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QT n. 20, 24 novembre 2001 Monitor

Beuys: fotografie su un artista sciamano

Mostra su Joseph Beuys al Mart: ma è solo una testimonianza fotografica.

"Io penso comunque con i piedi", pare abbia detto un giorno Joseph Beuys. In questa che sembra una battuta, sta una chiave di lettura, non l’ultima, del suo modo di praticare e proporre l’arte, una forma di concettualismo in cui la componente intellettuale non viene mai messa in gioco separatamente da quella che potrebbe chiamarsi una coscienza sensoriale.

A questa figura d’artista, centrale ed emblematica, è dedicata a palazzo delle Albere, fino al 6 gennaio, una mostra fotografica (si tratta di 100 fotografie della collezione di Lucrezia De Dominicis scattate da Buby Durini) che documenta l’operazione denominata "Difesa della Natura", svoltasi nell’arco di vari anni fin quasi alla scomparsa di Beuys, avvenuta nel 1986 a 65 anni.

Lo scenario di questa esperienza sono le campagne d’Abruzzo di proprietà della De Dominicis, baronessa e mecenate che collaborò strettamente e lungamente con lui, e si definisce oggi "militante del pensiero beuysiano". Il ponderoso catalogo che accompagna la mostra è appunto curato da lei - con vari contributi - e porta per intero l’impronta di questa dedizione devota, che qualche volta somiglia a una fede.

Beuys si proponeva del resto come artista-sciamano, attraverso le sue azioni e la sua fondamentale presenza fisica intendeva essere una sorta di tramite con quella che lui sentiva come l’intelligenza cosmica, entro una visione panteista di chiara ascendenza romantica. Per capire meglio il senso delle sue azioni bisogna rifarsi ad alcuni eventi decisivi della sua biografia. Durante la seconda guerra mondiale, appena ventenne, era pilota dell’aviazione tedesca; cadde col suo aereo e fu quasi miracolosamente salvato da una tribù di tartari che lo trovò, dopo ore, incosciente nella neve: lo coprirono di grasso e coperte di feltro.

"Certamente - dirà Beuys, il redivivo - gli incidenti di guerra produssero un effetto ritardato su di me, ma qualcosa doveva pure morire (...) dovetti riorganizzarmi completamente nella mia costituzione; mi ero tirato dietro un corpo per troppo tempo (...) Le cose che avevo dentro dovevavo essere tutte estirpate; doveva aver luogo un cambiamento fisico in me, in cui vecchie esperienze e fasi di pensiero vengono abbandonate. Certamente molti uomini non provano mai questa fase di riorganizzazione, ma quando uno ci si trova in mezzo, molto di quello che poco prima appariva poco o solo vagamente chiaro, acquisisce una direzione del tutto plausibile".

Quei due elementi, grasso e feltro, torneranno in vario modo nelle sue opere, e sono sì un dato autobiografico ma capace di entrare a far parte, con vari altri elementi, di operazioni che non hanno una valenza di ricerca formale bensì di coivolgimento sensoriale e mentale in una più ampia e profonda esperienza creativa e vitale. Gli originari interessi scientifici di Beuys sono andati fondendosi con una visione molto vicina alla teosofia di Rudolf Steiner.

Come nei riti sciamanici, non sempre gli oggetti coinvolti offrono una comprensibilità razionale diretta, il loro senso si dipana e manifesta con gli strumenti di una sensibilità non sopraffatta dalla ragione analitica. Così fu quando introdusse nelle sue famose performances una lepre morta, o quando collocò un telefono accanto a un piccolo cumulo di terra.

Naturalmente, è spontaneo chiedersi che cosa rimane di un’arte sciamanica, in assenza dello sciamano. Una cosa sono gli oggetti che egli ci ha lasciato quasi come reperto delle sue azioni (pensiamo al pianoforte ricoperto di feltro; ai blocchi di pietra intrisi di olio di oliva , e a moltissimi altri) che trattengono comunque una particolare forza evocativa ancorata al piano sensoriale. Diverso è il caso della mostra di oggi, che rimane una semplice testimonianza fotografica del suo modo di comunicare, ancorché nata e voluta direttamente da lui.