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QT n. 10, 18 maggio 2002 Monitor

“Terre di confine”: ma che bel festival!

Musica straordinaria, capacità di innovare ed emozionare. Bilancio eccellente del festival tenuto al Palazzetto dello sport di Trento con: Circo Fantasma, Banda do Pelò, Acquaragia Drom, Cankisou, Persiana Jones, Verdena, Smashing Pumpkins, Nuove Tribù Zulu, Balkanija, Roy Paci, Vallanzaska, Quattrocentocolpi, Derozer, Porno Riviste e Mercedes Sosa.

Vlorrei dirlo con tutta la sincerità e semplicità possibile: "Terre di confine" è stato musicalmente un bellissimo festival; dimostrazione (tra l’altro) che l’Italia è ricca di musica fantastica suonata da performers straordinari capaci di portare suggestioni ed emozioni da tutta la penisola ed oltre, coinvolgendo visceralmente il pubblico. Una musica che non passa sui tanti (e tutti uguali) network radiotelevisivi, che non ha promozioni discografiche, che non arriva alle classifiche di vendita, ma che si muove in un suo mondo di indipendenza ed autoproduzione discografica, di concerti dal vivo in contesti particolari e si diffonde con il passaparola di chi certe formazioni le ha già viste in concerto in precedenza ed ha potuto verificare direttamente la capacità comunicativa e coinvolgente. Insomma gente intelligente, brava, e rodata.

"Porno Riviste".

Venerdì 10 maggio. Bravi i ragazzi milanesi dei Circo Fantasma. Nell’atmosfera ancora fredda e semivuota del palazzatto di pomeriggio hanno portato un rock interessante, eseguito con molta passione.

Banda do Pelò sono i colori e i ritmi delle percussioni di Bahia. Energia ed atmosfera, manca il pubblico. La formazione si è poi rifatta il giorno dopo con un corteo sonoro per le strade della città che ha coinvolto alcune centinaia di persone.

E arriviamo agli Acquaragia Drom, un quintetto di fisarmonica, chitarra, percussioni, fiati, violino e voce che dal meridione d’Italia hanno portato suoni zingari di tutto il Bacino del Mediterraneo, i Balcani e oltre. Io sono un rockettaro inveterato, non ho mai tanto amato la World Music, alle tarantelle ho sempre preferito le tagliatelle. Ma anche qui, confesso: i ragazzi sono stati grandi. Bravissimi, non so che dire, non me lo spiego, hanno vinto tutti i miei preconcetti e mi hanno emozionato. Ancora un po’ e mi ritrovavo a roteare sotto il palco con il pubblico entusiasta. Interessanti anche i Cankisou che su una base elettronic-rock inseriscono un etno-raga-cantato. Insomma una cosa strana, ma come ho detto interessante e con un frontman di "peso" e decisamente magnetico. Quindi i Persiana Jones collaudatissima e conosciutissima formazione di ska-rock, che non ha dato tregua ad un, finalmente consistente, pubblico composto in gran parte di adolescenti-studenti-medi.

A chiudere la serata live i Verdena, trio di giovanissimi rocker italiani. Impressionanti. Lo so, sono enfatico, fra un po’ esaurisco aggettivi qualificativi positivi e superlativi assoluti. Ma è così, fidatevi. In tre: potenza di armonia a furore. Atmosfere liquide come fluidi rosa si espandono fra luci e fumi. Le atmosfere alternano giri veloci post-punk e il forte piano classico del grunge. Si innestano percussioni tribali, basso martellante e la chitarra capace di variegare indifferente tra rock e funk.

