Gubert, facciamo il caso del ragazzo che in casa sente sempre parlar male del cattolicesimo: e secondo il vostro schema, i genitori lo mandano ad una scuola privata ispirata all’ateismo. Risultato: addio pluralismo... Il bello della scuola pubblica è proprio questo: vi convivono opinioni differenti, tra loro e da quelle dei genitori...

Gubert: L’acquisizione di uno spirito critico è fondamentale: non vogliamo l’indottrinamento. Ma c’è anche il problema del radicamento in una prospettiva culturale. Non posso eliminare dalla scuola i valori etici in nome dell’uguaglianza! E poi è una questione di efficienza: nella scuola pubblica, quando ti capita l’insegnante incapace, non puoi allontanarlo.

Kessler: Io credo in un sistema misto, come di fatto c’è in Trentino, con una presenza privata che ha dei riconoscimenti dall’ente pubblico. E che, pur dentro una sua proposta educativa, garantisce degli standard qualitativi e si caratterizza come scuola di tutti, nei programmi come nel modo di insegnare.

Berlusconi dice che bisogna tagliare le tasse. Questo non significa necessariamente forti tagli allo Stato sociale? Così è successo un po’ dappertutto: negli Usa con Reagan come in Inghilterra con la Thatcher...

Gubert: L’Italia spende, in spesa sociale, meno della media europea. Noi, lungi dal voler tagliare queste spese, vogliamo aumentarle. Diminuire le aliquote fiscali non significa diminuire le entrate. Con aliquote più basse, l’evasione diminuisce e le entrate complessive aumentano. Anche l’Ulivo, del resto, in un paio di occasioni si è mosso in questa logica. E’ vero, il centro-destra in Europa ha tagliato lo Stato sociale, ma questo non rientra nei nostri programmi. Forse è quello che intendeva fare Berlusconi nel ’94, ma il Berlusconi del 2001 ha cambiato rotta: oggi si ispira alla CDU tedesca, è entrato nel Partito Popolare Europeo, insomma ha un approccio diverso.

Kessler: L’Ulivo ha restituito i benefici fiscali della lotta all’evasione. Berlusconi vuol fare qualcos’altro: diminuire radicalmente le tasse, soprattutto per i redditi alti, sperando che più gente pagherà, l’economia si rilancerà e il fisco finirà per guadagnarci. Ma questo è giocare a poker col Paese.

Gubert: Certo che ci vuole prudenza. Ma questo meccanismo lo stesso Ulivo l’ha applicato almeno in un paio di occasioni: con la rottamazione e con la detrazione fiscale sulle ristrutturazioni edilizie. Il principio è lo stesso: concedere subito dei benefici economici confidando che questo incentivi l’economia e accresca le entrate. Ed è andata così. Perché la stessa ricetta, applicata da Berlusconi, non dovrebbe funzionare?

Kessler: Perchè quelli erano provvedimenti mirati.

Veniamo a un tema particolarmente dibattuto, l’immigrazione.

Gubert: Proporre una società multietnica senza le opportune gradualità e un adeguato governo del fenomeno può innescare dei problemi di convivenza. I processi di mescolanza etnica, quando sono veloci - ed è il nostro caso - alimentano reazioni negative, pregiudizi, discriminazione…

Ma c’è chi sul pregiudizio cerca di costruire le proprie fortune politiche, e mi riferisco ai suoi alleati della Lega.

Gubert: Sarà anche così; ma se il centro-sinistra è stato scarsamente capace di affrontare il problema, è ovvio che qualcuno polemizzi e proponga soluzioni diverse. Tornando al tema, io credo che, così come c’è un problema di sostenibilità ecologica dello sviluppo, c’è anche un problema di sostenibilità sociale della mescolanza etnica. Un politico saggio deve predisporre le condizioni affinché si possa convivere in modo pacifico. Non posso, in nome di un valore che considero superiore - la fratellanza umana - impedire alla società di vivere in pace.

Kessler: Certo che il fenomeno va governato, certo che c’è un problema di sostenibilità, e non solo sociale, anche di strutture. L’Ulivo, con la legge Turco-Napolitano, ha fissato le quote annue di permessi di lavoro (che secondo me sono troppo basse) e previsto l’espulsione dei clandestini. Una legge tutt’altro che permissiva. Poi si è lavorato in collaborazione con i Paesi d’origine, sia per aiutare uno sviluppo che freni l’emigrazione, sia per contrastare la clandestinità. Pensiamo all’Albania: nel ’97 era al collasso, immersa nell’anarchia, e avevamo lo stadio di Bari pieno di albanesi. In questi anni i governi dell’Ulivo hanno lavorato bene proprio in Albania, dove si sono create prospettive di sviluppo e forme di collaborazione con la polizia e la giustizia locali. Risultato: da lì ci arriva un decimo delle persone che arrivavano pochi anni fa. E poi sono stati fatti accordi di riammissione con altri 5 Paesi, il che è fondamentale, perché altrimenti i clandestini non li manda via neanche Bossi. Detto questo, vorrei proprio sapere cosa di diverso farebbe il centro-destra. Il vostro messaggio agli elettori mi sembra che sia: votate per noi che mandiamo fuori dalle balle i clandestini; l’ha detto Bossi, l’ha ripetuto Fontan testualmente… Questo è spacciare droga politica.

Gubert: Vogliamo una società di uguali, o divisa fra italiani padroni e immigrati servitori malpagati? Se destiniamo una forte quota del reddito nazionale allo sviluppo del terzo mondo, saranno di meno gli stranieri che vorranno emigrare. Retribuiamo i lavori manuali in maniera più dignitosa e anche gli italiani saranno disposti a fare questi lavori. Con la disoccupazione che c’è al Sud… Non può essere una prospettiva immediata, ma la direzione di marcia dev’essere questa. Infine c’è il problema del decremento demografico, provocato, fin dagli anni ’70, da una dissennata politica che penalizza chi fa figli.

La legge Turco-Napolitano non è delle peggiori, ma la sua applicazione ha dato questo risultato: l’Italia ha il più alto tasso di aumento degli immigrati e la più alta percentuale di clandestini. Perché alla frontiera di Gorizia, che è un colabrodo, non si è più severi nei controlli? Perché non si manda più personale? Perché c’è un’ideologia favorevole alla multiculturalità…

Kessler: Anche se mandi tremila alpini non risolvi niente. Conta di più fare un accordo con la Serbia perché pretenda il visto di ingresso nel paese per i cinesi. Voi sarete anche bravi a mandarli indietro: ma se indietro non te li prendono?

Lei, Gubert, ispirandosi a quanto detto dal card. Biffi, sostiene che l’Italia dovrebbe privilegiare, nel fissare le quote di immigrati, quelli di religione cristiana…

Gubert: Il maggior fattore di conflitto è la distanza culturale fra le persone. Perché non tenerne conto aiutando di più chi ci è culturalmente più vicino?