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QT n. 16, 29 settembre 2001 Servizi

Così nasce l’integralismo

Intervista alla dott. Erminia Camassa, docente di Diritto ecclesiastico all’Università di Trento.

Con la dott.ssa Erminia Camassa, docente di Diritto ecclesiastico alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Trento, parliamo delle differenziazioni tra moderati e integralisti all’interno del mondo islamico.

Indubbiamente - ci dice - da sempre esistono nell’Islam diverse scuole di pensiero, che si differenziano nelle interpretazioni del Corano. E queste differenze da una parte si ripercuotono nei vari Stati; dall’altra sono oggetto pure delle scelte individuali: c’è chi pratica un’osservanza molto stretta delle norme religiose, chi invece aderisce alla religione in maniera puramente formale.

Dove passa il discrimine tra governi moderati e integralisti? Nell’approccio politico più o meno filo-occidentale? Nel favorire oppure nell’opporsi all’occidentalizzazione della società?

Io vedrei un’altra distinzione: moderati sono quei governi che distinguono tra norma statale e norma religiosa (soprattutto Marocco, Tunisia, in parte Egitto); integralisti invece coloro che ritengono che sia la norma religiosa a dover regolare ogni aspetto della vita dello Stato. Allora non c’è più distinzione tra potere religioso e potere civile: giudice diventa chi interpreta la norma religiosa.

E questo modello è adeguato all’oggi? Vediamo i non esaltanti risultati dei Talebani e dell’Iran khomeinista. E sul fronte cattolico, a suo tempo, anche del nostro Stato pontificio, uno fra i peggiori nell’Europa dell’800…

Questo dipende dal livello di condivisione: se c’è una popolazione che appoggia questa visione dello Stato, il meccanismo può funzionare. E’ stato il caso del primo periodo del khomeinismo.

Che non a caso, però, non è durato a lungo. Oggi la popolazione sostiene Khatami, che propugna una visione più aperta. Non è che la società rigidamente islamica, nel 2000 non funzioni?

Diciamo che in Iran si è verificata questa dinamica: lo scià aveva avviato un rapido, traumatico processo di occidentalizzazione, contro il quale si è abbattuta la rivoluzione khomeinista. Che però non ha del tutto sradicato la cultura della modernizzazione, che ora sta riemergendo, con un consistente appoggio popolare.

In quale misura certe posizioni estreme dipendono effettivamente da quel che c’è scritto nel Corano?

I talebani, che vietano alle donne di studiare e di lavorare ed impongono loro un abbigliamento così coperto, propongono tutto questo come un valore trasmesso dal Corano, ma in realtà danno un’interpretazione assolutamente arbitraria del loro libro sacro. Il Corano, individua sì per la donna un ruolo diverso da quello dell’uomo, ma non a tal punto subalterno. Lo stesso discorso vale per certe pratiche di mutilazione sessuale, come l’infibulaziuone, di cui nel Corano non c’è traccia, e che del resto troviamo praticate anche presso popolazioni di diversa religione.

Il ruolo della donna islamica varia notevolmente nei diversi tipi di società: in Marocco le donne possono studiare; in Algeria già la cosa diventa problematica, perché c’è una frangia di movimenti integralisti che tenta di ostacolare l’istruzione femminile. All’interno del mondo islamico, insomma, esistono diverse anime.

Il problema è prodotto, o acuito, dall’irrompere in questo mondo della globalizzazione, dell’influenza occidentale?

L’integralismo è il voler re-islamizzare a tutti i costi la società, è la paura di occidentalizzarsi, di vedere i propri valori sostituiti da quelli dell’occidente. Nasce come reazione al cambiamento della società.

Come si configura la situazione delle comunità islamiche in Italia?

Esistono almeno quattro associazioni, e questo conferma che gli islamici non si riconoscono tutti nella stessa rappresentanza. Questa frammentazione, dovuta a problemi interpretativi di tipo religioso, o a collegamenti con i diversi stati di appartenenza, rende però difficile un accordo con lo Stato italiano, che richiede un solo interlocutore per giungere ad intese che prevedano, ad esempio, i finanziamenti attraverso l’8 per mille.

Secondo lei, esiste in Italia un pericolo integralista da parte degli immigrati?

Da noi, durante la prima fase del fenomeno migratorio, l’immigrato, trovandosi in una fase di emergenza, non avanzava particolari rivendicazioni dal punto di vista confessionale. Quando a poco a poco il progetto migratorio si è consolidato, e la persona magari prendeva la decisione di rimanere in Italia, allora è subentrato un atteggiamento rivendicativo, anche sul piano religioso. Ma queste richieste (la moschea, la scuola coranica...) sono arrivate quando il progetto migratorio ha assunto una dimensione non più individuale, ma famigliare; i figli dell’immigrato, giunti in Italia, hanno cominciato ad assorbire i nostri valori, il che ha spaventato i genitori, timorosi che i figli perdessero la loro identità originaria.

Ma nonostante questo legame, è difficile credere che gli immigrati italiani possano diventare fondamentalisti; la maggior parte dei "nostri" musulmani infatti sono albanesi che, pur appartenendo alla comunità islamica, sono però molto secolarizzati. Quanto ai maghrebini, provengono soprattutto da paesi (la Tunisia, il Marocco...) che non hanno un Islam molto "spinto". Anche se, per la verità, la moschea di Milano a suo tempo promosse una forma di arruolamento volontario per chi volesse andare a combattere in Bosnia. Ma era una situazione ben diversa da quella attuale...