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Lotta al terrorismo sì, predominio di un sistema no

Piergiorgio Comai

Un piano terroristico orrendo, devastante ed impensabile per la ferocia e insensibilità umana dimostrata da chi lo ha messo in atto, ha mostrato al mondo incredulo i suoi cinici e disastrosi effetti. Chi crede nella non violenza non può comprendere e tanto meno giustificare un evento smisuratamente barbaro, capisce che bisogna punire i colpevoli e predisporre le difese affinché il terrorismo non abbia spazio nella società.

Serve predisporre piani di intelligence e preparare reparti operativi competenti e, possibilmente, curare l’interconnessione anche fra stati di impari potenza e con differenze di cultura e scelta di indirizzo politico.

Accanto a ciò, per togliere di mezzo l’accondiscendenza e l’istintiva comprensione di un terrorismo che tenta di richiamarsi alla rabbia di chi si sente dimenticato e oppresso, serve molto più una reale solidarietà e attenzione ai gravi problemi di bisogni materiali delle popolazioni del mondo, e grande rispetto delle diversità culturali.

La Chiesa italiana ha espresso questi concetti, secondo una mia lettura delle dichiarazioni recenti, ed il papa continua a ripetere che la guerra non risolve i rapporti fra i popoli. La possibilità di vindice giustizia indirizzata agli “stati canaglia” è facile per chi ha predominanza nel mondo e viene incontro ad una richiesta istintiva di punizione esemplare che sale da ampi strati della popolazione americana, colpita direttamente, e dal mondo intero. La frase secca “con noi o contro di noi”, non precisata nei limiti da assegnare a tale scelta di campo, sembra quasi un ricatto, anche se è da intendere come condanna senza appello al terrorismo. Va bene unirsi per evitare il terrorismo con azioni concrete immediate e misure preventive, anzi essere uniti e convergenti il più possibile, ma poi ogni stato, ed ancor più ogni cittadino, deve sentirsi libero nell’esprimere e nel valutare e proporre le opzioni politiche nei rapporti con i grandi problemi della povertà nel mondo e sul tipo di sviluppo economico che si aspetta per il futuro, per le persone che verranno dopo di noi.

La lotta al terrorismo non dovrebbe essere usata per affermare il predominio di una cultura, di un sistema economico sugli altri. I vari gruppi di “combattenti per la libertà” che ci è capitato di vedere all’opera nel passato non mi sono piaciuti, e mi auguro che non siano ancora date armi per combattere il “male” contro il terrorismo e contro i mercanti di armi (dopo tanto parlare di bando alle armi nucleari, ora, si viene a sapere che c’è anche l’atomica da portare nello zainetto). Più che di male o di bene - valori che fanno presa sulla coscienza semplice di moltissime persone - spesso si tratta di interessi e convenienze personali.

Ciò non toglie che il terrorismo sia senz’altro un male immenso, e su questo piano tutti siamo chiamati a fare la nostra parte. Si rimane perplessi al vedere come un invito del Papa e della Chiesa alla moderazione massima sia visto e diffuso nei media come un’approvazione della Chiesa ai forti rumori di guerra di questi giorni. E come effetti collaterali di questa “lotta contro il male” si vedono nuovi esodi di massa, si sente la richiesta di interventi straordinari delle organizzazioni umanitarie che si occupano più di persone che di regimi.