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Francia: riflessioni sulla vittoria di Chirac

Alessandro Branz

Dopo la vittoria del Presidente uscente e soprattutto a seguito della rilevante affermazione di Le Pen al primo turno delle presidenziali, molti commentatori pongono in stretta correlazione il momento di transizione che il sistema politico francese sta vivendo ad una ipotizzata incapacità delle istituzioni della quinta Repubblica di far fronte alle difficoltà emergenti, quasi che la crisi politica dipenda soprattutto (anche se non solo) da una crisi istituzionale. Di qui la proposta (peraltro non ancora chiara nei contenuti) di una revisione dell’assetto costituzionale esistente, con un particolare gradimento (par di capire) per soluzioni che spostino il baricentro verso una maggiore centralità delle dinamiche parlamentari.

Dopo aver rilevato che la questione del rapporto fra sistema politico ed architettura istituzionale costituisce da tempo oggetto della dottrina costituzionalistica più sensibile ai contributi dell’analisi politologica, ritengo che - con riferimento a quanto sta avvenendo in Francia - le conclusioni raggiunte da taluni osservatori in merito ad una crisi dell’assetto costituzionale vigente siano per lo meno un po’ affrettate. Infatti vanno preliminarmente fatte tre considerazioni :

1. il dato sistemico che le recenti elezioni presidenziali hanno evidenziato (con l’inusuale competizione fra due candidati appartenenti entrambi allo schieramento di destra, anche se l’uno su posizioni moderate e l’altro sull’estrema) è l’appannamento, per non dire la crisi, della classica logica bipolare che ha caratterizzato in gran parte la storia della Quinta Repubblica. Tale appannamento è stato certamente alimentato da un tipico fattore istituzionale, come la coabitazione quinquennale fra Chirac e Jospin, la quale - si badi - non si è rivelata deleteria in virtù di una eccessiva conflittualità fra le due teste dell’esecutivo (che è quanto preoccupava gli analisti nel 1997), ma al contrario perché ha contribuito ad offuscare, ingrigire, rendere poco attraente e visibile il profilo politico delle due figure, facendo con ciò venir meno nell’opinione pubblica (e quindi nell’elettorato) il senso della distinzione fra programmi e politiche alternative.

2. Il punto è però che tale fenomeno è solo in parte attribuibile alla coabitazione, che ne rappresenta, per così dire, la manifestazione esteriore. In realtà la crisi del bipolarismo francese affonda le radici in motivi soprattutto politici e sociali. Solo per esemplificarne alcuni: l’evidente incapacità della gauche di interpretare i fenomeni di globalizzazione e dare risposta alle contraddizioni da essi prodotte; l’oscillazione programmatica che ne è conseguita e che ha palesemente investito il governo Jospin; la frammentazione politica (anch’essa indotta dalle difficoltà dell’esecutivo socialista) che si è clamorosamente manifestata a sinistra, in una elezione presidenziale che al contrario dovrebbe indurre alla coesione delle forze, pur nel contesto di una fisiologica presenza di candidati minori; il successo di Le Pen (del resto presente sulla scena politica francese sin dagli anni ‘80), che è riuscito a veicolare la protesta e a presentarsi come una sorta di catalizzatore di tutti i malumori emergenti (in sintonia peraltro con l’endogeno conservatorismo della Francia profonda), dando vita ad una rappresentanza trasversale di interessi diversi, in evidente contrasto con i classici canoni del bipolarismo francese.

3. Semmai, sotto il profilo istituzionale (ed anche in tal caso come conseguenza dei processi politici ricordati), si può sottolineare la negatività -rispetto alla coerenza dell’architettura istituzionale francese - dell’affermazione di Chirac come "Presidente di tutti i francesi", "depositario dei valori della Repubblica", e via dicendo. Infatti una tale caratterizzazione contribuisce a rendere ancor meno visibile la logica bipolare, alimentando una deriva carismatica e plebiscitaria che avevamo già conosciuto con De Gaulle (prima che il sistema assumesse una connotazione decisamente maggioritaria) e con Mitterrand in occasione della sua rielezione nel 1988 (guarda caso, proprio dopo due anni di coabitazione).

