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Israele è razzista?

Infondata, da un punto di vista giuridico, l'accusa di razzista allo stato di Israele. Che invece è uno stato oppressore e a democrazia limitata.

Israele è razzista? Senza il punto interrogativo l’accusa è sta ta pronunciata alla conferenza di Durban nelle settimane scorse, e non si è concretizzata in un documento ufficiale per l’opposizione di alcuni paesi e per il ritiro delle delegazioni di Israele e degli Stati Uniti.

Con questo manifesto, l’esercito clandestino che lottava per la costituzione dello Stato d’Israele, noto, come Haganà, faceva propaganda per l’arruolamento di volontari e la raccolta di fondi.

In effetti a me pare che l’accusa non abbia fondamento. Io ho sempre sostenuto la causa dei Palestinesi e sono stato e sono molto critico verso la politica dello Stato di Israele, che da decenni si rifiuta di rispettare le risoluzioni dell’ONU, di cui fa parte. Tuttavia questa volta debbo difendere Israele da un’accusa ingiusta e strumentale. Non c’è razzismo senza la teoria delle razze, alcune ritenute superiori e altre inferiori. Tipico è il razzismo nazista, secondo cui la tedesca era la razza eletta, destinata a dominare il mondo, a schiavizzare le altre e addirittura a sterminare gli Ebrei. Nel sionismo, che è alla radice dello Stato di Israele, non vi è alcun elemento che possa anche lontanamente apparentarlo col nazismo. E’ vero che gli Ebrei si ritengono il popolo eletto, ma la convinzione non ha connotazioni biologiche ma solo religiose.

L’accusa di razzismo è doppiamente sbagliata perché nasconde la vera caratteristica di Israele, che è quella di essere uno Stato oppressore e a democrazia limitata. In Israele il diritto di partecipare alla vita politica di un cittadino che a termini di legge viene classificato come non ebreo (cioè arabo) è formalmente uguale a quella di un cittadino definito per legge come ebreo. Analogamente la loro posizione è uguale di fronte alla legge dei tribunali. Ciò è indubbiamente democratico. Invece nei confronti dei servizi sociali e di welfare e delle risorse materiali i diritti degli ebrei e dei non ebrei non sono uguali. Ciò non è democratico. Assolutamente inaccettabile infine è che ai 750.000 profughi dalla Palestina e ai loro discendenti sia stata tolta la cittadinanza e quindi il diritto al ritorno in Patria.

L’attuale Stato di Israele è molto diverso da quello sognato dai padri fondatori e ha subìto nel corso degli anni un processo di degenerazione, che si è accelerato a partire dal 1967 con l’occupazione militare dei territori assegnati ai Palestinesi dalla risoluzione dell’ONU del 29 novembre 1947 n° 181. Da allora Israele conduce una politica nazionalista, espansiva, iniqua verso i Palestinesi di cui opprime i diritti elementari, e ai quali nega ciò che tutto il mondo riconosce e che è sancito nelle risoluzioni dell’ONU.

Con la risoluzione n°242 del 22 novembre 1967 il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha deciso all’unanimità (compresi quindi gli Stati Uniti): 1. il ritiro immediato delle forze armate israeliane dai territori occupati; 2. il riconoscimento della sovranità e dell’indipendenza politica di ciascuno Stato della regione medio-orientale.

Da oltre trent’anni Israele è inadempiente: non ha ritirato il suo esercito, non ha riconosciuto la sovranità della Palestina. Non per razzismo, ma perché ha perseguito una politica oppressiva.

Molti israeliani si rendono conto che bisogna voltare pagina e tornare nell’alveo del diritto e della ragione. Rabin lo aveva capito e aveva compiuto grandi passi verso la pace. Con Sharon invece la forza e la prepotenza si sono sostituite al diritto e il conflitto, sempre più sanguinoso, sembra senza via d’uscita.

Una pesante responsabilità pesa anche sui Palestinesi che, pur essendo le vittime, non sono legittimati a usare il terrorismo che uccide civili innocenti, compresi i bambini ebrei: pratica inaccettabile, anche quando viene da un minoranza disperata.

Come fermare il massacro? Il buon senso dice che bisogna dividere i contendenti. Occorre la presenza immediata di una forza militare credibile che impedisca alle parti di scontrarsi e di scannarsi. Toccherebbe all’ONU, che non può limitarsi a produrre documenti che restano pezzi di carta. Ma se l’ONU per l’opposizione di Israele non è capace di imporsi, ci provi l’Europa, che non può essere solo la madre della moneta unica ma deve farsi paladina di ogni causa giusta. Il compito urgente e ineludibile del momento è impedire gli scontri, fermare il sangue, ristabilire una tregua.

Una volta divisi i contendenti, separati i protagonisti della seconda intifada dall’esercito israeliano, che deve rientrare nei suoi tenitori, si potrà incominciare ad applicare le risoluzioni dell’ONU.

L’Italia e l’Europa possono svolgere un grande ruolo, anche dichiarando di essere pronte a riconoscere lo Stato palestinese non appena verrà proclamato, facendo così scattare i meccanismi di protezione internazionale. Credo che sarebbe un grande deterrente per lo Stato d’Israele.