Gli Smashing Pumpkins che rifanno i Pink Floyd, si scontrano con le chitarre degli Oasis e non riescono a dimenticare Jimy Hendrix. Teoricamente un macello. Invece funziona ed è personale. Bravi e anche belli. La bassista, pallidissima e tutta nera, gonna lunga, scarponi, puntuti ciuffi di capelli sugli occhi, si danna ossessiva accartocciata su un Rickembaker dal suono abrasivo e legnoso che pende dal collo all’altezza delle ginocchia. Il batterista spara i lunghi capelli in aria mentre pesta i tamburi con la cattiveria di un troglodita invasato. Il cantante chitarrista gorgheggia nevrotico e malinconico, lancia riffs, svisa assoli, prorompe accordi pieni con espressioni sempre scazzate di un adolescente annoiato e ferito. Ma la cosa più straordinaria è che quest’ultimo è una vera testa di cazzo, e ci marcia. Altro che incitare ed ingraziarsi il pubblico come i Persiana Jones. No, lui la gente la provoca, fa lo stronzo antipatico e poi rifila devastanti attacconi di chitarra. Come avesse bisogno degli insulti per esprimersi e sfogarsi. Uno con la vocazione alla S. Sebastiano.

Sabato 11, giorno secondo. Nel pomeriggio la scena è la stessa, solo un po’ più di gente. Sul palco si avvicendano altri gruppi altrettanto bravi ed interessanti. Le Nuove Tribù Zulu suonano una cosa strana, non facilmente identificabile all’inizio. Cantano in italiano, hanno cose zingaresche funky new wave, ma che fanno? Non si sa. Comunque dopo poco anche loro coinvolgono. E tutti a ballare. Comincio a capire questa storia delle terre di confine. Geografico sì, ma fondamentalmente sonoro, musicale, di e tra i generi, con contaminazioni ma anche tanta reinvenzione. Insomma, le tradizioni; ma anche l’adesso, qui.

La gente ci sta. Grandi applausi e balli anche con i Balkanija, mezzi gitani, mezzi napoletani con una cantante vestita da odalisca e una gran voce. E’ un circo, i carrozzoni e i mostri: di bravura. Onestamente, anche della loro musica non me ne è mai fregato niente, ma devo arrendermi a dire che è emozionante e coinvolgente. E siamo sempre lì.

Roy Paci.

Ho come l’impressione che i vari passaggi in Italia ed il successo di Goran Bregovic abbiano dato la stura a qualcosa che giaceva da tempo, a forze addormentate nel sottobosco ed ora risvegliate con grande creatività ed energia. Alla base c’è la felicità della festa, del popolare e, concedetemi questa annotazione tecnica, del veloce e gioioso ritmo in levare. Così si spiega anche il grande ritorno di successo della musica ska che in serata ha proposto la versione napoli-sicilianizzata del trombettista Roy Paci, quella milanese dei Vallanzaska e quella più tradizionale dei Quattrocentocolpi, dei quali ho riconosciuto ed apprezzato una bella versione di "Wrong ‘Em Boyo".

Finale tiratissimo con il punk di Derozer e Porno Riviste. Sotto il palco è marasma generale. Pogo generale scatenato con l’etnica presenza di ragazzini punk (con le creste e tutti i crismi, intendo) emersi dagli scantinati delle scuole medie dei capoluoghi delle valli. Bande e/o bands. Appena un po’ più dietro i loro fratelli maggiori cantano in coro i testi delle canzoni. Come le conoscessero da sempre, come fossero dei classici degli Stones. Invece sono dei Derozer. Ci siamo persi qualcosa?

All’appello mancano le generazioni dagli universitari in su. Dov’erano, che facevano? E’ un problema degli organizzatori, che per una prossima (auspicatissima) edizione dovranno aggiustare un po’ la formula. E’ seccante dirlo, ma questo festival, se ha un difetto, è per eccesso. Io c’ero, gli altri si attacchino.

Domenica 12, Teatro Sociale, Mercedes Sosa. Pensavo di entrare un momento, dare un’occhiata, farmi un’idea ed uscire. Sono rimasto fino ai bis e poi fino alla fine. Commosso da questa donna, dalla sua voce, dalla sua simpatia e semplicità, dalla sincera spontaneità, da questa grande onda emotiva che da lei partiva e a lei tornava da un pubblico mai così partecipe. Il canto d’amore e di dolore di un popolo ferito. Il canto dell’Argentina, dell’America Latina, il canto del Sud. Il canto della vita, della speranza, del riscatto. E ancora, dell’amore. .

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