Ebbene, di fronte ad un quadro di questo tipo e ad una crisi che è soprattutto di natura politica, si può osservare che il sistema istituzionale vigente in Francia, se mantenuto coerente, ha in sé gli anticorpi per smussare gli angoli ed incanalare, nei limiti del possibile, i processi in corso.

Infatti è prevedibile che il sistema elettorale uninominale a doppio turno, che sarà adottato in occasione delle elezioni legislative di giugno, consentirà al sistema di riassestarsi in senso bipolare: la probabile presenza in molti collegi di un ballottaggio a tre condizionerà certamente l’esito della competizione a favore dell’uno o dell’altro candidato (come del resto è avvenuto 5 anni fa a favore della sinistra), ma presumibilmente non impedirà anche stavolta l’affermarsi dei due schieramenti classici e la meccanica bipolare che ne consegue.

E’ chiaro che molto dipenderà dal risultato delle legislative: un’eventuale vittoria dello schieramento di centrodestra (al di là della sua auspicabilità o meno dal punto di vista politico) favorirebbe quella coerenza fra maggioranza parlamentare e presidenziale che la coabitazione non ha reso possibile e che conferirebbe al circuito istituzionale una maggiore funzionalità, consentendo al Capo dello Stato di valorizzare al massimo i poteri che la Costituzione gli attribuisce.

Peraltro (a conferma anche in tal caso della coerenza interna del sistema) una soluzione di questo genere è facilitata dalla revisione costituzionale approvata due anni or sono, la quale, riducendo il mandato presidenziale da 7 a 5 anni e facendo decorrere tale nuova normativa a partire dalle attuali elezioni del 2002, rende simultanee e contestuali l’elezione presidenziale e quella per l’Assemblea nazionale, favorendo con ciò l’omogeneità delle due maggioranze.

Se poi osserviamo che le elezioni presidenziali sono state espressamente previste prima di quelle parlamentari, capiamo che questa riforma, oltre a ridurre le probabilità di coabitazione, tende a spostare l’equilibrio verso la preminenza del Capo dello Stato, rafforzandolo sul versante della responsabilità politica di fronte al corpo elettorale e quindi scongiurando i pericoli di plebiscitarismo.

Si tratta di un esito istituzionale in grado di conferire al sistema quella connotazione di "semipresidenzialismo maggioritario" che Stefano Ceccanti ha individuato come possibile (ed auspicabile) tendenza di fondo ed alla quale, con ogni probabilità, lo stesso Chirac dovrà conformare la propria condotta, una volta che la "luna di miele" con la stragrande maggioranza del paese si esaurirà ed egli sarà inevitabilmente indotto a trasformare il suo attuale ruolo di garante dei valori fondanti della Repubblica in quello di leader di una sola parte politica.

Naturalmente - lo ripeto - molto dipenderà dal voto di giugno: ma è indubbio che il sistema istituzionale offre più di una sponda ad un esito coerente e funzionale. Anche perché, se dovesse prevalere la sinistra, a maggior ragione, di fronte alla prospettiva di un’altra lunga coabitazione, è auspicabile la presenza di un governo autorevole in grado di indirizzare la maggioranza parlamentare e resistere ai possibili ostacoli che Chirac opporrà alla sua azione; e, come sappiamo, l’assetto costituzionale francese offre all’esecutivo ed al Primo Ministro gli strumenti adatti a perseguire tali obiettivi.

Quindi l’eventuale previsione di soluzioni di natura parlamentaristica (così come si tentò nel 1985 con l’introduzione, seppur transitoria, della proporzionale) rischia di favorire, anziché penalizzare, il lepenismo.

A mio avviso il sistema ha in sé le contromisure necessarie: semmai è alle forze politiche (e in particolare al Partito socialista) che spetta il compito di offrire una risposta alle domande emergenti. Un monito questo per tutti coloro che, nel nostro paese, di fronte al complessificarsi della società e al successo di forze estremistiche, pensano che il ricorso a sistemi proporzionali (e comunque all’indebolimento dell’assetto maggioritario) possa essere la panacea di tutti i mali.

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