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Trentino: chi ferma l’assalto alla diligenza?

C'era chi aveva un sogno: che il congresso dei Ds dicesse una parola chiara contro il clientelismo e il prevalere di interessi lobbystici nella politica provinciale. Invece niente di tutto questo: solo un vuoto parlare di nuove e improbabili sigle.

Abbiamo vissuto il settembre nero planetario con il terrorismo e la guerra, i segni sempre più evidenti di un governo lobbistico che gestisce Parlamento e paese come fossero cosa propria e in contemporanea la crisi, grigia e deprimente della regione e del piccolo Trentino. Una coincidenza che avrebbe dovuto produrre, qui, una straordinaria impennata d’orgoglio e di passione della politica. Ma questo non è accaduto, anzi.

C’è, infatti, un’evidente sfasatura tra i segni di vivacità culturale e di tensione ideale che si esprimono in Trentino e che dal Trentino partono, e i luoghi della politica.

Centinaia e centinaia di persone a Genova in luglio, ad Assisi ad ottobre (sedici pullman per la marcia della pace di Perugia, a fronte dei due per la telemanifestazione romana di Berlusconi e Ferrara), un impegno pressoché permanente sui temi della pace e della guerra, giovani che esprimono e che in ogni caso avvertono una stagione nuova. Con i problemi che incalzano, secondo un percorso già segnato sin dai primi sintomi di rinuncia alle ragioni della politica da parte di chi la esprime a livello di governo e di istituzioni pubbliche.

Il prevalere sempre più esplicito degli interessi di gruppi, lobby e consorterie che in mancanza di un disegno generale rivendicano e ricevono porzioni di bilancio e pezzi pregiati di territorio.

Questo accade in Trentino da oriente a occidente: basta collocare su una carta fisica della provincia le richieste di impiantisti e imprenditori per avere la rappresentazione d’insieme di quel che ci sta capitando. Zone a rischio che diventano aree sciabili in val di Pejo, altre a rischio idrogeologico che presto o tardi saranno liberalizzate a Daolasa, aree sacrificate a nuovi impianti che banalizzano il parco fra Pinzolo e Campiglio, aree sciabili nella zona integrale del parco di Paneveggio, aggiunte a quelle già concesse nella zona naturalistica della Val Jumela. E soldi, continuamente soldi, dal Bondone al Brocon, per tenere in piedi un settore che ha raggiunto il suo apice e non riesce a trovare il modo per superare la crisi se non ripetendo e dilatando se stesso.

L’estrazione del porfido rimane un mondo dove la cronaca quotidiana ci parla di inchieste, interventi, necessità di controlli e ripristino di guasti provocati in decenni di interventi selvaggi, zone divenute a rischio monitorate, ma con il rischio non rimosso.

E tutto questo in un collasso dei sistemi di partecipazione e controllo democratico che non ha precedenti. I piani regolatori sono, per le incompatibilità diffuse, quasi ovunque approvati dai commissari ad acta, i piani cave hanno la stessa sorte.

Democrazia e ambiente sono irrisi, quando a distanza di due anni dal referendum popolare che aveva espresso una volontà contraria, si ripropone il campo da golf nel biotopo delle Marocche di Dro; l’insulto all’arte e alla storia si consuma quando si realizza un convitto in faccia al convento degli agostiniani a San Michele. Un campionario di esempi dal vivo che sembra confermare l’amara analisi dell’ultimo Giorgio Bocca nel suo "Il dio denaro".

I consigli comunali di moltissimi comuni, soprattutto quelli dove più forti sono gli interessi in gioco, sono assenti, paralizzati o esprimono la linea esclusiva di uno sviluppo ripetitivo e onnivoro di risorse ambientali

"Clientelare", ha definito il deputato dell’Ulivo Giovanni Kessler, un siffatto modo di gestire la cosa pubblica.

Quando premono gli interessi forti, si rendono esangui gli strumenti di democrazia, si rende grottesca agli occhi del popolo la liturgia delle crisi e dei rimpasti, è inevitabile che l’ultimo tentativo di sopravvivenza sia quello di utilizzare la risorsa pubblica e i mille rivoli della sua rappresentanza solo per tentare di garantire se stessi.

Questo procedere piccino, piccino della politica in Trentino è avvenuto con tale evidenza che lo stesso presidente della giunta si è sentito in dovere di chieder pubblicamente scusa per quel che aveva contribuito a combinare.

L’autocritica è durata un attimo, perché poi la musica è continuata sugli spartiti di prima.

Tutto questo mentre sullo scenario regionale sono riaffiorati i grandi temi che hanno reso fertile e contraddittoria ad un tempo l’esperienza della Regione Trentino-Alto Adige: il censimento etnico, la toponomastica, la ferita sempre aperta dei simboli e dei nomi fascisti collocati nella città di Bolzano e coraggiosamente messi in discussione dalla giunta comunale di Bolzano. E aperta rimane la questione del nuovo statuto, dei diritti per i nuovi cittadini che qui sono ormai regolarmente da anni e che lavorano e producono per l’interesse di tutti.

Perché tutto il mondo, e quindi anche il nostro piccolo mondo cambi, anche noi avevamo fatto un sogno: che il congresso di un partito riformista, socialdemocratico, moderno, che guarda al futuro coniugando meriti e bisogni, innovazione e tutela dei segni della storia e dell’ambiente, su tutto questo si esprimesse con voce ferma e netta, delineando una politica, alleanze sociali, un itinerario possibile per uscire dalla palude.

Nel congresso dei DS in Trentino questo sogno non si è avverato.

La politica si è affacciata prepotentemente nella sala della Cooperazione quando si è discusso di pace e di guerra, coinvolgendo ragioni, cuore e passione, ed è stata buona cosa. Ma sul resto nulla, o il poco detto in un linguaggio notarile di chi si accontenta di poche ambizioni, giustifica il passato e traccia un futuro di nuove sigle che hanno perso smalto e capacità di presa su quel mondo nuovo che anela alla politica senza trovarla, e su quanti la vivono fin da tempi lontani, ma non trovano gli spazi per l’impegno concreto che vada oltre la testimonianza o il voto.

Si diceva un tempo che "le idee non organizzate restano opinioni". Coniugare gli orizzonti planetari con la lotta ad un governo nazionale che trascina il paese nel grottesco internazionale e che non manca di utilizzare un giorno per sistemare i conti aperti dei suoi adepti con lo Stato di diritto; ridare dignità e valore alla politica: qui, in regione e nel Trentino, le idee per far questo ci sono.

E affinché non restino solo opinioni, sarà inevitabile che, se non possono essere organizzate nei luoghi a questo deputati, trovino altrove spazio alle loro ragioni.